C’è una realtà che da oltre trent’anni dà voce a una comunità attiva e vivace di danzatori e ricercatori con un unico obiettivo: “liberalizzare” la danza e renderla fruibile non solo come massima espressione del movimento umano, ma anche come fonte di benessere fisico. Questa realtà è l’International Association for Dance Medicine & Science (iadms).
IADMS porta avanti, rendendo disponibile al pubblico, varie tipologie di ricerche scientifiche volte ad ampliare l’ambito di applicabilità della danza e, ovviamente, volte a fornire ai danzatori nuove fonti su cui basare l’educazione fisica di muscoli e articolazioni fondamentali per la danza oltre a portare nuovo materiale su cui basare la rieducazione fisica post infortunio.
IADMS ha una forte rete internazionale, composta da danzatori, ricercatori, medici ed esperti della salute, una rete che ha trovato e trova la propria forza proprio nella visione che ha per protagonista la danza e come coprotagonista il corpo umano e ha visto in questo connubio un potente alleato della salute.
Ogni anno IADMS organizza convegni di medicina della danza ed eventi ad essa legati. Possiamo chiamarle esperienze concrete, all’interno delle quali, nasce il confronto e nascono gli spunti per proseguire in questo progetto di diffusione della danza su larga scala, partendo dal presupposto che la danza, come alleato della salute, diventa strumento e si lega indissolubilmente con lo stato fisico della persona. Al giorno d’oggi, a livello internazionale, questo punto di vista, che a molti italiani può sembrare “visionario”, è invece un oggetto di studio costante e porta a sviluppi concreti nel miglioramento degli stili di vita della popolazione: non solo i danzatori riescono a superare traumi fisici attraverso l’applicazione di questi studi scientifici, ma le evidenze scientifiche date da queste ricerche hanno dato modo a coloro che hanno acquisito la danza come strumento per il benessere di trovare profondo giovamento nelle sfide quotidiane, sia che esse siano fisiche o mentali.
Parliamo di un progetto visionario perché, soprattutto nel nostro Paese, la danza è ancora vista come un’attività, massima espressione del movimento, e dunque elitaria, ancora sottostante a canoni fisici particolari. Anche se vediamo una sorta di apertura, possiamo tranquillamente sostenere che la danza non viene ancora percepita come strumento per il benessere fisico, bensì il contrario: si fa spesso cenno agli infortuni dei danzatori, alle disfunzioni fisiche che nel lungo periodo colpiscono alcuni danzatori e ciò non fa altro che allontanare e fungere da elemento deterrente rispetto a coloro che potrebbero intraprendere un percorso di danza funzionale al benessere fisico. Il primo obiettivo di iadms è proprio quello di aprire più strade possibili per poter dare una nuova lettura relativa alla danza e ciò avviene anche grazie al convegno organizzato ogni anno in un Paese diverso, in un contesto diverso, per incontrare persone e dare modo al network di ampliarsi e trovare nuova linfa.
In Italia è sicuramente necessario ampliare gli orizzonti e in questo stato di necessità iadms ha scelto per la prima volta di organizzare il convegno Italia a Rimini nel 2024: con grande orgoglio infatti, i due partner italiani di iadms in questo progetto lungimirante, ida e Italian Exhibition Group, hanno dato comunicazione del risultato raggiunto e ne hanno parlato all’ultima edizione di DanzaInFiera insieme alla presidentessa di iadms, dottoressa Nancy Kadel e al dottor Peter Lewton-Brain, in passato presidente iadms e ora membro attivo del board e a capo dei team specializzati nella salute del Ballets de Montecarlo e del comitato scientifico del Pôle National Supérieur de Danse Rosella Hightower di Cannes/Mougins. Proprio Lewton-Brain ci tiene a ribadire l’effetto che lo sviluppo del ruolo della danza nel contesto attuale può essere fondamentale nel miglioramento della salute fisica della popolazione e, conseguentemente, nel miglioramento degli stili di vita.
Quali sono i primi passi da intraprendere per rendere questo processo tangibile nella vita di tutti i giorni? Gran parte del merito e delle responsabilità sono nelle mani degli insegnanti di danza e dei responsabili delle varie scuole di danza, ma se vogliamo andare oltre i confini preposti è necessario che anche gli enti pubblici, le istituzioni legate alle politiche sociali prendano in mano le novità che il mondo attuale propone: aprire le porte di scuole, case di riposo, ospedali e reparti riabilitativi può portare nuova linfa e nuova energia. Infatti, partendo da basi scientifiche concrete, si potrebbero organizzare consapevolmente dei corsi pensati e studiati per tutti, dimenticando per un momento i canoni fisici rigorosi legati alle singole discipline della danza.
Al momento, la necessità di miglioramento delle prestazioni fisiche in ogni ambito della vita pone l’essere umano alla costante ricerca di allenamenti personalizzati e principalmente legati al fitness, ma rendendo fruibili gli studi legati alla danza come strumento di benessere, anche la danza potrebbe entrare a far parte di quel ventaglio di proposte attuabili e senza dubbio interessanti. Danza per la salute, questo il nome del percorso iadms, che fornisce percorsi olistici, attività basate su evidenze scientifiche, volte a gestire le sfide legate alla salute fisica, mentale e sociale dei giorni nostri.
EX Come si definisce oggi Daniele Cipriani nel suo lavoro?
DC Per forza di cose nel mio lavoro devo ricoprire diversi ruoli, ma il ruolo che mi appartiene di più è quello di direttore artistico. Diciamo che il mio lavoro ha diverse sfaccettature e forse oggi più che impresario, che è una parola un pò legata al passato, mi potrei definire “produttore artistico” con un neologismo.
EX In questo Paese essere un imprenditore nel settore della danza è abbastanza singolare, come si è affacciato a questa professione?
DC La mia professione è nata dall’esigenza di capire quello che ero portato a fare, il mio non è stato un ripiego perchè non ero un ballerino tra i più bravi, ma era proprio quello che volevo fare. Nessuno mi ha insegnato il mio mestiere e nessuno mi ha detto che avrei fatto questo. Diciamo che era un’urgenza che ho sentito dentro, una dote, quella dell’organizzazione, che ho riconosciuto quando ero allievo all’Accademia di danza di Roma.
EX La sua formazione coreutica le è comunque servita nel suo lavoro?
DC Assolutamente si. Ho frequentato all’Accademia della Danza di Roma il primo Liceo Coreutico che è stato attivato in Italia che mi ha permesso, tra l’altro, di studiare storia della danza, teoria della danza, storia della musica, solfeggio, che mi sono molto servite nel mio lavoro. Anche se, lo ammetto, il giorno dopo l'esame di ottavo ho smesso di ballare sul palcoscenico e mi sono dedicato all’organizzazione, perchè già sapevo che quella sarebbe stata la mia strada.
EX Cosa ha fatto quindi quando è uscito dall’Accademia?
DC Avevo già iniziato a lavorare mentre ero in Accademia: ero l’assistente del critico di danza Alberto Testa con il quale andavo a vedere gli spettacoli, feci la prima maratona di danza a Spoleto come assistente e avevo organizzato un festival a Genzano con la mia insegnante Francesca Falcone. Poi ho iniziato organizzando corsi di coreografia e conferenze all’Università grazie alle quali ho incontrato Susanne Linke che mi diede subito fiducia facendomi distribuire in Italia il suo spettacolo Im bade wannen, celebre perchè aveva una vasca da bagno in scena, e poi grazie a lei conobbi Carla Maxwell della Limon Dance Company di New York e in seguito l’impresario Paul Szilard che mi diede la distribuzione italiana di Marta Graham.
EX Cosa si sente di consigliare a un giovane che vuole fare questa professione?
