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Vero o falso? I falsi miti dell’alimentazione

Martedì, 17 Settembre 2024 10:31 Scritto da

Dopo un anno di lavoro duro e faticoso e dopo i “deliri” del saggio cosa c’è di più bello che dedicarsi a se stessi e alla propria libertà godendosi il caldo dell’estate? Fare un bel bagno rinfrescante e rigenerante (al mare o in piscina se si vive in città), contribuire alla rimineralizzazione delle ossa e alla produzione di vitamina D prendendo il sole (con le giuste precauzioni e protezioni) e creare nuove coreografie, solo per il gusto di ballare senza l’ansia da palcoscenico. Per me giugno è il mese della rinascita, dove tutto finisce e tutto inizia. Dopo lo spettacolo di fine anno accademico mi dedico solo a me stessa a 360 gradi. A partire dal mio corpo, il mio strumento di lavoro, il corpo che durante tutto l’anno è sotto pressione tra allenamenti e dieta ferrea. In estate ricomincio a pensare alla dieta che fa stare bene ad anima e corpo.  In questi giorni mi piace giocare anche con i miei allievi. Oltre a creare come sempre la piramide alimentare con cartoncini e disegni o a cucinare merende “spaziali” post allenamento ci piace fare dei quiz. Il quiz preferito è quello del Vero o Falso.
Lo facciamo anche noi? Però non si bara guardando sui motori di ricerca e vediamo chi accumula più punti!

1. La frutta fa ingrassare
FALSO Quando sento certe frasi la mia pelle cambia colore, comincio a sudare, i vestiti si strappano e magicamente mi sento personificata in un personaggio dei fumetti della Marvel! Sfatiamo un po’ di miti che ultimamente sento e che proprio “non fanno bene alla salute”. La frutta e la verdura sono alimenti protettivi perché hanno tutti i nutrienti che ci possono proteggere da malattie di varia natura. Non è assolutamente ingrassante, anzi! Questi alimenti aumentano la termogenesi indotta dalla dieta, per cui aumentano il dispendio di energia.

2. Mangiare la pasta fa ingrassare
FALSO I carboidrati sono importanti per la nostra sopravvivenza, in assenza di essi il corpo produce i cosiddetti corpi chetonici che sono sostanze che vanno a nutrire il cervello, ma sono dannosi per la nostra salute a lungo termine. E’ corretto consumare la giusta quantità giornaliera di carboidrati associando ovviamente un’adeguata attività fisica!

3. Meglio mangiare pasta al pomodoro… il pesto fa ingrassare, perché è pieno d’olio!
FALSO Il pesto è un ottimo condimento con nutrienti importanti e completa il pasto.

4. Mangio la pasta a pranzo e le proteine a cena perché non è corretto il contrario
FALSO Non ci sono evidenze scientifiche che lo attestino ma ad alcuni soggetti si consiglia di mantenere questa separazione per una questione di digeribilità e assorbimento durante il digiuno della notte.
Oggi inoltre si suggerisce preferibilmente un piatto Smart, ovvero un piatto completo di proteine e carboidrati nello stesso piatto.

5. Faccio dieta iperproteica perché dimagrisco prima
VERO Una dieta iperproteica e priva di carboidrati fa dimagrire più velocemente ma a livello nutrizionale non è bilanciata e soprattutto è dannosa per la salute. Con questo tipo di dieta infatti carichiamo di lavoro i reni e il fegato e l’assenza degli zuccheri non fa bene al nostro organismo che trova un dimagrimento forzato e non salutare.

6. Lo zucchero fa male
VERO Ci sono evidenze scientifiche che affermano che l’uso esagerato di zucchero raffinato possa essere un fattore di rischio per malattie cardiovascolari e cronico degenerative in generale. Meglio sostituirlo con il miele.

7. Il poke è un cibo salutare
VERO e FALSO È un pasto completo se ben bilanciato e con i giusti ingredienti ma non deve eccedere in proteine.

8. Il caffè fa male
VERO e FALSO Vero se si supera la dose consigliata, ossia non più di tre caffè al giorno, falso per il suo valore nutrizionale, infatti il caffè contiene polifenoli molto importanti per il loro ruolo antiossidante.

9. I prodotti light non fanno ingrassare
FALSO L’idea che questi prodotti apportino meno calorie spinge a consumarne porzioni maggiori ma se l’intenzione è quella di buttar giù qualche chilo l’intervento dietetico è praticamente vanificato.

10. Occorre variare più cibo possibile
VERO Variando la propria alimentazione possiamo assumere il maggior numero di nutrienti che servono a stare bene.

11. Gli integratori vanno assunti sempre
FALSO Gli integratori non vanno assunti  sempre ma solo in caso di carenza, di malattia o nel caso di allenamenti molto intensi. Per una persona normale, che assume una giusta alimentazione sono superflui, ma per i ballerini sono necessari per far lavorare meglio i muscoli e reintegrare i nutrienti.

12. Il latte può essere consumato a tutte le età
VERO e FALSO Vero, secondo i LARN (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana) si possono assumere fino a 125 ml di latte o derivati del latte al giorno. Falso se consideriamo che per anni il consumo eccessivo di latte e derivati è stato classificato come fattore di rischio per malattie croniche degenerative. Anche nel caso del latte come sempre comandano le quantità.

Le mura domestiche palcoscenico di una danza che sa raccontare

Martedì, 17 Settembre 2024 10:30 Scritto da

La danza come climax nella narrazione è una modalità frequentemente utilizzata dai registi: con movimenti a ritmo di musica corpi, gesti ed espressioni possono raccontare più di mille parole. Come nel film C’è ancora domani dove Paola Cortellesi nella sua opera prima da regista usa in maniera magistrale la danza e la musica.

Il film, che parla di violenza domestica e di dominazione patriarcale dell’uomo, si è ispirato alle tinte del neorealismo narrativo (Roma città aperta) arricchito di vari virtuosismi e con toni che passano dal dramma alla commedia tra shock e sorrisi continui “in un gioco di equilibri tonali in cui il drammatico e il comico risultano sempre sapientemente calibrati, senza superare i rispettivi confini” (Giuseppe del Ninno).
Già dalla prima scena si introduce il tema della violenza tra le pareti domestiche in cui un “ceffone” con tanto di “schiocco” introduce poi l’idillio di sapore disneyano che, dopo aver esortato ai sogni, si conclude nuovamente con una mano alzata. Salvo questo incipit inziale, particolarmente realistico, per tutta la durata del film l’aggressività e il senso di oppressione saranno poi solo suggerite da allusioni come la chiusura di porte e finestre, le donne che sentono le urla fuori dal cortile e dai momenti coreografici. Sono almeno tre i momenti in cui il movimento sublima un momento reale e in tutte le coreografie le parole delle canzoni di sottofondo hanno un ruolo fondamentale suggerendo i gesti e utilizzandoli per rendere ancora più narrativo ed esplicativo un momento fondamentale del racconto cinematografico.  

Nella prima scena in cui la danza racconta un momento di violenza domestica l’ispirazione neorealistica che ha guidato tutto il film è sublimata dalla danza e dalla mimica che esprimono i volti anche quando rimangono in silenzio: se sono assolutamente reali, ma nello sfondo, il sangue che scende dal naso e i lividi del collo che sono stati lasciati dalla presa stretta del protagonista maschile, perfetta incarnazione del patriarcato. Anche se non assistiamo ad una medievale “danza macabra” (n.d.r. danza tra uomo e scheletro), perché in questo caso la morte non è interpretata ma viene sublimata dal viso dell’uomo “superiore” che percuote.
In questa scena le parole della canzone Nessuno, resa famosa da Mina, ma qui nella versione di Musica Nuda (Petra Magoni & Feruccio Spinetti) scandiscono l’eternità che viene scolpita dal ritmo serrato dei gesti che improvvisamente diventano teatrali passi di danza: “i rumori delle botte sono l’equivalente di un vinile in sottofondo, sopra il quale ballare con dei gesti ripetuti” (Matteo Farina).
Parole che raccontano di due innamorati inseparabili da un lato, dall’altro dell’impossibilità di fuggire dalla prigione di un amore tossico con gesti che sono ormai diventati una consuetudine. Come ha spiegato in un’intervista la stessa Cortellesi “nella performance di Petra Magoni c’erano delle note dolenti e questa eternità, più che una promessa d’amore, era una condanna: eravamo in scrittura e mi ha ispirato questa routine, perché era una sorta di rituale che si consumava…”.
Nella traduzione gestuale la regista si è affidata alla coreografa Roberta Mastromichele e allo stunt coordinator Paolo Antonini con i quali ha lavorato per rendere più naturale possibile qualcosa che, a sua detta, ai più poteva sembrare un’idea un po’ folle ma che è stata una modalità spiazzante per liricizzare la tragedia della violenza.

Un altro momento di danza, che a mio avviso non è stato molto notato dalla critica, ma che credo sia altrettanto fondamentale è quando il padre del protagonista suggerisce al figlio: “non la puoi menare sempre se no si abitua… Alla fine Delia è una brava donna di casa ha solo quel difetto di rispondere deve imparare a stare a bocca chiusa…”. La danza riprende con un ballo lento in camera da letto che ripercorre la storia d’amore prima, di violenza poi, dei due protagonisti che, accompagnati da una musica dell’epoca, si lasciano andare in un ballo rievocativo con richiesta di perdono da parte del marito per le percosse appena date. è evidente che il tentativo del marito non sortisca l’effetto desiderato nella moglie perché, durante il ballo, il viso della protagonista è visibilmente teso e preoccupato per questo momento idilliaco a cui crede ben poco.
Con la danza viene raccontata anche la sorellanza e la comunanza, utilizzandola in uno degli altri momenti più alti del film: il finale. Ancora una volta un brano musicale e la danza ne raccontano un momento cruciale. In questo caso lo stare in posa e muovere ritmicamente la bocca rappresentano il dissenso e un silenzio finalmente spezzato. La canzone scelta, racconta la Cortellesi, “riunisce in sé un’idea di collettività, di sentirsi parte di una comunità e la protagonista si sente parte di un tutto, non è più sola, ha ricevuto il permesso di contare e lo ha ricevuto da qualcuno che conta più dei suoi torturatori casalinghi”.
“Guarda quanta gente c’è che sa rispondere dopo di me a bocca chiusa…”… alla presenza del marito la protagonista invece di tornare indietro questa volta lotta insieme alle altre donne: certo con un respiro evidentemente affannato dalla preoccupazione che le fa muovere il corpo ritmicamente, ma anche con una danza labiale che esprime tutto il disappunto verso i soprusi e i prepotenti, riponendo tutta la speranza nelle nuove generazioni.

Il corpo espressivo: terreno comune di emozioni, salute e malattia

Martedì, 17 Settembre 2024 10:28 Scritto da

Secondo un recente articolo del Wall Street Journal, una ricerca nel campo delle neuroscienze ha dimostrato che la postura ha un impatto sul corpo e sulla mente molto più grande di quanto si credesse fino ad oggi. Assumere una posizione potente ed aperta cambia effettivamente gli ormoni e il comportamento di una persona avendo un impatto decisivo sul modo in cui vieni percepito nel mondo relazionale. Ma cosa si intende per postura? La postura può essere definita come la posizione del corpo nello spazio, nonché il rapporto diretto delle sue parti con la linea del baricentro. Per avere una postura corretta è necessaria l’integrità del sistema neuromuscoloscheletrico. Ognuno presenta caratteristiche di postura uniche che sono influenzate da diversi fattori come la genetica, patologie, disturbi psicologici e condizioni ambientali. Quando si assumono posizioni erette e stabili, anche se in contraddizione con una natura timida ed introversa, gli ormoni e i comportamenti cambiano. In soli due minuti in posizioni nel quale il corpo si mostra potente, la ricerca ha rilevato aumenti di testosterone, diminuzioni del cortisolo, incremento della propensione al coraggio e migliori prestazioni nei colloqui di lavoro.
Ciò che una volta avremmo potuto presumere fosse una strada a senso unico in cui i nostri sentimenti e pensieri ci portavano ad assumere una particolare posizione è ora chiaro un processo più circolare: la posizione del corpo influenza pensieri e sentimenti che a loro volta ne modificano il movimento.

 

Se caliamo queste riflessioni nella sala danza possiamo tenere a mente con più forza l’idea che se ti comporti in modo sicuro, anche quando non lo sei, potresti iniziare a sentirti più prestante. Le posture erette possono anche aumentare la resilienza mantenendo l’umore positivo e l’autostima di fronte a fattori di stress.
Che i danzatori abbiano un carattere tenace e determinato è risaputo ed è dovuto al fatto che fronteggiano sbarra e vita a “schiena dritta” ma è altrettanto vero che durante la loro formazione devono aver incontrato anche maestri che gli hanno dato fiducia e incoraggiamento perché i benefici di questa attività siano autentici e duraturi.
Infatti quando si provano delusione, disperazione e insicurezza il livello di attivazione muscolare cala bruscamente, non si ha la capacità fisiologica necessaria per danzare e si potrebbero notare pensieri ripetitivi di sfiducia e senso di inefficacia.
Altro aspetto da tenere in considerazione è correlato all’ ansia. Lo stato permanente di contrazione muscolare può predisporre all’accorciamento muscolare, che si esprime nella postura del corpo sotto forma di deviazioni.

Noi insegnanti dobbiamo osservare bene i nostri studenti perché è evidente che se i loro corpi risultano essere troppo rigidi muscolarmente potrebbero essere a contatto troppo spesso con un senso di frustrazione, rabbia o apprensione. Spalle rigide e gambe pesanti a loro volta metteranno in circolo un flusso di pensieri negativi che li porterà a consumare le loro energie troppo rapidamente, mandando in corto circuito la performance.
La correlazione tra azioni motorie, pensiero ed emozioni ha affascinanti implicazioni. Gli studi degli psicologi Stenberg e Lubart spiegano persino come anche la creatività sia influenzata dal movimento. Nel dettaglio i gesti fluidi delle braccia, i port de bras che disegnano nell’ aria respirando all’ unisono, sono in grado di agire sul pensiero fluido che avvantaggia la produzione di idee originali. La teoria dopaminergica delle emozioni positive suggerisce che l’aumento del livello di dopamina negli stati emotivi positivi potrebbe migliorare la selezione o il passaggio tra set cognitivi alternativi, migliorando quindi la creatività.
L’affetto, in particolare, come modello di informazione, suggerisce che le emozioni positive creano un ambiente soddisfacente e sicuro, che promuove la semplificazione dell’euristica o l’elaborazione “libera” e, di conseguenza, avvantaggia la creatività. Nello specifico le emozioni positive favoriscono la creatività migliorando la flessibilità cognitiva.
Il clima in classe, in modo metaforico, non è altro che una “rete di relazioni affettive” come ad esempio la motivazione a stare insieme, la collaborazione in vista di obiettivi comuni, le norme comportamentali, l’apprezzamento reciproco e le modalità di funzionamento. In tal senso il peso più importante è quello attribuibile all’insegnante che può influenzare il gruppo con la sua personalità, con il suo stile comunicativo e con la sua capacità di efficacia formativa.
La qualità dell’ambiente “classe” riflette infatti le caratteristiche della relazione esistente tra insegnante-allievo e tra gli stessi discenti. La serenità del gruppo classe ha più probabilità di svilupparsi quando i docenti si comportano come “facilitatori” utilizzando strategie d’insegnamento centrate sulla persona, mostrando atteggiamenti da leaders positivi e democratici.

Per questo gli insegnanti dovrebbero stimolare gli alunni a portare nel loro apprendimento una sintesi olistica del proprio benessere fisico, intellettuale ed emozionale, impiegando strategie d’insegnamento che sviluppino nei giovani alunni la percezione reale dell’essere protagonisti del processo di apprendimento.

 

Tra esclusione ed esenzione Iva: quale regime applicare?

Martedì, 17 Settembre 2024 10:26 Scritto da

ASSOCIAZIONI SPORTIVE DILETTANTISTICHE E SOCIETÀ SPORTIVE DILETTANTISTICHE

Un’analisi del complesso e frammentario quadro di riferimento, nel biennio 2023-2025, sul trattamento Iva applicabile alle realtà dello sport dilettantistico.