DC A un giovane consiglio di ascoltare quello per cui si sente portato. Il lavoro ci deve rendere liberi e felici di quello che facciamo. Non esistono difficoltà se lavori con passione: è quella che ti manda avanti, ti fa superare tutto e tutto viene naturale.
EX Poi ha iniziato ad organizzare dei Gala con un enorme successo… Quando è iniziato tutto? Com’è nata questa idea che sta avendo un clamoroso successo?
DC Il 20 luglio 2004 ho organizzato il primo gala ad Abano Terme e lì ospitavo “il top del top”: Roberto Bolle, Giuseppe Picone, Alen Bottaini, Viviana Durante, l’Aterballetto con la coreografia Steptext di William Forsythe che era stata creata per Elisabetta Terabust.
EX Cosa guida la direzione artistica dei suoi gala, cosa cerca nei danzatori che ospita e cosa ha di più Les Étoiles di un solito gala?
DC Nel caso di Les Étoiles a Roma è quello di presentare il meglio che c’è stato dell’anno precedente sia a livello di interpreti che a livello coreografico. Ad esempio nel 2022 ho portato in scena la coreografia Touché di Christopher Rudd creata durante la pandemia per l’American Ballet Theatre, un passo a due con due uomini che parlava della loro storia d’amore e di cui poi si è parlato molto. Poi mi piace presentare non solo le stelle del momento, ma anche stelle promettenti come Alessandro Frola e Matteo Miccini che sono stati ospitati ad esempio quest’anno.
EX La promozione della danza in Italia non è delle migliori, come è riuscito a creare un varco così significativo in questo Paese?
DC Ho sempre puntato ad un altissimo livello sia per una piccola serata che per un grande evento conquistando la fiducia di direttori artistici di festival e di teatri e cerco di trovare idee sempre nuove. In questo senso per me, a differenza di altri, la pandemia è stata di grande ispirazione.
EX La prima estate dopo il lockdown ha infatti invitato ballerini congiunti e grandi solisti della musica, come le è venuta questa idea?
DC Quando Conte in una delle sue innumerevoli conferenze stampa “notturne” ha detto che i congiunti sarebbero potuti stare insieme, ho avuto un’illuminazione e ho pensato di proporre al Ravenna Festival e al Festival di Nervi uno spettacolo, che avevo già in testa da tempo, in cui unire i grandi solisti della danza e della musica come il violoncellista Mario Brunello e la pianista Beatrice Rana che in “tempi normali” non sarebbero stati disponibili perchè di solito impegnatissimi in tour mondiali. Stessa cosa per lo spettacolo che ha debuttato nell’estate del 2020 al Festival di Spoleto.
EX Parla dello spettacolo Le creature di Prometeo, le creature di Cappucci? Come è nato questo connubio che continua ancora oggi?
DC Ho iniziato a collaborare con il maestro per un gala per due costumi e a 91 anni Roberto Cappucci ha realizzato il suo primo tutù della sua carriera per il Cigno bianco e il Cigno nero. Poi abbiamo avuto questa idea e abbiamo avuto la conferma definitiva della messa in scena dello spettacolo solo il trenta di maggio dal Festival di Spoleto (per andare in scena ad agosto) e la sartoria è riuscita a realizzare quindici costumi in un mese mentre in tempi normali ne sarebbero serviti quattro/ cinque di lavorazione.
EX E poi per le coreografie ha chiamato Simona Bucci? Come mai questa scelta?
DC Conosco Simona da tempo e la scelta delle coreografie di Simona Bucci è stata dettata dal fatto che ha un tipo di movimento che avrebbe potuto esaltare il costume e non viceversa: il danzatore era così al servizio delle “sculture” del maestro Capucci.
EX Come è nata poi l’idea della compagnia Daniele Cipriani?
DC Qualche anno fa non sopportavo l’idea che ci fossero allestimenti di scene e costumi che fossero nei depositi dell’Aterballetto. Così proposi all’allora direttore di comprare gli allestimenti degli spettacoli coreografati da Amedeo Amodio che secondo me avevano lasciato un segno nella storia della danza italiana: Schiaccianoci con le scene e i costumi di Lele Luzzati, Carmen con scene e costumi di Luisa Spinatelli e Coppelia con i costumi Luisa spinatelli e scene di Lele Luzzati. Da qui nacque la compagnia con la volontà di rimettere in scena balletti classici italiani, come i lavori storici dell’Aterballetto e poi su questo filone di recupero del repertorio italiano chiesi anni dopo a Mauro Bigonzetti di rimontare Mediterranea, il suo lavoro più rappresentato al mondo. Con la compagnia tendo molto a valorizzare il talento italiano riportando i danzatori italiani che sono in giro per il mondo come Davide Dato, Jacopo Tissi, a suo tempo anche Eleonora Abbagnato. L’idea è far crescere giovani talenti italiani con la compagnia. Il problema è che poi quando diventano bravi se ne vanno all’estero e quindi spesso è un ricominciare.
EX Poi con la compagnia nel 2019 ha prodotto lo spettacolo Shine…
DC Lo spettacolo è nato grazie a due incontri fondamentali: Gilda Petronelli produttrice dei Pink Floyd Legend e Micha van Hoecke che, durante un pranzo, scoprii essere un grande fan dei Pink Floyd e da lì è nata la mia idea di creare insieme un’opera rock. Van Hoecke, che ha lanciato il suo modo teatrale di fare danza alla béjartiana, ne ha curato coreografie e regia. Shine ha debuttato a giugno 2019 al Ravenna Festival e ora è di nuovo in tour iniziando da Roma con 2.400 presenze.
EX Si è fatta un’idea del pubblico che segue i suoi eventi?
DC Il mio è un pubblico trasversale, dagli appassionati ai giovani dalle scuole di danza. La presenza dei giovani è sempre massiccia nei miei spettacoli… almeno per ora (ride n.d.r.).
EX E che clima si respira nei suoi eventi?
DC In particolare durante le repliche di Les Étoiles sembra di essere in uno stadio di calcio! E’ davvero un’atmosfera molto singolare anche con il tifo! Poi ci sono spettatori da tutta Italia, dall’Europa e dal mondo come da Mosca, dal Brasile e dal Messico.
EX Tra i prossimi progetti un focus sul flamenco? Come è nata questa idea?
DC A gennaio 2024 proporrò lo stesso format di Les Étoiles ma dedicandomi al flamenco. Las estrellas del flamenco sarà un viaggio alla scoperta dei nomi più in voga del panorama delle danze spagnole. E’ un mondo che mi affascina molto ed è una nuova sfida per me!
EX Da qua in avanti cosa si aspetta di lasciare con la sua esperienza e la sua firma che è diventata così famosa in questo settore?
DC Avere un pubblico che ti segue è bellissimo e ti mette in una posizione di privilegio; per questo ritengo sia importante dare a questo pubblico anche un messaggio, che non sia solo estetico e di puro intrattenimento ma anche di sensibilizzazione su dei temi che mi stanno a cuore. Avrei parlato con Daniele Cipriani anche per un’altra ora perchè con grande naturalezza e modestia racconta il suo percorso lavorativo davvero unico; dove ha potuto contare su un’esperienza incredibile e perchè ha avuto l’onore di lavorare con i più grandi. Lo guidano onestà, semplicità, sincerità e la sua passione che rende tutto più facile e perchè, come ha dichiarato, è “assetato di amore e di bellezza”.
Un professionista che vive di danza lo sa, quando arriva la fatidica domanda “che cosa fai nella vita?” sa già che, dopo aver risposto, arriverà anche una seconda domanda che suona più o meno così: “no, ma intendo per lavoro!”.