Il legislatore, parallelamente con la recente riforma dello sport, e in particolare con i DD.Lgs n.ri 36 e 39, ha posto finalmente rimedio alla violazione della disciplina dell’IVA comunitaria, in ossequio alla direttiva 2006/112/CE. Da tempo infatti pendeva nei confronti dell’Italia una procedura d’infrazione, la n. 2008/ 2010, che contestava l’applicazione delle disposizioni dell’ormai noto, per gli enti sportivi, art. 4, comma 4, del D.P.R. n. 633/1972.  Il punto controverso era rappresentato dall’esclusione, quali operazioni “fuori campo” IVA, delle prestazioni rese dalle Associazioni Sportive Dilettantistiche a favore dei propri associati, a fronte del pagamento di corrispettivi specifici, in funzione delle finalità istituzionali dell’ente. È stato così introdotto l’art. 5, c.15-quater, lett. b), n. 2), del D.L. n. 146/2021, convertito con Legge n. 215/2021, in base alla quale disposizione sarebbero state considerate esenti, con applicazione dell’art. 10, D.P.R. n. 633/1972, tutte le prestazioni di servizi rese dalle Associazioni Sportive Dilettantistiche (ASD) “strettamente connesse con la pratica dello sport o educazione fisica”, comprese quelle svolte a favore di soggetti non tesserati.  
Tale disposizione era da ritenersi propedeutica al passaggio dal regime di “esclusione” dal campo di applicazione dell’IVA a quello di “esenzione”, con effetti dal 21 dicembre 2021, data di entrata in vigore della Legge n. 215/2021. Tuttavia, l’art. 1, c. 683, della Legge di bilancio 2022 n. 234/2021 ne ha rinviato l’applicazione al 1° gennaio 2024, ulteriormente differita al 1° luglio 2024 da un emendamento al Decreto omnibus, il D.L. n. 51/2023, e poi dead line ulteriormente prorogata, in data 14.02.2024 dalla Commissione affari costituzionali e bilancio, al 1 gennaio 2025.
La variazione in rassegna ha suscitato non poche critiche, anche a causa dei conseguenti adempimenti formali imposti agli operatori del settore. Degno di nota, il fatto che l’esenzione è stata espressamente prevista per le sole Associazioni Sportive Dilettantistiche, (ASD) escludendo le Società Sportive Dilettantistiche (SSD), anch’esse comunemente caratterizzate dall’assenza di scopo di lucro. Corre l’obbligo precisare che la normativa comunitaria di riferimento, ovvero l’art. 132, par. 1, lett. m), della direttiva 2006/112/CE, impone quale condizione imprescindibile per il riconoscimento del regime di esenzione, l’assenza di scopo di lucro in capo al soggetto che effettua la prestazione connessa alla pratica dello sport.
La Corte di Giustizia si è espressa in tal senso con la sentenza emessa in data 10 dicembre 2020, causa C-488/ 18. La stessa ha precisato che, l’interpretazione del già menzionato art. 132, paragrafo 1, lett. m), della Direttiva 2006/112, rispetto alla qualifica di “organismo senza fini di lucro”, impone ed esige che, in caso di scioglimento di tale organismo sportivo, quest’ultimo non possa distribuire ai suoi membri gli utili conseguiti che superino le quote di capitale versate da detti membri nonché il valore corrente dei contributi in natura dagli stessi conferiti. Ebbene proprio in considerazione del fatto che l’organismo sportivo senza fine di lucro rappresenta una nozione autonoma del diritto unionale, si è subito ritenuto che il legislatore nazionale non potesse limitarne il contenuto. Quanto in rassegna, ha avvalorato l’illegittimità ad escludere dal novero dei soggetti legittimati ad usufruire della esenzione IVA, prevista per le operazioni strettamente connesse con la pratica dello sport, dalle Società Sportive Dilettantistiche. Le stesse società sportive dilettantistiche, così come le ASD, risultano organismi privi di scopo di lucro, nell’ “accezione comunitaria” del termine. In effetti, limitare l’esenzione dell’IVA alle sole ASD, escludendo da tale regime le SSD, avrebbe rappresentato un modo irragionevole ed ingiustificato, oltre che illegittimo, di recepire il contenuto dell’art. 132 della Direttiva IVA.
Per escludere l’insorgere di incertezze ed inutili e dispendiosi contenziosi con il Fisco, il legislatore ha ritenuto quindi opportuno intervenire, a mezzo di una interpretazione “autentica”, precisando che le prestazioni di servizi, strettamente connesse con la pratica dello sport, sono esenti, anche se realizzate dalle Società Sportive Dilettantistiche prive di scopo di lucro. Segnatamente, la Legge 10 agosto 2023, n. 112, di conversione in legge del D.L. 22 giugno 2023, n. 75 (c.d. Decreto PA-bis), ha inserito l’art. 36-bis al citato D.L. n. 75/2023, già in vigore alla data del 17 agosto 2023, che, di fatto, riporta tutti i servizi collegati con la pratica sportiva, ivi inclusi quelli didattici e formativi, nel regime di esenzione IVA.  La novella statuisce, al c.1, che “Le prestazioni di servizi strettamente connessi con la pratica dello sport, compresi quelli didattici e formativi, rese nei confronti delle persone che esercitano lo sport o l’educazione fisica da parte di organismi senza fine di lucro, compresi gli enti sportivi dilettantistici di cui all’art. 6 del Decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 36, sono esenti dall’imposta sul valore aggiunto”. Il c. 2 della disposizione in rassegna, precisa altresì un principio di retroattività, ovvero che “Le prestazioni dei servizi didattici e formativi di cui al comma 1, rese anche prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, si intendono comprese nell’ambito di applicazione dell’art. 10, primo comma, numero 20, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.

In sintesi, come si può agevolmente notare, il legislatore, con l’apprezzabile intento di fare chiarezza, ha introdotto una serie di norme che hanno ingenerato in realtà addirittura maggiore incertezza. L’art. 5, comma 15-quater, lett. b), del D.L. 146/ 2021, stabilisce che devono considerarsi esenti “le prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o dell’educazione fisica rese esclusivamente da “A.S.D”, alle persone che esercitano lo sport o l’educazione fisica, ovvero nei confronti di associazioni che svolgono le medesime attività e che per legge, regolamento o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, nonché dei rispettivi soci, associati o  partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali”. Mentre le previsioni dell’art. 36-bis del D.L. n. 75/2023, come visto, con una visione più ampia e condivisibile, prevede che “le prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport, compresi quelli didattici e formativi, rese nei confronti delle persone che esercitano lo sport o l’educazione fisica, da parte di organismi senza fine di lucro, compresi gli enti sportivi dilettantistici di cui all’art. 6 del Decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 36, ovvero anche le società sportive dilettantistiche, sono esenti dall’imposta sul valore aggiunto.

Ebbene, esaminando il testo dei due articoli in richiamo risulta evidente che l’art. 36-bis del D.L. n. 75/2023 ha una portata più generale, nel senso che esenta le prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica sportiva poste in essere da qualsiasi soggetto, purché privo di scopo di lucro. A differenza dell’art. 5, comma 15-bis, lett. b), del D.L. n. 146/2021, l’art. 36-bis del D.L. n. 75/2023, non si rivolge solamente alle ASD, ma fa riferimento a qualsiasi tipo di ente, purché, come detto, privo di scopo di lucro.
In pratica, quanto stabilito dall’art. 5, comma 15-bis del D.L. n. 146/2021 risulta ricompreso nel dettato normativo recato dall’art. 36-bis del D.L. n. 75/2023, la cui portata applicativa è da ritenersi tuttavia più estesa, proprio perché si rivolge a tutti coloro che consentono e permettono la pratica dello sport, senza perseguire un lucro. Talché, stando al tenore letterale delle disposizioni normative in alto citate, appare corretto affermare che le prestazioni connesse allo sport ed all’educazione fisica, in questo momento, rappresentano già operazioni esenti, ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972, in quanto norma pienamente in vigore.

Tra paesaggio e architettura la danza si esprime in verticale

Martedì, 17 Settembre 2024 10:17 Scritto da

Il primo esempio di danza verticale risale ad un “esperimento” della danzatrice e coreografa americana Trisha Brown che negli anni ‘70 creò una performance che sarebbe poi diventata un punto di riferimento fondamentale per lo sviluppo di questa disciplina. Nello spettacolo Man walking down the side of a building, che si svolse a New York al civico 80 di Wooster Street, il ballerino e allora marito della Brown, Joseph Schlichter, camminò perpendicolarmente lungo la facciata di un edificio di sette piani procedendo dall’alto verso il basso.

Per vedere la danza verticale in Europa bisogna aspettare un altro decennio quando la compagnia Compagnia francese Roc En Lichen allestì la coreografia Salle des bains su uno strapiombo di quattrocento metri di altezza sulle montagne del Verdon. In Italia, compagnia pioniera di questo tipo di danza, è Il posto, fondata nel 1994 da Wanda Moretti, coreografa e ricercatrice, e da Marco Castelli, musicista e compositore.
Per far conoscere meglio la danza verticale ai nostri lettori abbiamo avuto l’onore di parlare proprio con Wanda Moretti, reduce con la sua compagnia da un tour estivo fittissimo compresa la presenza, per niente scontata, al 67° Festival di Spoleto. Per prima cosa Wanda ci ha confidato quali sono stati gli stimoli che l’anno ispirata nel creare un nuovo modo di fare danza in Italia: “quando ho iniziato cercavo un modo diverso di muovermi che stimolasse nuove dinamiche, ed è così che provai su un muro, sperimentai il corpo in posizione perpendicolare, sollevata da terra e con i piedi in appoggio ad un piano verticale e per farlo era indispensabile una parete. In questa situazione il movimento è compromesso dal cambio di gravità e da una diversa visione dello spazio e questo ci obbliga a produrre nuove gestualità… Così è iniziato questo viaggio”. E la tua città, Venezia, in questo processo quanto ha contato? “Sicuramente la mia forma di danza nasce dalla mia città, un movimento senza soluzione di continuità, senza limiti dove le architetture sembrano spazi morbidi che si riorganizzano intorno al movimento, dove i tetti sono abitati da angeli, statue ed esseri straordinari. Penso che questa città sia un morphing di persone e architetture, se non mi avesse ispirata e accompagnata in questo lungo percorso, come avrei potuto fare altrimenti?”

Fuori dai teatri, facciate, pareti e alberi diventano nuovi palcoscenici creando uno stravolgimento spaziale sia per il performer che per lo spettatore, che, stupito, osserva gli spettacoli da una prospettiva del tutto nuova. Come ci ha raccontato Wanda, nella danza verticale le “convenzioni teatrali sono interrotte, il lavoro è incorniciato dalla partitura musicale ma non c’è sipario e probabilmente non esiste un’area di osservazione prestabilita. Ciò significa che i confini di tutti i giorni sono sfocati sia per il danzatore che per lo spettatore… Questa forma di danza nasce dalla relazione tra movimento e piano verticale, cioè dalle possibilità che si creano e che sono condizionate dalle architetture nelle quali danziamo, il paesaggio entra nella performance perché non ci sono quinte né uno spazio selezionato, chi guarda vede tutto nel suo insieme così come il danzatore percepisce e restituisce lo spazio intero”.
In questo senso credo che la danza verticale sia anche più democratica creando nuove relazioni tra spazi, danzatori e pubblico. Cosa ne pensi Wanda? “La danza verticale è sicuramente democratica perché si svolge nelle aree urbane e può essere vista da chiunque passi per strada e può “trattenere” il pubblico oppure lasciarlo libero di ignorarla e andarsene… La danza verticale include tutto quello che c’è a portata di sguardo e udito, una luce che si accende, un cane, il clacson di un’auto, qualcuno che stende i panni è nella nostra creazione, insieme a noi.”. Mi sono anche chiesta se esistessero nella danza verticale dei momenti di interazione con il pubblico anche se questa disciplina è per sua definizione lontana dal pubblico. Wanda ci racconta che nella danza verticale la relazione con il pubblico nasce non nel momento dello spettacolo ma piuttosto durante l’allestimento e così, diversamente da quanto accade nei teatri, alla loro compagnia capita spesso che le persone parlino da ogni angolo e molti sono i curiosi che vorrebbero vedere quello che vedono loro dall’alto per scoprire curiosità relative al proprio territorio. Il tramite perfetto è Marco Castelli, la cui postazione è sotto gli edifici utilizzati, che rappresenta il primo contatto con i passanti e la persona più soggetta alle loro domande.

Una curiosità che mi ha colpito molto è che sin dalla prima apparizione di danza verticale negli anni ’70 i danzatori erano sorretti solo da una rudimentale attrezzatura da arrampicata sportiva. Wanda è vero, come ho letto, che sei stata proprio tu ad inventare le imbragature utilizzate nella danza verticale e che il tuo è stato un lavoro frutto di anni di prove e prototipi? “Si lo confermo. Negli anni ho incontrato e insegnato danza verticale a centinaia di danzatori e non… e questo mi ha permesso di fare delle valutazioni e migliorarle man mano in base a quello che volevo nel loro movimento. Ho avuto la fortuna di confrontarmi con i tecnici di una casa di produzione che realizza i nostri imbraghi e così, dopo una serie di test, abbiamo trovato il top”.

Negli anni 2000 la danza verticale ha avuto una forte espansione di altre compagnie che hanno interpretato in modo originale la propria modalità verticale seguendo anche una modalità estetica differente: dalla Compagnia Mattatoio Sospeso diretta da Marco Mannucci che crea dal 2006 spettacoli per spazi urbani legati ad immagini oniriche e fiabesche; dagli attori-acrobati di Eventi Verticali che si sono costituiti nel 2007 trasportando sulla scena progetti teatrali e comicità. Alle Compagnie Linea D’aria e Vertical Waves Project anche queste nate da danzatori che hanno iniziato il loro percorso studiando danza verticale con Wanda Moretti e fondando in seguito la loro compagnia.
Wanda, vista l’espansione di questa disciplina, credi che anche la danza verticale possa diventare una nuova prospettiva di lavoro per i danzatori? E secondo te quale formazione tecnica deve avere un danzatore che voglia lavorare con le compagnie che promuovono questo tipo di danza? “Direi che serve un corpo che abbia lavorato ottimamente in qualsiasi tecnica di danza, che non soffra per altezza, vertigine e che abbia un talento per il verticale, intendo qualcosa che riesco, personalmente, a vedere subito quando un danzatore si muove in parete per la prima volta. Lo chiamo cat landing è la capacità di orientarsi nello spazio vuoto”.

Mi piace concludere questo viaggio nella danza verticale proprio con le parole di Wanda Moretti che è stato un aiuto prezioso nella nostra ricerca su questa disciplina che tende alla meraviglia: “credo che la mia forma di danza possa fondere il quotidiano, l’urbanità e la comunità ad un processo artistico e farne un unicum”.

Ritorno alle origini la danza della diaspora come terapia per l’anima

Martedì, 17 Settembre 2024 10:15 Scritto da

Negli ultimi anni, forse decenni, la maggior consapevolezza di sé e del proprio corpo, ha dato permesso a molti di riscoprire la vera essenza della danza, una forma d’arte che vive grazie al corpo e che attraverso esso può comunicare, esprimere, connettere o semplicemente emozionare.

In questo processo di consapevolezza, la danza diventa protagonista, si fa strumento attraverso il quale il corpo può offrire chiavi di lettura della complessità attuale del mondo e delle società che ne fanno parte. Non più una danza meramente estetica ma una “danza sociale” quella che molti giovani danzatori vivono nel loro percorso professionale; una danza che si fa missione e che, in un modo o nell’altro, può concretizzarsi in momenti di connessione tra culture e persone.

Questa concezione della danza è un richiamo al suo valore primordiale, perpetrato nei secoli dello schiavismo (secoli di desolazione e barbarie) dove la musica e la danza, come ad esempio la danza Yoruba, hanno dato la possibilità alle persone di mantenere un legame con le origini, l’essenza della natura, le divinità, la gioia e la felicità.

Una funzione potente, essenziale, poiché la danza non era solo movimento, ma era ed è tuttora religione, cultura, musica, storia di un popolo, della diaspora. Era ed è il veicolo attraverso il quale, il corpo (la casa delle divinità, degli Orishas) poteva e può esprimersi.