Siamo tutti consapevoli del fatto che vivere di danza è percepito quasi come un privilegio, un lavoro che in realtà, secondo la percezione generale, proprio un lavoro non è.
Cominciano così interi discorsi, dialoghi, question time, che portano dietro luoghi comuni e idee anacronistiche, legate a un tempo dove vivere di arte era mera utopia.
Ci ritroviamo spesso a cercare di comprendere punti di vista per poi spostare l’attenzione su tutto il percorso che porta a diventare ballerini, coreografi, maestri, studiosi, tecnici e, a vario titolo, professionisti nel mondo della danza.
Si può lavorare nella danza, con la danza, per la danza e su questo non abbiamo dubbi, ma a parte lo studio delle varie discipline e delle varie tecniche, è utile riflettere e comprendere quali siano i percorsi da intraprendere per fare di questa grande forma d’arte la propria professione.
Innegabile l’assenza di percorsi lineari e conformi, ogni professionista parte dalle proprie inclinazioni personali, scegliendo poi le tappe da raggiungere. Sono formazioni lontane da quelle canoniche, sono professioni che richiedono intraprendenza e talvolta un po’ di coraggio.
Il talento è fondamentale, ma non raggiungere livelli da primo ballerino o da prima ballerina non significa dover rinunciare al proprio obiettivo.
Un ballerino decide di rendere il proprio corpo e le proprie capacità lo strumento di lavoro essenziale per la propria vita lavorativa, ma ciò non significa essere obbligati a legarsi a una singola istituzione: può invece decidere di muoversi autonomamente nella “giungla” della ricerca del lavoro, libero di gestire il proprio tempo e il proprio corpo, scegliendo in questo modo dove e con chi lavorare.
Ci sono compagnie in Italia e all’estero con lavori costanti che organizzano audizioni anche a cadenza annuale. Mettersi alla prova in queste audizioni, porta a conoscere altri danzatori alla ricerca di un posto da professionista nel mondo della danza, significa conoscere persone con cui condividere un obiettivo, significa conoscere danzatori con background diversi e per questo utili anche nel proprio percorso formativo. Partecipare a un’audizione non significa semplicemente esibirsi davanti a maestri, ma significa anche cominciare a mettersi alla prova con le proprie emozioni e con le proprie debolezze. Significa lavorare su un piano diverso del proprio percorso di crescita e spesso aprono porte che neppure si potevano immaginare.
Come ben sappiamo però la danza è parte integrante di un complesso meccanismo creativo. Si comincia da piccoli, muovendo i primi passi, si prosegue poi trovando nella danza una passione, ma molti, con il passare degli anni si rendono conto che oltre alla danza c’è di più! Molti, infatti, cominciano ad ascoltare la musica con altre orecchie, al tempo di danza, immaginando una coreografia, fantasticando su un corpo che diventa linea e costruisce mondi. Qui si aprono nuovi orizzonti: studiare coreografia è possibile, le scuole e i corsi esistono, ma un consiglio che diamo è quello di cercare corsi riconosciuti a livello nazionale, in particolare i corsi riconosciuti a livello nazionale, come ad esempio i corsi riconosciuti dal MIUR, che prevedono sempre il rilascio di un diploma. La regolamentazione delle professioni dello spettacolo è ancora in corso d’opera, ma, burocraticamente parlando, è bene avere in mano certificazioni riconosciute così da non incorrere in problemi di vario genere, ma soprattutto per vedere riconosciuto il proprio percorso anche da enti certificatori.
Il ruolo del coreografo è fondamentale, molti insegnanti nella routine delle prove quotidiane mettono in pratica le proprie capacità coreografiche, ma per rendere questa una professione è importante anche mettersi alla prova con produzioni esterne alla propria scuola.
La gavetta fa parte del percorso di tutti noi ed è giusto così, solo a inizio carriera si ha la possibilità di provare e sbagliare, inventare e diventare così unici.
Frequentare stage, contattare produzioni e teatri è sempre un buon modo per trovare la soluzione migliore e buttarsi in questo mondo.
Come per i ballerini freelance, anche il coreografo, a seguito di una buona formazione, può scegliere di creare la propria compagnia e cominciare un nuovo entusiasmante cammino. Anche qui raccomandiamo sempre di contattare le istituzioni, dare idee e spunti, collaborare per creare nuovi percorsi artistici insieme alla cittadinanza.
Quando si tratta di arte, qualsiasi essa sia, si tende a distinguerla dal mondo del lavoro, si tende ad allontanarla da ciò che è legato al “vile denaro”, come se le discipline dell’arte fossero tutte discipline filantropiche: da sempre l’artista difficilmente viene inserito in categorie professionali prestabilite e ciò è anche la conseguenza della tendenza degli artisti di porsi ai margini della società, per liberarsi dalle costrizioni e costruzioni, esprimendo liberamente il proprio essere.
La necessità di inserire la danza all’interno di categorie professionali, ha portato ovviamente anche alla nascita di altre figure, che hanno permesso l’istituzionalizzazione di quest’arte.
Figure come quelle del critico e dello storico della danza hanno reso l’esperienza artistica più concreta, forte di giudizi legati a racconti storici ben precisi, i quali hanno permesso alla danza di diventare una professione socialmente riconosciuta.
Molte sono le scuole che preparano il professionista in questo percorso e ciò può anche aiutare nell’intraprendere il mestiere del maestro.
Un maestro può esserlo di danza, ma anche di storia della danza; dai licei coreutici alle accademie, i percorsi sono vari e destinati a crescere.
Consigliare l’iscrizione a un liceo coreutico può aprire diverse porte e sicuramente non preclude eventuali cambi di direzione post diploma. Se poi si decide di continuare con lo studio della danza e della sua storia, accademie e università con corsi specifici esistono sia in Italia che all’estero.
Sono tanti i ballerini che mirano a diventare insegnanti di danza una volta appese le scarpette al chiodo (anche se come tutti sappiamo, le scarpette, un danzatore, non le appenderà mai al chiodo per davvero!).
La carriera dell’insegnante di danza è una delle più popolari tra i danzatori e le possibilità sono numerose, ma anche in questo caso conviene verificare i requisiti per poter collaborare con palestre e associazioni, poiché al momento è richiesto il tesserino tecnico, come da regolamento CONI.
Un danzatore è un artista a 360° e spesso convive con altre passioni, come la musica e la fotografia.
Un musicista può specializzarsi nell’accompagnamento delle classi accademiche, i posti non sono molti, ma la ricerca di pianisti per le classi di danza classica è sempre piuttosto impegnativa. Le persone con questa specializzazione non sono molte, ma esiste un corso di “Pianista Accompagnatore” organizzato dall’Accademia Nazionale di Danza.
Un fotografo invece può specializzarsi nella fotografia di danza oppure seguire corsi di videomaker e utilizzare l’occhio del fotografo per creare contenuti video ormai fondamentali in tutti i settori, compresa la danza.
Fotografare la danza richiede un occhio tecnico specializzato, profondo conoscitore di passi e tecniche, per questo un professionista in questo senso può trovare lavoro per scuole di danza durante stage, corsi e saggi, ma anche nei teatri, per le compagnie e le accademie. Le possibilità sono numerose.
Anche in questo caso mettersi alla prova è sempre un buon punto di partenza, per questo consigliamo di creare contatti con enti di formazione di qualsiasi tipo, cercando di allenare l’occhio il più possibile.
Allo stesso modo, se si desidera imparare a creare video di danza, il lavoro è complesso e necessita della guida di figure specializzate nel settore. Purtroppo saper maneggiare uno strumento non garantisce un risultato perfetto, perché per poter raccogliere materiale buono è necessario saper vedere e guardare oltre alla mera esecuzione di un passo.
Ci sono diversi siti che raccolgono le proposte di lavoro nella danza, una ricerca su Google ed ecco spuntare diverse opzioni, sia in Italia che all’estero.
Per chi vuol trasformare questa passione in professione le occasioni e le possibilità non mancano, l’importante è riuscire a far emergere la propria unicità.
C’è stato un momento della mia vita in cui dovevo capire che cosa fare da grande: continuare a ballare sentendomi dire che ero troppo “in carne” per fare la ballerina classica (in realtà pesavo 50 kg per 1,60 m)
oppure capire come poter nutrire il mio organismo sentendomi sana nel corpo e nella mente.
Durante i miei ingaggi come ballerina, ho studiato all’università a Milano dove ho preso la laurea triennale in Scienze e Tecnologie alimentari e successivamente la laurea specialistica in Qualità e sicurezza dell’alimentazione umana. Questo con l’intento di poter essere d’aiuto a tutte quelle persone che, ancora oggi, sostengono, sbagliando, che essere sottopeso sia un obiettivo e quindi una prerogativa fondamentale per essere un buon ballerino. E oggi, nella scuola di danza che dirigo, seguo le mie allieve, non solo nella dinamica di movimento ma, se necessario, anche dal punto di vista nutrizionale. Ritengo che il cibo sia l’unica cosa che nutra veramente, anima e corpo: un danzatore ben nutrito salva se stesso, preserva il suo strumento di lavoro e, di conseguenza, dona gioia agli altri!
Anche un danzatore professionista però può vivere con serenità una pausa estiva, evitando così di rischiare l’over training ed evitando situazioni di stress mentale che, stimolando il cortisolo, allontanano ulteriormente la condizione fisica ottimale.
Quando tuttavia “si torna alla sbarra” dopo tanti giorni di vacanza è sempre un trauma, non solo per i ballerini, ma per tutti gli atleti!
È chiaro che occorre partire dal presupposto che, dopo una pausa, il corpo abbia bisogno di qualche giorno prima di arrivare al massimo della sua efficienza, e per fare questo occorre cominciare con dei workout idonei. Il vero “dramma”, però, è avere a che fare con il “nemico” di tutti i danzatori, ossia “mr Mirror”, Specchio, per gli amici! A meno che non si siano fatte vacanze da eremita in cima alla montagna nutrendosi di anima e respirazioni profonde, di solito l’alimentazione durante le vacanze estive non segue propriamente un regime così consono e nutrizionalmente valido!
Possiamo sicuramente godere di momenti con amici, partecipare ad aperitivi sulla spiaggia, ai pic nic estivi sui prati, alle grigliate, ai fritti misti in barca, provare golosità e piatti tipici delle località di vacanza: è giusto, è parte integrante della vacanza ed è fondamentale per ricaricare di energie il proprio corpo in vista della nuova stagione.
Basteranno poi alcune semplici accortezze al rientro per perdere quei grammi di troppo e aiutare il corpo a detossificarsi con facilità:
• Innanzitutto bere tantissimo: acqua naturale a temperatura ambiente o fresca fin dal mattino, appena svegli due bicchieri pieni;
• Una colazione completa di carboidrati, proteine e fibra: ad esempio frutta fresca di stagione, mandorle e noci, avena e cereali in granola, 1 yogurt bianco greco, 1 tisana alla rosa canina.
• Spremuta di arance rosse a metà mattina.
• A pranzo un pasto completo con riso basmati, o ancora meglio integrale, condito con tonno o salmone e verdurine.
• A merenda una banana non troppo matura (con basso indice glicemico).
• A cena a scelta tra proteine animali (carne bianca: pesce, pollo…) o proteine vegetali (legumi) e verdura a piacere.
• Evitare sale e sostituirlo con erbe aromatiche, formaggi troppi stagionati, salumi e carni rosse.
• Integrare con magnesio non è mai una cattiva idea, riduce la possibilità di avere crampi ai primi allenamenti.
• Prima di coricarsi consiglio sempre una tisana al finocchietto e melissa con un cucchiaino di miele se necessario.
È importante sapere che, una volta finito l’allenamento, l’arco di tempo adeguato per mangiare, chiamato “finestra anabolica”, si colloca tra i 30 minuti e le 2-3 ore dal termine della lezione. In questo periodo il fisico recupera i fluidi e gli elettroliti (come sodio e potassio) persi con il sudore e lo sforzo muscolare; inoltre le cellule ripristinano le scorte di glicogeno muscolare ed epatico e le fibre muscolari, “danneggiate” con l’allenamento, si rigenerano.
Quindi il mio suggerimento è mangiare bene, rispettando le tempistiche corrette: il ritorno alla sbarra sarà sicuramente più dolce.
Con l’augurio di un buon inizio anno accademico...vi auguro buon appetito!
I giovani, da sempre, crescono con la voglia di conoscere ed esplorare il mondo. Poter vivere esperienze oltre confine, conoscere, rapportarsi e misurarsi con nuove realtà e culture, significa per molti accettare di vivere sfide, cercando di mettersi alla prova su diversi aspetti della quotidianità.
Molto spesso partire significa interagire con diversi modi di interpretare la vita e diverse modalità di viverla.
Per i danzatori significa incontrare nuovi stili, nuovi ritmi, significa mettere da parte la propria storia nella danza per integrarla e sicuramente per arricchirla.
In breve, brevissimo, questa è la storia di tanti, ma
oggi parliamo della storia di Irene Paci, ballerina di 27 anni, residente a New York da ormai 7 anni.
Parliamo con Irene in questa calda estate statunitense, in una delle sue giornate ricche di incontri e di danza!
Irene, raccontaci un po’, come e quando sei arrivata negli Stati Uniti?
La mia storia americana inizia nel 2015 a Parigi presso Il Centre International de Danse, Rick Odums. La scuola coltiva da sempre uno stretto legame con la Compagnia Alvin Ailey American Dance Theater ed è grazie ad un seminario organizzato dall’istituto che ho avuto il piacere di conoscere le grandi ballerine Sylvia Waters ed Elisabeth Roxas. Per una settimana, ogni mattina, avevamo l’opportunità di assistere alle conferenze sulla storia di Alvin Ailey, fare lezione di Tecnica Horton e imparare il repertorio della compagnia. Quando alla fine della settimana Elisabeth Roxas mi ha invitata a partecipare all’audizione per la loro scuola a New York non ci ho pensato due volte: era un’occasione che non potevo perdere.
Nel 2015 quindi sono arrivata a New York per frequentare la scuola di danza The Ailey School. Sono arrivata in America come studente e dopo tre anni ho conseguito il Certificate Program. Finita la scuola sono rimasta un altro anno per avere la possibilità di fare nuove esperienze lavorative e scoprire meglio la scena artistica americana, così ho avuto il piacere di esibirmi in lavori di Stefanie Batten Bland, Navarra Novy-Williams, Francesca Harper, Darshan Bhuller, Alessio Silvestrin, Alex Ketley, Alvin Ailey, Earl Mosley, Brice Mousset, Darrell Moultrie, solo per citarne alcuni.
Sono arrivata qui per un periodo di formazione, ma chi avrebbe mai immaginato che mi sarei ritrovata qui, ancora oggi, dopo 7 anni!
Perchè hai deciso di partire, quando hai capito che la tua strada sarebbe stata all’estero?
Mi è sempre piaciuto molto viaggiare, provare nuove esperienze, partire per nuove avventure.
Fin da piccola sono stata abituata a studiare danza non solo con ottimi insegnanti italiani come Michele Politi, Cristina Amodio, Silvio Oddi ma anche con grandissimi insegnanti stranieri quali Geraldine Armstrong, Bruce Taylor, Marc Du Bouays, Claudie Winzer, Kathryne Wade, Samuel Wuersten per nominarne alcuni. Questo sicuramente ha influenzato molto le mie scelte.