L’essenza della danza Yoruba, una danza della diaspora, è data dalla possibilità, attraverso la musica di determinate percussioni, di dar vita alle entità religiose del Pantheon Yoruba, le ORISHAS. Queste divinità erano impersonificate dai danzatori e rappresentate attraverso il suono dei tocchi dei tamburi.
La danza Yoruba è caratterizzata dalla musica dei tamburi (i principali sono i Batà per le chiamate degli Orishas), da suoni specifici (ogni Orisha ha il suo suono) e suoni generici, giungendo così a una poliritmia.
Dall’Africa occidentale (principalmente Nigeria, ma anche Benin e Togo) la lingua e cultura Yoruba sono giunte nelle Americhe (Brasile, Cuba e Antille) diventando un vero e proprio ponte tra culture: la danza di una diaspora che, nella sua storia di desolazione, ha visto nell’essenza dell’essere umano e della sua tradizione la vera forza.
Solo la musica e la danza hanno potuto dare a questi popoli, durante il periodo della schiavitù, lo svago, la gioia, l’allegria, diventando un vero e proprio strumento di comunicazione e socialità.
I rituali di passaggio, momenti imprescindibili delle comunità, erano costituiti per gran parte da musica e danza, diventando così anche strumento di valori e desideri ovvero espressione sincera di una comunità.
Le danze tradizionali africane o asiatiche, ancora oggi, sono danze rituali e spirituali, fanno parte di riti di passaggio, sono danze codificate in un certo modo, per un determinato momento della vita della persona e del gruppo sociale di riferimento.
La danza fa parte della quotidianità, è un momento di ritrovo con la comunità, ma soprattutto con sè stessi.
Non esiste un giudizio tecnico, la danza qui è per tutti. Nella danza Yoruba, cantando, danzando e suonando, l’essere umano diventa espressione della natura, più le persone danzano, più preparano il loro corpo alla vita. Tutti possono essere danzatori, interpreti degli Orishas e in questo modo sono espressioni della natura e della vita nella sua essenza più vera.
Questo è uno strumento essenziale per ristabilire un equilibrio tra anima, mente e corpo.

Oggi anche nelle danze eurocentriche si inseriscono molti elementi di danze africane a livello di passi: come una lingua, anche la danza e le varie forme d’arte, trovano arricchimento e ispirazione dalla contaminazione. La possibilità di esplorare culture, società, danze, apre le porte alla crescita di movimenti espressivi all’avanguardia. La danza è come una lingua e una lingua viva è una lingua in continua evoluzione che trova nell’incontro dell’altro la sua ricchezza. La stessa cosa succede nella danza e nel mondo dell’arte in generale: senza incontro e senza dialogo vengono a mancare le basi stabili dell’evoluzione.

La danza è un ponte tra culture, generazioni, ma anche tra persone di diversa estrazione sociale o, semplicemente, tra persone. La danza è un dialogo costante ed è in questo dialogo che evolve e si trasforma.

Questo, a livello sociale, ha delle conseguenze importanti nella creazione di legami, perché la danza a livello sociale non è una performance, ma è un momento di connessione.
Avvicinandoci a una concezione afrocentrica della danza, mettendo al centro elementi dimenticati in occidente, questo significherebbe riconnettere i tre livelli dell’esperienza: corpo, mente e anima.
La grande sfida del nostro continente è proprio quella di imparare a considerare l’intersezionalità tra le cose e comprendere che nella vita tutti i livelli dell’esperienza sono comunicanti e interagiscono tra loro.
La concezione della danza, come arte per pochi, ha favorito un pensiero critico e giudicante nei confronti di coloro che non corrispondono all’ideale estetico del danzatore: superare questo ostacolo ci permetterebbe di liberarci dalla narrativa giudicante della società occidentale e riprendere in mano elementi essenziali delle danze della diaspora, danze che hanno origine in contesti complessi e di sofferenza, danze che si esprimono totalmente nella loro funzione primaria, quella curativa: ogni volta che qualcuno danza, sta curando delle difficoltà della sua vita.
La danza deve diventare parte della vita quotidiana, dell’abitudine e questo è un passaggio fondamentale per poterla smarcare davvero dal paradigma occidentale, che la vede come strumento estetico, fine a sé stesso: l’abitudine alla danza e alla musica apre dei canali, come quelli della gioia e del piacere, che restano aperti.
In questo modo comprendiamo l’importanza della danza e della musica nella cultura Yoruba: terapia emotiva per l’anima, poiché la gioia dei tamburi, del canto e della danza vincono sulla tristezza.

Il Performance Profile applicato alla danza: uno studio sperimentale

Martedì, 17 Settembre 2024 10:10 Scritto da

INTRODUZIONE

Questo articolo rappresenta il proseguimento dell’articolo Il Performance Profile di Butler ospitato nel numero 3 del dicembre 2023 a cui si rimanda per le informazioni teoriche e tecniche dello strumento. In questa seconda parte viene riportato uno studio sperimentale eseguito nel 2023 e che ha visto coinvolti alcuni studenti dell’Accademia Nazionale di Danza di Roma ai quali è stata proposta la creazione del proprio Performance Profile (che indicheremo da ora in poi come PP).
L’Accademia Nazionale di Danza è un istituto di Alta Formazione Coreutica del comparto AFAM del Ministero per l’Istruzione, Università e Ricerca (MIUR) e presenta differenti Scuole quali la Scuola di Danza Classica, la Scuola di Danza Contemporanea, la Scuola di Coreografia. In queste vengono svolti corsi universitari triennali per la formazione di danzatori professionisti e bienni specialistici volti a formare insegnanti di danza. Inoltre l’Accademia presenta corsi di propedeutica della danza che comprendono allievi che vanno dai 10 ai 19 anni circa.
Lo scopo della ricerca era quello di provare ad applicare il PP, tipicamente utilizzato in ambito sportivo, ad alcuni danzatori per osservare il tipo di impatto che questo avrebbe avuto su di essi.


LA RACCOLTA DEI DATI

Due distinti gruppi sono stati coinvolti nello studio: il primo composto da dieci allievi del II Biennio Classico, con età media di 24,8, il secondo composto da quattro allievi del 6°/7°/8° corso propedeutico maschile con età media di 17,5. Per entrambi i gruppi si sono svolte due sessioni di PP alla fine delle quali è stato somministrato un questionario anonimo post-intervento per valutare gli impatti dell’attività svolta.
Entrambi i questionari sono stati elaborati prendendo spunto dallo studio del 2011 Athlete perceptions of the impacts of performance profiling degli studiosi Weston, Greenless, Thelwell.


GLI INCONTRI

La prima sessione di PP si è tenuta verso fine gennaio per gli studenti del II biennio e a metà marzo per quelli del propedeutico.
Tutti gli allievi stavano svolgendo, in quel periodo, le normali attività e lezioni previste dal proprio calendario accademico.
Dopo aver spiegato agli studenti obiettivi e modalità della ricerca è stata posta loro la domanda: “Quali sono secondo te le qualità o le caratteristiche di un danzatore professionista?”
Attraverso un brainstorming è stato generato, e approvato da tutti, un elenco di caratteristiche che sono state inserite da ognuno nella propria Ruota di Profilazione. È stato chiesto ai partecipanti di compilare il foglio nel modo più onesto possibile autovalutandosi rispetto a come si percepivano in quel momento per ognuna delle qualità stabilite nella fase precedente. Infine è stato richiesto loro di mettere a fuoco le caratteristiche che pensavano di dover migliorare e quelle che costituivano invece, secondo loro, i propri punti di forza. In conclusione ognuno ha compilato in maniera anonima un questionario riportato in Appendice A.
Riguardo il corso propedeutico maschile è stato coinvolto anche il loro docente di “tecnica e repertorio della danza classica” che ha partecipato al dibattito iniziale e a cui è stato chiesto di valutare ogni ragazzo per ciascuna delle caratteristiche in base alla loro forma attuale. I punteggi di ogni ragazzo sono stati confrontati con quelli del docente e si sono confrontati sulle proprie percezioni, talvolta simili, altre volte molto distanti, ed hanno concordato gli aspetti su cui il ragazzo avrebbe dovuto lavorare ed altri su cui, invece, avrebbe potuto puntare.
Verso metà maggio e i primi di giugno 2023 gli studenti sono stati invitati a svolgere la seconda sessione di PP. Questa volta è stata riproposta la stessa lista di qualità che gli studenti avevano stilato durante la sessione precedente. Nuovamente è stato richiesto ad ognuno di riflettere ed autovalutarsi su come si percepivano in quel momento per ognuno degli elementi della lista e di riportare tutto in una nuova Ruota di Profilazione. Dopodiché ognuno ha potuto confrontare la scheda compilata durante la sessione precedente con quella più recente e rifletterci su.
Nel caso del corso propedeutico anche il docente ha nuovamente partecipato all’incontro: questa volta, oltre ad osservare la discrepanza tra la valutazione dell’insegnante e dello studente, sono state osservate e commentate anche le differenze tra la prima e l’ultima sessione. Anche in questo caso i partecipanti hanno compilato un questionario a fine seduta, riportato in Appendice B.