Sono cresciuta con un po’ di sfiducia e preoccupazione sul futuro in Italia come danzatrice. Nonostante i bellissimi teatri italiani, spesso questi rimangono inutilizzati. All’estero ho sempre percepito un’attenzione diversa nei confronti dell’arte, forse una maggiore educazione al teatro e alla danza.
Non c’è stato un vero e proprio momento in cui ho deciso di partire. Ero molto determinata e tutto è venuto molto naturale. Sapevo che volevo continuare a ballare così durante l’ultimo hanno di studi al Liceo Classico Niccolò Forteguerri di Pistoia ho fatto alcune audizioni per delle accademie di danza in Europa e dopo essere stata accettata, una volta ottenuto il diploma, ho scelto di partire e continuare la mia formazione in danza classica, jazz, moderna e contemporanea a Parigi.
Cosa significa vivere in America per te? Quali le differenze con la quotidianità italiana?
Per il momento, vivere a New York è la mia più grande sfida.
In questa città puoi avere delle opportunità che nessun’altra parte nel mondo offre. Qui, rispetto all’Italia, ci sono molte più possibilità di realizzare i propri progetti. Tutto scorre velocemente. Ogni corsa in metropolitana è una sfida contro il tempo, ma con il carattere giusto, con determinazione e tenacia, la sfida si trasforma in stimoli continui. É una città che invita a guardarci dentro, a mettere a fuoco limiti e paure, a conoscere a fondo la propria personalità, il proprio essere e i propri sogni e tutto ciò si concretizza in una crescita continua e spesso inaspettata.
Vivo ogni giorno in un ambiente dinamico dove le opportunità di confronto con persone con background diversi non solo è possibile ma è continuo: in ogni momento può accadere qualcosa di sorprendente e in ogni angolo della città puoi trovare qualcosa o incontrare qualcuno che può cambiarti la vita.
In Italia viviamo la quotidianità con un’energia diversa, i ritmi sono molto più lenti. E questo ha i suoi lati positivi, ma anche molti negativi.
Nonostante il dispiacere di non vedere crescere il mio Paese come vorrei, più sono lontana e più mi convinco che l’Italia sia uno dei Paesi più belli al mondo, ma con poche opportunità di crescita.
Oltre alla vita a NY non abbiamo parlato molto della tua vita come danzatrice. Parlaci della tua quotidianità.
Attualmente sto lavorando in diverse compagnie di danza.
Una di queste è Jamel Gaines Creative Outlet, e amo davvero quello che facciamo. Mi sono esibita con la compagnia al teatro Bric Arts Media nella coreografia di Christopher Huggings, “Mothers of War”.
Dal 2019 collaboro con il ballerino, coreografo e filmmaker Hussein Smko, fondatore e direttore artistico della compagnia ProjectTAG Dance Theater NYC e con la Caterina Rago Dance Company.
Recentemente mi sono esibita al New York City Center insieme alla compagnia Faustine Lavie Dance Project nella coreografia Outburst, un lavoro sul conflitto tra il nostro profondo istinto interiore, quello più crudo e selvaggio, e l’immagine che vogliamo dare di noi stessi alla società.
La compagnia è stata selezionata per esibirsi nel programma autunnale 2022 Emerging Artists Theater. Stiamo lavorando su nuove coreografie per la nuova produzione che sarà presentata il 14 ottobre 2022, al TADA Theater di Manhattan.
A New York la maggior parte del mio tempo lo trascorro negli studi di danza, dove ho prove per gli spettacoli o in metropolitana per spostarmi da una parte all’altra della città.
Mi alzo alle 5 o 6 del mattino ogni giorno, colazione abbondantissima, prendo la metro e in base alla sede di ciascuna compagnia vado a Brooklyn, Manhattan o nel Queens.
A volte capita che abbia prove con più compagnie nella stessa giornata, il che richiede una spiccata versatilità.
Quando posso cerco di fare una lezione di Pilates che dal 2019 è diventato la mia ancora di salvezza e parte della mia professione. Scelgo il metodo originale, quello insegnato e diffuso da Romana Kryzanowska, allieva diretta di Joseph Pilates.
La sera, se le prove non finiscono troppo tardi, cerco di andare a vedere uno spettacolo. I miei spettacoli di danza preferiti sono al teatro Joyce o al Brooklyn Academy of Music.
È bello perché vivo ogni giorno in una comunità artistica, in un ambiente in continuo movimento e per questo molto stimolante, ma al tempo stesso molto stancante, per questo cerco comunque di ritagliare momenti di riposo totale, fondamentale per raggiungere obiettivi e traguardi.
Ti chiedo se puoi quindi darci alcuni consigli utili e concreti per aiutare ballerini col sogno americano a raggiungerlo.
Il primo consiglio che vorrei dare a chiunque voglia intraprendere questo percorso è di ascoltarsi, sentirsi, farsi tante domande e cercare di capire chi si vuole essere, perché si vuole ballare, in modo da intuire se è una cosa di cui non si può fare a meno, se è davvero una passione.
Il mondo è pieno di ballerini e ballerine. Quello che ti farà andare avanti è la tua personalità, la tua unicità. Il mio consiglio è davvero quello di focalizzarsi sull’ascolto di se stessi e su ciò che ci piace fare perché poi scegliere la direzione da prendere non sarà così difficile e niente sarà un sacrificio.
Bisogna essere determinati, avere la voglia di migliorarsi ogni giorno e trovare il coraggio di non abbandonare tutto al primo ostacolo. Perché gli ostacoli durante il cammino sono tanti. È un mestiere che richiede tanti sacrifici, ma se ci sono passione, determinazione e costanza si può costruire una carriera e avere il privilegio di fare quello che si ama. Poi serve intuito, sano realismo e tanta fortuna, soprattutto quella di trovarsi nel posto giusto al momento giusto, ma il primo passo è quello che più conta per cominciare questa grande avventura.
Cosa succede quando la ginnastica artistica, l’acrobatica e il Calisthenics incontrano la danza e il musical? Ce lo racconta Andrea Neyroz, ginnasta, docente per la Federazione Italiana Fitness e acrobata nel cast internazionale di Notre Dame de Paris, lo spettacolo dei record, ora in tournée in Nord America.
Riusciamo a parlare con Andrea tra uno spettacolo e l’altro, la tournee è in Canada al momento ed è in pieno svolgimento: ci sono spettacoli quotidiani e, in alcuni casi, anche due spettacoli al giorno.
Il tuo primo amore, la ginnastica artistica. A che età hai cominciato?
I primi passi in palestra risalgono a tanti anni fa. Si trattava di una ginnastica propedeutica ovviamente, ma i primi salti e le prime capriole riuscivano a soddisfare tutta la vivacità e la carica caratterizzanti quell’età.
Ho cominciato in una società sportiva di Ravenna, Edera, e da lì è iniziato il mio percorso, quel percorso che mi ha portato a Ferrara, dove ho potuto gareggiare nei campionati di Serie A.
Nella ginnastica, come nella danza, l’eccellenza deriva dalla dedizione. Quante ore al giorno dedichi all’allenamento?
Ci vuole tanta dedizione e tanta concentrazione, la preparazione fisica e quella mentale sono egualmente fondamentali nel raggiungimento di obiettivi agonistici di un certo livello.
Ho iniziato ad allenarmi molto sin dai primi anni di attività: 4 allenamenti a settimana da 2 ore circa erano parte della mia routine già all’età di 7/8 anni.