RISULTATI E DISCUSSIONE: II BIENNIO CLASSICO

Osservando le autovalutazioni che gli studenti hanno scritto sui propri profili possiamo osservare alcuni cambiamenti avvenuti tra la prima e la seconda sessione. Nella Figura 1 è illustrato il grafico di alcune delle percezioni di uno studente, variate tra una sessione e l’altra. Queste immagini trovano un riscontro importante della Teoria dei costrutti personali di G. Kelly, secondo cui le nostre percezioni variano anche in base alle situazioni che abbiamo vissuto o stiamo vivendo. Se guardiamo le distanze che ci sono tra una sessione e l’altra per alcune delle caratteristiche ci accorgiamo di quanto la percezione, anche quella di una stessa persona, possa modificarsi nel tempo e produrre, a sua volta, ulteriori cambiamenti nel proprio comportamento. Non sappiamo quanto questi dati siano vicini alla realtà, ma lo scopo cardine del PP è quello di dare la possibilità di prendere consapevolezza della propria condizione, di osservare i cambiamenti delle sue percezioni nel tempo e di decidere se volerci lavorare su oppure no.
Per avere un quadro generale del gruppo sono state calcolate le differenze tra le autovalutazioni, tra la fase II e la fase I, per ogni individuo e per ogni caratteristica: il 5% delle evoluzioni delle valutazioni è risultato gravemente peggiorato, il 19% lievemente peggiorato, il 25% è rimasto stabile nel tempo, il 35% è lievemente migliorato e il 16% fortemente migliorato. Questi dati, più che rivelarci un ipotetico miglioramento empirico, ci danno una più chiara visione delle prese di coscienza verificatesi nei singoli individui e di come questi ultimi si siano sentiti in seguito alle sessioni di PP. Fondamentale, inoltre, è ricordare che il tempo che è intercorso tra una fase e l’altra, in questo caso, è di soli quattro mesi, lasso di tempo da considerarsi relativamente breve.
Un altro gruppo di dati importante da tener presente è quello relativo alle risposte ai questionari somministrati alla fine di ogni sessione. Per quanto riguarda il questionario relativo alla fase I (Appendice A) è emerso che vi è una prevalenza di risposte molto per la maggioranza delle domande. In particolare, la quasi totalità degli studenti coinvolti hanno trovato molto utile la loro partecipazione alla prima sessione di PP. Le risposte alla domanda n.5 (Quanto questa sessione di PP ti è stata utile per pensare a fissare degli obiettivi?) riflettono, inoltre, quanto la maggioranza del campione preso in esame abbia considerato utile la prima sessione di PP per il fissaggio dei propri obiettivi.
Riguardo le risposte al questionario somministrato alla fine della fase II (Appendice B) si evince che gran parte degli allievi ha reputato molto utile partecipare alla seconda sessione di PP. Inoltre la metà ha pensato che avrebbe tratto molto vantaggio dall’ultima sessione di PP nel futuro, mentre il 10% moltissimo vantaggio. Anche in questo caso, invece, il 60% del gruppo ha considerato moderatamente, l’utilità del PP per il raggiungimento degli obbiettivi. Un dato particolarmente rilevante riguarda il monitoraggio dei progressi: quasi l’intero campione ha trovato molto utile questo strumento per tenere sotto controllo i propri miglioramenti, mentre il 60% dei ragazzi coinvolti ha trovato il PP di molto aiuto per l’assunzione di maggiori responsabilità per la propria crescita artistica. Osservando i risultati sembra che i partecipanti a questa sessione di PP abbiano preso coscienza di tale opportunità e che abbiano sentito la piena responsabilità del monitoraggio dei propri miglioramenti, che possono scaturire soprattutto dal proprio impegno mentale, oltre che fisico.

 

RISULTATI E DISCUSSIONE: 6°/7°/8° CORSO PROPEDEUTICO MASCHILE

Nel caso di questo gruppo, oltre i dati relativi alle autovalutazioni degli studenti, si sono potute ricavare ulteriori informazioni dalle valutazioni del loro docente. Di seguito sono riportati, in Figura 2 e 3, due esempi grafici che riportano le differenze di percezioni tra il docente e l’allievo per alcune caratteristiche.
Anche per questo gruppo sono state calcolate le differenze delle autovalutazioni,
tra la fase II e la fase I per ogni individuo e per ogni caratteristica: il 35% delle evoluzioni delle valutazioni è risultato lievemente peggiorato, il 44% è rimasto stabile nel tempo, il 20% è lievemente migliorato e l’1% fortemente migliorato.
In generale le valutazioni per ogni caratteristica degli allievi, sia da parte degli studenti stessi che del docente, sono rimaste essenzialmente stabili.
Anche in questo caso è importante riflettere sul lasso di tempo percorso tra una fase e l’altra corrispondente a poco più di due mesi. Inoltre, è bene rimarcare che tale campione, essendo formato soltanto da quattro allievi, rappresenta un numero piuttosto esiguo che non può considerarsi statisticamente rilevante.
Rispetto ai dati ricavati dalle risposte al questionario somministrato alla fine della fase I è emerso che, generalmente, sembra che gli studenti abbiano considerato la prima sessione del PP molto utile, e che si siano sentiti molto aiutati nel prendere coscienza dei propri punti di forza e debolezza. Infine ciò che emerge è che il PP sia stato considerato moderatamente utile a fissare degli obbiettivi.
Rispetto ai dati ricavati dalle risposte al questionario somministrato alla fine della fase II risulta che la maggior parte degli allievi hanno pensato che avrebbero tratto vantaggio dalla partecipazione alla seconda sessione del PP. Anche in questo caso il 50% ha creduto di esser stato aiutato a mettere in luce i propri punti di forza, mentre l’altra metà del campione non ha riscontrato questo effetto positivo. Diversamente, riguardo la messa in evidenza dei punti deboli sembra che gli studenti si siano sentiti maggiormente agevolati. Interessante risulta anche l’osservazione del dato relativo alla domanda n. 10 da cui emerge che tutti i ragazzi hanno riscontrato (molto o moltissimo) una migliore comunicazione con il proprio maestro di danza.
conclusioni

Lo scopo di questo elaborato era proporre l’utilizzo del PP nell’ambito della danza per osservare e valutare gli impatti di tale strumento sui danzatori. Generalmente gli allievi hanno trovato molto utile la loro partecipazione al PP. Essendo il numero dei partecipanti alla ricerca molto esiguo i dati ricavati non possono considerarsi statisticamente rilevanti, ma possono comunque darci un’idea, seppur in piccola scala, degli impatti che il PP potrebbe avere sulla popolazione dei danzatori.
Dai dati ricavati si può evincere quanto sia fondamentale, per acquisire una maggior conoscenza di sé stessi, nello sport, nella danza e nella vita, il semplice fatto di scrivere le proprie percezioni, prendersi un po’ di tempo per guardarsi ed osservarsi dall’interno e per darsi la possibilità di migliorare attraverso il lavoro su sé stessi, semplicemente grazie alla forza della nostra mente.
Vista la moltitudine di vantaggi che il PP può fornire al danzatore e l’assenza di rischi che presenta, è auspicabile che questo strumento venga conosciuto da tutti gli insegnanti di danza e perciò utilizzato sempre più anche nell’ambito coreutico per far sì che i danzatori si formino in maniera sempre più consapevole e sana.

Referenze:
https://www.accademianazionaledanza.it/ Data di ultima consultazione: 04/05/2024
https://www.winningmentalcoach.com/single-post/performance-profiling Data di ultima consultazione: 04/05/2024
• Bandura A., Self-Efficacy: The Exercise of Control, WH Freeman, New York, 1997.
• Butler R. J., Hardy, L., The performance profile: Theory and application. The sport psychologist, 1992, 6(3), pp. 253-264.
• Kelly George A., The Psychology of Personal Constructs, Volume 1, Norton, New York, 1955.
• Lopez D., Cristina, et al. How coach leadership is related to the coach-athlete relationship in elite sport. International Journal of Sports Science & Coaching, 2021, pp. 1239-1246.
• Weston Neil JV, Greenlees Iain A., Thelwell Richard C., Athlete perceptions of the impacts of performance profiling. International Journal of Sport and Exercise Psychology, 2011, 9.2, pp. 173-188.

Metabolismo osseo e alimentazione nei danzatori

Martedì, 17 Settembre 2024 10:07 Scritto da

 

Quando si parla di danza si pensa sempre alla grazia dei movimenti, alla precisione, alla leggerezza ma anche all’equilibrio del corpo umano. La danza infatti è un perfetto “incrocio” fra arte e prestazione.
Parlando di prestazione è logico che la componente alimentazione e altri parametri della salute abbiano una forte importanza anche per preservare funzionalità corporea, massa muscolare e massa ossea.

Proprio sullo studio della massa ossea si è basata una ricerca svolta pubblicata sulla rivista Archivi dell’osteoporosi a settembre 2022 a cura della prof.ssa Tania Amorim, Laura Freitas e di altri autori. Lo scopo dello studio era quello di determinare se i fattori di rischio normalmente associati a una bassa massa ossea fossero presenti nelle popolazioni di giovani danzatori (ad esempio bassa assunzione nutrizionale e alto dispendio energetico). L’articolo analizzava inoltre se e come questi fattori fossero predittori significativi dei cambiamenti della massa ossea negli studenti di danza. Lo studio ha riguardato un totale di 101 ballerini di alta scuola e in giovane età (63 femmine, 12,8 ± 2,2 anni; 38 maschi, 12,7 ± 2,2 anni) e 115 controlli di pari età (68 femmine, 13,0 ± 2,1 anni; 47 maschi, 13,0 ± 1,8 anni). I parametri controllati nei tre anni di studio sono stati di massa ossea misurati annualmente nei siti di impatto (collo del femore, FN; colonna vertebrale lombare, LS) e nei siti di non impatto (avambraccio) utilizzando strumentazione DXA. Sono stati valutati anche la nutrizione, il dispendio energetico (accelerometro), la disponibilità di energia e la concentrazione sierica di IGF-1 (test immunoradiometrici). L’IGF1 è un importante ormone di natura proteica (Somatomedina) riveste un ruolo importantissimo nei processi di crescita del bambino e mantiene i suoi effetti anche in età adulta. Molte azioni del GH (il principale ormone della crescita) sono mediate dall’IGF-1 e viceversa. È stato misurato questo ormone perché al contrario della somatotropina (GH) i livelli plasmatici di IGF-1 sono relativamente costanti durante la giornata e non subiscono le fluttuazioni tipiche degli altri ormoni. Le concentrazioni di IGF-1 aumentano gradualmente nell’età infantile e nella pubertà, per poi calare nell’età adulta. Lo studio (uno dei più lunghi come durata di osservazione) ha dato risultati inaspettati. I ballerini maschi e femmine avevano una massa ossea costantemente ridotta in tutti i siti anatomici rispetto ai controlli dei loro coetanei che non facevano danza. L’IGF-1 non differiva tra i ballerini maschi e i controlli, ma le ballerine ne hanno mostrato più alto rispetto ai controlli. L’assunzione di calcio era significativamente maggiore nelle ballerine rispetto ai maschi. L’assunzione di grassi, carboidrati e calcio da parte dei ballerini maschi era significativamente inferiore rispetto ai controlli. Quella delle femmine era leggermente inferiore ma non di tanto.
Lo studio ha evidenziato dunque che tutti i ballerini (maschi e femmine) presentavano comunque una massa ossea inferiore rispetto ai controlli, sia nei siti di impatto che in quelli di non impatto. Occorre però rilevare che le femmine avevano un maggiore accumulo (positivo) di massa ossea a livello del collo del femore. Da questo dato si potrebbe dedurre che tutti i giovani ballerini possano rappresentare una popolazione a rischio di sviluppare nel tempo un’osteoporosi a rischio lesioni, anche se i maschi hanno dimostrato un indice di rischio più alto.
Personalmente mi sono chiesto da cosa possa derivare questo rischio e sarebbe stato interessante avere più dati. Statisticamente le femmine avendo la menarca in età sempre più giovanile (anche se in popolazioni che fanno attività fisiche intese questa viene ritardata) questo può risultare certamente un fattore che possa favorire il consolidamento osseo. Nei maschi l’ormone chiave per favorire massa muscolare e ossea è il testosterone che inizia ad avere picchi intorno ai 14 anni e potrebbe essere che nel gruppo di questo studio questo ormone non avesse picchi apprezzabili (sarebbe stato interessate ripetere il test intorno ai 18/20 anni). Nello studio si evidenzia come le ragazze avessero un’alimentazione più ricca di calcio. Questo è indubbiamente uno dei fattori chiave per il presupposto di una buona massa ossea (anche se certo non è il solo). L’apporto di calcio biodisponibile può venire più da formaggi stagionati come parmigiano o grana padano (entrambi più di 1 g di calcio per 100 g di prodotto). Analogamente anche lo yogurt grazie al processo di fermentazione ha un ottimo calcio ben disponibile (150 mg in quello greco che ne contiene qualcosa in più dello yogurt tradizionale). Ma anche le mandorle ne contengono ben 240 mg per 100 g. così come noci e pistacchi, sebbene in misura minore, possono essere considerati una buona fonte di calcio (ne contengono 131 mg). Ci si può rivolgere anche ai legumi, infatti i fagioli borlotti hanno un contenuto di calcio di 127 mg per 100 g, mentre 100 g di ceci ne contengono 105 mg. I fagioli di soia, invece, contengono all’incirca 200 mg. Da considerare che occorre fornire da 600 a 1000 mg di calcio al giorno. Ma, come detto in precedenza, per il metabolismo osseo non basta solo il calcio, occorre certo una base ormonale (che si sviluppa con l’età) ma anche la vitamina D, soprattutto D3. Questa vitamina è più corretto definirla un pre-ormone, perché questo ha il compito principale di regolare il metabolismo del calcio e del fosforo (oltre che rinforzare il sistema immunitario e muscolare); e infatti una carenza porta a rachitismo. Ma è importante avere ben chiaro che l’apporto alimentare garantisce solo il 20% del fabbisogno di vitamina D, mentre la maggior parte è sintetizzata dall’organismo tramite sintesi cutanea stimolata dalla luce solare.
L’attività fisica in sé stessa è un fattore stimolante per il metabolismo osseo ma un eccesso di sollecitazioni potrebbe produrre un osso con minore resistenza biomeccanica. Ecco perché è sempre opportuno dosare il lavoro e contemporaneamente avere la certezza che dall’alimentazione e dallo stile di vita arrivino tutti i macronutrienti, le vitamine ed i minerali di cui anche un danzatore/danzatrice ha bisogno.

 

Educare alla danza

Martedì, 17 Settembre 2024 10:03 Scritto da

Alla scoperta del mondo magico del ritmo, del movimento libero e della danza!
Il nuovo progetto formativo di Rita Valbonesi e Rosita Di Firma

I mondi della fantasia, dei sogni e dell’immaginazione sono i luoghi, dove, in maniera più o meno conscia, possiamo dare spazio a emozioni e sentimenti talvolta anche potenti. Possono essere particolarmente animati, vivi e, attraverso il corpo, li possiamo percepire concretamente viaggiando alla scoperta di spazi interiori che si esprimono all’esterno nel rapporto con sé stessi e con l’altro.
Le tecniche per imparare ad ascoltare il proprio corpo sono diverse ma diventa importante, se non fondamentale, cominciare ad offrire strumenti nel percorso di crescita; percorso caratterizzato da desideri, fantasie, immagini e da atti spontanei e naturali. Uno di questi strumenti, quello forse più incline a favorire lo sviluppo del proprio io, attraverso le proprie passioni e le proprie inclinazioni, è l’arte, che può costituire, nel tempo, la risorsa e la vera forza per favorire una buona capacità di ascolto del proprio corpo. La massima greco-antica professata da Socrate “conosci te stesso” risulta infatti più contemporanea che mai e, proprio da questa prospettiva di consapevolezza, possono avere origine percorsi di conoscenza di sé caratterizzati dalla filosofia e dall’arte che risultano essere un ottimo strumento di ordine e chiarezza.

Nel progetto “Educare alla danza” Rita Valbonesi partirà dal raccontare alcune parti del corpo, attraverso immagini adeguate al bambino e darà vita a proposte di movimento per esplorare il corpo, lo spazio e il ritmo; Rosita Di Firma utilizzerà invece il ritmo per sentire il corpo come uno strumento e creare movimento nello spazio. Queste azioni, sapientemente veicolate con il percorso di Anatomia Esperienziale in Movimento, creano un dialogo che permette ai ragazzi e agli stessi insegnanti di percepire una stabilità del corpo, una fluidità del movimento e del pensiero.

La ricerca del percorso formativo parte proprio dal ritmo. Il corpo è ritmo, dal battito del cuore al ritmo delle cellule, senza dimenticare il respiro; la vita è ritmo e per questo tutti i laboratori partiranno proprio dal ritmo dei corpi che verrà scoperto e indagato attraverso il gioco e il movimento.