Adesso, non facendo più gare da ormai 6 anni, ma dedicandomi maggiormente all’insegnamento e agli allenamenti di Calisthenics e di ginnastica finalizzata allo spettacolo, mi alleno mediamente sempre 2 ore al giorno, 6 giorni a settimana, con allenamenti finalizzati al potenziamento e alla resistenza.
Sei anche avvocato, come sei riuscito a coniugare l’agonismo con gli studi?
Finito il liceo avevo due percorsi tra i quali scegliere: dedicarmi totalmente alla ginnastica o intraprendere un nuovo percorso di studi.
Ho scelto la seconda, mi sono iscritto a Giurisprudenza, perché dedicare una vita solo alla ginnastica avrebbe potuto avere risvolti negativi. Purtroppo la ginnastica artistica non paga se non a livelli molto alti (come ad esempio gareggiare alle Olimpiadi).
Devo ammettere comunque che l’organizzazione e la dedizione hanno sempre caratterizzato la mia vita. Dovendo allenarmi tutti i giorni ho imparato a suddividere in maniera rigida e schematica la mia giornata, dedicando parte di essa allo studio e all’allenamento. Ammetto che questa disciplina di tipo “militare” deriva proprio dalla mia formazione nella ginnastica e ha finito per caratterizzare gran parte della mia vita.
Mi sono laureato, ho la laurea magistrale in Giurisprudenza e ho anche sostenuto l’esame di Stato, ma dopo i primi mesi di lavoro, di pratica, mi sono reso conto che il percorso scelto non poteva essere il mio futuro. Non mi piaceva, non mi appassionava, al contrario, questa passione l’ho trovata nell’insegnamento. In contemporanea allo studio ho portato avanti, infatti, anche il lavoro come docente di Calisthenics per la FIF (Federazione Italiana Fitness) e come preparatore atletico, capendo di aver trovato una strada appagante.
Nel frattempo non sono mancate diverse soddisfazioni personali, come l’uscita del libro dedicato al Calisthenics, a dimostrazione del fatto che sto approfondendo davvero molto questa disciplina insieme al team docenti FIF del settore Calisthenics.
Ora parliamo di Notre Dame De Paris, che come ben sappiamo, festeggia quest’anno i 20 anni sui palchi italiani. Nuova esperienza, prima col tour italiano ora col cast internazionale: ci vuoi raccontare gli step che ti hanno portato a far parte di questo spettacolo?
Notre Dame De Paris è effettivamente una di quelle soddisfazioni personali di cui accennavo prima, una vera sorpresa, un’esperienza straordinaria. Proprio 6 anni fa, l’inizio dell’avventura con Notre Dame mi ha spinto a lasciare la carriera di avvocato.
Oggi invece mi ritrovo a festeggiare il ventennale di questo magico spettacolo proprio in tour in Nord America. Abbiamo aperto con la premiere di New York, forse la tappa più importante di tutta la storia del musical: emozione fortissima! Teatro stupendo e pubblico unico. Ammetto che New York è una città magica.
Il mio percorso in Notre Dame è iniziato sei anni fa: dopo tre provini a Roma sono stato uno dei cinque selezionati per il ruolo di acrobata per il tour italiano durato due anni. Questa prima esperienza mi ha fatto crescere moltissimo: il confronto con un ambiente nuovo, con persone dal background diverso dal mio mi ha dato modo di aprire la mente e cominciare a crescere come artista. Ho imparato a lavorare con ballerini eccezionali, a capire come si lavora in un teatro davanti e dietro le quinte, a interpretare un ruolo all’interno di coreografie.
Questo tour estero è sicuramente diverso rispetto a quello italiano, per il quale mi avevano già chiamato nel 2018, ma per motivi di lavoro e personali in quel momento avevo dovuto declinare. Quest’anno, quando ho ricevuto la chiamata, non ci ho pensato due volte: avevo già rinunciato una volta e non avevo intenzione di rinunciare nuovamente a un’esperienza di tale spessore.
Sappiamo bene che Notre Dame De Paris è uno spettacolo sentito in tutto il mondo, la versione italiana riscuote sempre molto successo, però la versione francese, quella che viene presentata in tutto il mondo, è senza dubbio un mix esplosivo di talenti provenienti da tutto il mondo e questa la rende un po’ più speciale.
Cosa significa per un ginnasta diventare acrobata, imparare coreografie e lavorare con la danza in uno degli spettacoli più famosi al mondo?
Ti dico la verità, è stato piuttosto complesso, lo ammetto!
Prima di iniziare il tour italiano, sei anni fa, abbiamo fatto un mese di prove quotidiane che mi hanno messo a dura prova, infatti in un primo momento ho anche pensato di non essere all’altezza: ero in mezzo a ballerini fenomenali, ovviamente abituati a memorizzare passi e coreografie. Io ero forte nei salti, ma mi mancava il resto, per questo è stato davvero un primo mese intenso!
Un mondo completamente nuovo per me, non solo perché mi sono dovuto misurare con la danza, ma perché ho dovuto imparare a interpretare ruoli e a curare l’espressività. Mi è piaciuto moltissimo e ringrazio il fatto di aver avuto la possibilità di lavorare con veri artisti, con una grande esperienza alle spalle.
Notre Dame De Paris è uno spettacolo di dimensioni straordinarie, ma non è così facile comprendere le varie sfaccettature fino a quando non si entra dentro alla macchina organizzativa. Quando ho capito il seguito in termini di pubblico ho percepito un carico di responsabilità non indifferente, ma poi ci si prende la mano. Gli spettacoli sono quasi quotidiani, la tensione c’è sempre, ma mi godo il momento e la carica di adrenalina!
Mentre parliamo sei in Canada. Qual è la tua giornata tipo in questo tour nordamericano?
In Canada facciamo diverse tappe perché lo spettacolo è in francese, qui lo spettacolo è davvero molto conosciuto e i cantanti sono molto famosi, quindi c’è sempre il tutto esaurito.
Ora sono a Québec City, dopo aver trascorso due settimane a Montreal.
Non esiste una vera e propria giornata tipo, dipende dagli spettacoli in programma: se lo spettacolo è la sera, la mattinata è libera, ci si allena nel pomeriggio in preparazione dello spettacolo oppure abbiamo la seduta dal fisioterapista. La convocazione per lo spettacolo è verso le 18 per preparazione e trucco.
Il sabato e la domenica, con il doppio spettacolo, la convocazione è la mattina verso le 11.30 e sono due giorni davvero pieni, ma il lunedì almeno il giorno è libero!
Anche per gli spostamenti da una tappa all’altra abbiamo momenti di pausa, le distanze sono ampie e ovviamente c’è bisogno di un po’ di tempo per riposare o promuovere lo spettacolo.
Docente per la Federazione Italiana Fitness e per IDA, formi istruttori di Calisthenics, tieni corsi di pre acrobatica e di Flexibility. Un insieme di discipline che ti ha portato a Notre Dame.
Il Calisthenics al momento è la disciplina alla quale sto dedicano il mio tempo, ma sono arrivato qui grazie alla ginnastica artistica e all’acrobatica.
L’aspetto acrobatico è fondamentale in Notre Dame, infatti, per entrare ho dovuto riprendere gli allenamenti, soprattutto sulle superfici dure. Come ginnasta ero abituato a saltare sui materassi sportivi o con il supporto degli attrezzi della ginnastica.
Il Calisthenics sicuramente mi aiuta tanto a sviluppare diverse doti utili nel corso dello spettacolo, come la forza e il controllo, dove trazioni e arrampicate sono presenti: in un pezzo sono appeso alle campane e sicuramente queste doti allenate con il Calisthenics mi sono di vero aiuto. Anche le verticali, che alleno nelle sessioni quotidiane di Calisthenics, sono parte integrante del mio ruolo sul palco di Notre Dame.