FINALITÀ GENERALE

Il progetto si rivolge a insegnanti di danza e ad insegnanti di scuola primaria e secondaria sviluppandosi in moduli differenziati a seconda dell’età degli alunni proponendo gli stessi obiettivi ma con contenuti differenti.
L’obiettivo principale è fornire le basi per creare laboratori multidisciplinari che abbiano come comune denominatore la consapevolezza del corpo in movimento e la ricerca creativa del movimento, dello spazio e del ritmo.


RAVENNA 9-10 NOVEMBRE
PRIMO MODULO

1° giornata
Docente: RITA VALBONESI

Il ritmo può aiutare a cambiare la postura ? Quale ritmo e quale postura? Fin dallo stato embrionale il corpo è stimolato da un ritmo interno fisiologico e da un ritmo esterno.
Il ritmo quindi può essere considerato uno strumento ed è fondamentale per la strutturazione dell’asse corporeo.
Gli studi delle neuroscienze degli ultimi anni si sono concentrati molto su come il movimento del corpo sia fondamentale per stimolare e sviluppare la conoscenza di aree fisiche e cognitive.
Un lavoro fatto sul corpo attraverso il ritmo permette di agire sulle aree cerebrali deputate al movimento e sulle aree sensoriali ed emozionali.

2° giornata
Docente: ROSITA DI FIRMA

Ritmo - Elementi di teoria musicale di base (pulsazione, accenti, organizzazione ritmica di un brano.) Focus sulla coordinazione, la memoria attraverso il canto e la riproduzione di schemi ritmici ripetuti.
Come strutturare un laboratorio per bambini/ragazzi utilizzando i materiali sonori forniti o creati.


RAVENNA 30 NOVEMBRE-1 DICEMBRE
SECONDO MODULO

1° giornata
Docente: RITA VALBONESI

Attraverso il lavoro di “ConTATTO” si trasmetteranno i concetti di reciprocità e collaborazione.

2° giornata
Docente: ROSITA DI FIRMA

Passare dalla body percussion al movimento danzato; dopo aver preso in esame un brano, destrutturato ed analizzato ritmicamente, passiamo alla traduzione creativa dello stesso in movimento.

IADMS arriva a Rimini per la 34ª conferenza annuale

Martedì, 17 Settembre 2024 10:00 Scritto da

Medicina e scienza della danza, nota come Dance Medicine and Science, è una disciplina relativamente giovane; la quantità di informazioni disponibili per scienziati, tecnici, medici, insegnanti e per tutti coloro che lavorano nel campo della danza è in rapida espansione e progresso. Questo si riflette anche nell’aumento del numero di pubblicazini scientifiche correlate alla danza che appaiono nelle riviste di medicina e scienza dello sport. La performance nella danza dipende da un gran numero di elementi fisici, fisiologici, tecnici e psicologici. La comune aspettativa è che i danzatori siano esperti sia nel lato estetico che in quello tecnico e che siano, nel contempo, privi di infortuni. D’altra parte, la danza, però, un’attività ad “alto rischio”, in particolare per gli infortuni di natura muscolo-scheletrica, con una prevalenza e incidenza elevata di infortuni relativi agli arti inferiori e alla schiena, con predominanza di lesioni dei tessuti molli, date da uso eccessivo/continuativo. L’80% dei danzatori subisce un infortunio ogni anno. Tuttavia, il 50% dei danzatori cerca assistenza da un medico che non è formato per lavorare con artisti performativi.
Inoltre, il 63% dei danzatori teme di infortunarsi a causa dello stigma percepito, compresa la preoccupazione per come verranno trattati dai colleghi e per come sarà gestita la sostituzione nelle performance.
La maggior parte della letteratura scientifica si riferisce all’analisi di campioni relativi a danzatori “misti”, in termini di livelli, stili o tecniche. Ma è giusto considerare i danzatori come un gruppo uniforme di atleti “performanti”? Una delle caratteristiche peculiari della danza è che non è solo “una forma di arte performativa o esercizio”. Esistono numerosi stili (o tecniche all’interno di determinati stili), tra cui: balletto, danza contemporanea (o moderna), jazz, hip hop, danza teatrale, street dance, aerobica e danza da sala. Questi stili differiscono significativamente in termini di: requisiti tecnici, prerequisiti fisici e modelli di allenamento. Ragion per cui si ritiene necessario applicare a diversi stili di danza, statistiche diverse in termini di tasso di infortunio, tipologia e incidenza.
La situazione si complica ulteriormente quando si considerano i livelli dei danzatori. Nel mondo della danza ci sono diversi “scenari occupazionali” oltre alla classificazione “ordinaria” di professionisti verso non professionisti. Per semplificare, i danzatori possono essere classificati come professionisti, in formazione (vocazionale o non vocazionale) oppure danzatori che possono esibirsi per un certo numero di giorni all’anno, ma che possono avere anche altre occupazioni oppure essere senza un contratto formale (danzatori indipendenti). Il totale delle ore di allenamento e di esibizione, quindi, può variare significativamente anche all’interno dello stesso “stile” a seconda dello “status occupazionale” che, a sua volta, può influire sul tasso e sulla gravità degli infortuni. Pertanto, non sorprende scoprire l’eterogeneità della letteratura sulla medicina della danza in termini di tipo, tasso e incidenza degli infortuni. La maggior parte degli studi di ricerca pubblicati si è concentrata sul balletto e sulla danza contemporanea, mentre manca informazione su altri stili o tecniche. Ancora, la maggior parte degli studi ha esaminato danzatori professionisti o pre-professionisti, mentre ci sono pochi dati riguardanti i danzatori ricreativi e amatoriali, nonostante ci sia un numero stimato di 4,7 milioni di partecipanti a livello ricreativo solo nel Regno Unito.
Associazioni quali la IADMS, International Association of Dance Medicine and Science, supportano e promuovono la produzione scientifica e non, di dati che siano rappresentativi di tutti i danzatori di qualsiasi livello e, di recente, hanno contributo alla divulgazione degli effetti benefici della danza, intesa come esearcizio ricreativo, racchiuso nello slogan “Health for Dance. Dance for Health”. Nel 2019 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha pubblicato un rapporto che rappresenta la revisione delle evidenze più completa fino ad oggi, riguardante le arti e la salute, facendo riferimento a oltre 900 pubblicazioni, tra cui 200 revisioni che coprono oltre 3000 ulteriori studi. Le evidenze mostrano un impatto robusto delle arti, sia sulla salute mentale che fisica e hanno rilevato che le arti possono aiutare a fornire cure multisettoriali, olistiche e integrate incentrate sulla persona, affrontando sfide complesse per le quali non esistono attualmente soluzioni sanitarie. L’OMS afferma che la danza è collegata a un miglior apprendimento, memoria, equilibrio e attenzione.
Attraverso lezioni e sessioni interattive, la 34ª Conferenza Annuale di IADMS è progettata per condividere ricerche pertinenti e innovative nel campo della medicina e della scienza della danza. Saranno presenti oltre 150 professionisti di fama mondiale in ortopedia e medicina sportiva, educazione e accademia della danza, salute mentale, somatica, danza per la salute e altro ancora su tutti gli aspetti del benessere globale in relazione alla danza. Durante i quattro giorni della conferenza, ci sarà un focus sui fattori fisiologici, sociologici e psicologici degli infortuni nella danza, inclusi fattori intrinseci ed estrinseci specifici per il danzatore come atleta e l’uso della danza nell’assistenza sanitaria.

Obiettivi Educativi: dopo aver partecipato a questa attività, i partecipanti dovrebbero essere in grado di:
(a)    Riconoscere la causa dei comuni problemi muscoloscheletrici nei danzatori, nonché le strategie di prevenzione.
(b)    Identificare le risorse mediche e di benessere appropriate disponibili nella comunità per i danzatori/pazienti-danzatori.
(c)    Comprendere l’uso della danza nel contesto della salute e del benessere per comunità/popolazioni di pazienti speciali e generali.
(d)    Comprendere le esigenze specifiche della danza coinvolte nell’allenamento e nel trattamento per le necessità di intervento precoce.
(e)    Identificare quando e come implementare i protocolli di allenamento e trattamento migliori per i danzatori.

IADMS, supportata dalla IDA, terrà il suo 34º congresso annuale in Italia, a Rimini dal 17 al 20 Ottobre 2024.
Vi aspettiamo al PalaCongressi!

 

 

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