Ho investito tanto in questa disciplina (negli ultimi anni è cresciuta davvero tantissimo) e continuo a farlo, soprattutto con la FIF, formando istruttori in tutta Italia.
Quindi il Calisthenics non solo nelle palestre, ma anche nelle sale di danza. Cosa ne pensi? Come inseriresti questa disciplina in una routine di danza?
Abbinare Calisthenics e danza è senza dubbio possibile. Ci sono tante “figure” che si possono fare utilizzando la forza e la flessibilità, l’armonia e il controllo dinamico del corpo, che assolutamente si possono coordinare all’interno di una coreografia di danza. Quindi in questa unione vedo un vero potenziale. Da molto tempo l’acrobatica è parte integrante delle costruzioni coreografiche, ma nella mia esperienza anche il Calisthenics sta portando importanti novità sul piano artistico: ho avuto anche la possibilità di esibirmi sul palco di Ravenna Festival e avevo inserito il verticalismo del Calisthenics inserendolo all’interno della coreografia, creando qualcosa di davvero bello.
Sicuramente non è il primo aspetto da approfondire, ma con il Calisthenics abbinato alla danza, si possono sviluppare tante doti legate a flessibilità, forza, dinamismo e controllo e coordinazione del corpo.
Prossimi obiettivi?
A breve tornerò in Italia, riprenderò la mia quotidianità, lavorando con le palestre e con la Federazione Italiana Fitness in qualità di docente, riprendendo quindi tutti i corsi per istruttori.
Non so ancora di preciso dove mi porterà nuovamente Notre Dame, anche perché stanno recuperando ora tour e spettacoli purtroppo cancellati nei due anni di Covid. Il prossimo anno dovrebbero riprogrammare altri tour, probabilmente in Asia e Medio Oriente e dovrebbero richiamarmi, ma lo scopriremo solo più avanti perché in Paesi come la Cina, vista la polita sanitaria “zero casi”, un solo caso bloccherebbe tutta la macchina e al momento non è possibile rischiare.
Sicuramente ci sarà un tour in Francia di due mesi, ma per il 2023 ne riparleremo… il prossimo anno!
Per ora mi godo quest’ultima parte di tour in attesa di tornare alla mia vita.
Approfondimenti e nuove occasioni formative per danzatori ed insegnanti
Dopo aver accolto nel Campus estivo di luglio oltre duecentocinquanta partecipanti, possiamo confermare che, per noi, vivere queste giornate a pieno ritmo, travolti dai rumori delle aule piene, dalle emozioni dei nostri affezionati e dei piccoli nuovi ballerini, ci ha mostrato ancora una volta la potenza della danza, riemersa da due anni vissuti a rallentatore.
Il calore dei danzatori ha accolto i nostri docenti come in un abbraccio, un’onda di danza ha percorso scale, corridoi e aule passando dalle lezioni di Modern e Contemporaneo con Macia del Prete, Roberta Broglia, Roberta Fontana, Matteo Addino, Mirko Boemi e Michael D’Adamio alle lezioni di Classico con Francesco Vantaggio, Massimiliano Scardacchi, Rosita di Firma e Azzurra Muscatello, senza dimenticare lo speciale Hip Hop lab con Daniele Baldi, Daniela Cipollone e Filippo Gamberini.
Questa edizione ha meritato un grande grazie, dedicato a voi (e un po’ anche a noi!) e questo grazie non poteva essere espresso meglio se non attraverso un evento che per noi ha avuto un significato particolare: abbiamo riportato gli allievi dalle aule dello stage al palco di uno dei teatri principali della città di Ravenna, il teatro Rasi, cornice perfetta per protagonisti che hanno saputo mettersi in gioco, cogliendo al volo la gioia della ripresa.
Anche i partecipanti al Laboratorio Coreografico tenuto da Laccio hanno preso parte alla Rassegna; le lezioni tenute dal coreografo, incentrate sul processo di ricerca coreografica e performativa, hanno avuto la splendida opportunità di esibirsi durante la serata.
Dopo l’evento estivo, IDA apre nuovamente le porte al consueto appuntamento di approfondimento con gli stage autunnali che anche quest’anno con IDA Danza Stage accoglierà, il 19 e il 20 novembre, a Ravenna nelle storiche sale di Palazzo Spreti, danzatori e insegnanti da tutta Italia.
Tra le gradite conferme, per il modern Roberta Broglia, Matteo Addino e Federica Angelozzi e Sabatino D’Eustacchio, Mirko Boemi e per il contemporaneo Michael D’Adamio. Gli stage di danza classica quest’anno saranno curati da Simone Maier.
Maier ha frequentato l’Accademia della Teatro alla Scala e poi è entrato nel Corpo di Ballo del Teatro alla Scala. Nel 2010 è entrato nel Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Brno (Repubblica Ceca) dove ha consolidato il proprio repertorio lavorando con importanti coreografi. Dall’autunno 2011 lavora con il Balletto di Milano.
Simone Maier sarà anche uno degli insegnanti del percorso per piccoli danzatori. Nella due giorni di stage ci sarà infatti una sala dedicata ai ballerini under 12, i quali potranno confrontarsi e apprendere attraverso una proposta amplia a loro dedicata: nel percorso under 12 infatti gli allievi saranno guidati dai maestri Maier, Broglia, D’Adamio e Boeri in lezioni che non solo proporranno tecniche di danza classica, contemporanea e modern, ma che daranno modo agli allievi di cominciare a leggere le proprie emozioni in un dialogo emotivo con la danza, attraverso la musica, l’espressività e la presenza dell’altro.
I maestri guideranno i giovani allievi attraverso lezioni di danza in cui, oltre alle competenze, dovranno dare voce alla propria emotività, fondamentale nella danza.
Novità di questa edizione un nuovo spazio, Dance Skills, pensato per insegnanti e allievi di livello avanzato che vogliono integrare le proprie conoscenze nella danza e che, allo stesso tempo, sentono l’esigenza di sperimentare nuovi percorsi di movimento e di farsi contaminare da stimoli diversi.
Yoga, Dance Conditioning, Functional Training e una dieta specifica possono fare la differenza nella routine di un ballerino con conseguenti vantaggi nelle performance.
Attraverso lo yoga, respirazione, attivazione della muscolatura profonda, conoscenza del proprio io interiore attraverso il movimento e liberazione delle proprie emozioni, danno al gesto danzato una nuova energia. Il Dance Conditioning, che deriva da protocolli di allenamento ideati da fisioterapisti e personal trainer, va invece ad agire a vantaggio di qualità peculiari per un danzatore quali forza, elasticità ed equilibrio. Il Functional Training per dar modo agli insegnanti e ai danzatori di aggiungere alla routine settimanale una sessione di lavoro dedicata al potenziamento del core.
Dance Skills si svolgerà il 20 novembre e ospiterà i docenti Carla Rizzu (yoga), Alice Olmo (alimentazione e danza), Roberta Broglia (dance conditioning) e Melissa Roda (functional).
Spazio anche alle audizioni per l’accesso al Corso di formazione per danzatori ad indirizzo televisivo, nuovo progetto di formazione per danzatori ideato da IDA per creare un ponte che collega le ultime fasi di perfezionamento artistico all’inserimento lavorativo in programmi televisivi.
Il corso prevede otto weekend di formazione condotti da Matteo Addino, Mvula Sungani e Raimondo Todaro. Alla fine del corso, ogni candidato potrà realizzare il suo showreel e il suo book fotografico sotto la guida di un video maker e di un fotografo professionista.
L’audizione si terrà sabato 19 novembre tra le 17 e le 19 in presenza dei docenti Matteo Addino e Raimondo Todaro.
Nella vita gli esami non finiscono mai, è proprio vero!
Forse è il caso quindi di prendere dimestichezza con l’essere osservati e valutati per la nostra preparazione.
Infatti fin da bambini siamo alle prese con interrogazioni, compiti in classe e gare sportive che ben presto diventeranno esame di maturità, esami universitari, colloqui di lavoro e concorsi.
Le aziende cercano una preparazione approfondita per assumere collaboratori, ai quali vengono richiesti non solo competenze specifiche ma anche capacità di problem solving, creatività e flessibilità cognitiva.
Come si possono acquisire queste abilità?
Certamente la scuola è un veicolo di formazione e cultura essenziale nella vita delle persone ma lo sono anche sport, danza e tutte quelle attività che concorrono a strutturare le persone.
Nell’ ottica di utilizzare la danza come strumento dalle molteplici implicazioni pedagogiche, formative e relazionali tante scuole scelgono di introdurre nella loro programmazione annuale, gli esami di fine anno
I vantaggi nell’aderire ad un percorso di questo tipo, sono innumerevoli.
Tutti abbiamo sperimentato quale grande stimolo rappresenti l’avere un obiettivo chiaro e raggiungibile. Raggiungere il traguardo finale fa sì che aumenti notevolmente l’autostima e la fiducia dell’allievo in sé stesso.
Durante il viaggio che conduce al risultato, insegnanti e famiglie, si accorgeranno che crescerà sempre più nel danzatore la responsabilità di autodeterminarsi. Le tante raccomandazioni sulla continuità della presenza in classe e sulla disciplina richiesta diventeranno meno insistenti da parte degli insegnanti e saranno sostituiti dall’ esperienza stessa che si fa sempre più gratificante man mano che si acquisiscono competenze tecniche che saranno un giorno apprezzate e valutate da un esaminatore qualificato.
Ma gli aspetti positivi non vanno a vantaggio dei soli studenti. Infatti, ad esempio, gli insegnanti di danza iscritti al progetto didattico IDA, ci raccontano che avere un workbook in mano e programmare le classi, li rende più efficaci nel guidare gli allievi al superamento dei vari livelli di difficoltà.
Se è vero quindi che i maestri sono i primi a non smettere mai di imparare quale dono può rappresentare affidare il proprio lavoro a tutor esperti con i quali confrontarsi e crescere professionalmente?
Mark Van Doren dice “L’arte di insegnare è l’arte di assistere a una scoperta”. Ben vengano allora anche le difficoltà che potrebbero presentare gli studenti nel preparare un esame ad esempio la paura di non riuscire dovuta a pensieri auto-svalutanti perché saranno un ottimo stimolo per osservarsi, trovare un accordo fra il sé reale e il sé ideale, saper riconoscere i propri pregi e difetti ed essere motivati a migliorare le proprie debolezze.
Se come insegnanti riusciamo a trasmettere l’importanza di accettare il confronto, in primis con se stessi, avremo messo a segno tanti preziosi punti a favore dell’ autostima, base necessaria per un impegno appassionato e continuativo nel tempo.
Prima di tutto occorre sfatare il mito: “Non si guadagna con un profilo social.” Sbagliato!
Un utente su due cerca sui social il prodotto/servizio che vuole acquistare, sia per verificarne la qualità che per trovare feedback di altri utenti.
Un utente su due!
Quindi vuoi davvero lasciare sul piatto metà del tuo potenziale guadagno?
Ora ti mostro 5 errori molto comuni su Instagram che ti fanno perdere soldi.
Il primo, come ho già spiegato, è non dare importanza ai social o peggio non avere un profilo Instagram.
Il secondo è avere una brutta immagine del profilo. Deve essere chiara. Il profilo in questione è della tua scuola di danza? Metti il logo, centrato e riconoscibile, se si sgrana eccessivamente o risulta confusionario, cambialo.
Se invece il profilo è personale, metti una tua foto del viso o mezzo busto senza effetti o filtri, che sia chiara.
Puoi rimuovere lo sfondo e personalizzare la tua immagine con i colori del tuo brand utilizzando questo strumento: pfpmaker.com
Terzo errore: non inserire o non curare la biografia.
Le prime righe su di te, che vengono lette da followers e non followers, devono saper convertire.
Devi far sapere:
Chi sei
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Perché scegliere proprio te
Inserisci una call to action (frase che porta a compiere un’azione come cliccare su link)
Per esempio: Scuola di Danza la Chiaretta a Roma (chi sei) - Corsi di Danza Classica/Contemporanea/Modern/Hip Hop (cosa offri) - Dal 1990 balliamo con voi (perché scegliere te) - Scopri prima lezione sempre gratuita (cta)
Ora che abbiamo la bio vediamo il quarto errore da non commettere: non inserire il link in bio.
Avete un sito web semplice? Mettete quello in bio
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Roberto Castello, danzatore, coreografo e insegnante, è tra gli iniziatori della danza contemporanea in Italia.
Nei primi anni ‘80 danza a Venezia nel “Teatro e danza La Fenice di Carolyn Carlson”, dove realizza le sue prime coreografie. Nel 1984 è tra i fondatori di Sosta Palmizi, nel 1993 fonda ALDES e dal 2008, con ALDES, cura il progetto “SPAM! rete per le arti contemporanee” nella provincia di Lucca, ospitando residenze, una programmazione multidisciplinare di spettacoli, workshop, attività didattiche e incontri.
Durante la sua carriera, collabora, tra gli altri, con Peter Greenaway, Eugène Durif, Rai3 / Fabio Fazio e Roberto Saviano nel programma televisivo Vieni via con me e Studio Azzurro. Ha ricevuto il Premio UBU nel 1985, 2003 e 2018.
Si è sempre battuto per il riconoscimento della danza contemporanea e per un sistema dello spettacolo equo, efficiente e sostenibile.
In un documentario che racconta la sua storia mi ha colpito la sua dichiarazione: “detesto le mode, le forme di conformismo consapevole e inconsapevole” e gli chiedo se questo ha anche a fare con la “repulsione” che, mi ha confessato subito, per i social networks, con una negazione secca mi dice che nulla c’entra con questa affermazione ma in merito ci racconta:
“Ad un certo punto della mia vita mi sono accorto che passavo la quasi totalità del mio tempo a comunicare con persone lontane via telefono, e-mail o sms, e che quindi la mia attenzione di fatto non era quasi mai rivolta alla situazione in cui mi trovavo e alle persone che avevo intorno. Mi è sembrato giusto porre un limite. Per questo ho deciso di non aprire anche la porta dei social. Non è un flusso costante di informazioni a favorire l’approfondimento. Se voglio saperne di più su qualcosa, preferisco andarmi a cercare le informazioni dove immagino che potrò trovarle, e anche che - se qualcuno desidera che io sia informato di qualcosa – faccia lo sforzo di rivolgersi direttamente a me. Delegare ad algoritmi le informazioni su cui si fonda la mia percezione della realtà mi sembra pericoloso.”
Nel tuo ultimo spettacolo Inferno mi sembra che parli in qualche modo anche dei social?
Nello spettacolo tutto ruota intorno al consumarsi nel tentativo dell’essere apprezzati, di essere popolari. Una considerazione che riguarda certamente i social ma che affrontiamo in termini più generali.
L’unità di misura su cui misuriamo noi stessi sono ‘gli altri’. Siamo in perenne, anche se spesso inconsapevole, competizione con chi abbiamo intorno. Tutti abbiamo bisogno di credere che, almeno in qualcosa, anche in qualcosa di molto piccolo o intimo, siamo meglio degli ‘altri’. Siamo costantemente spinti a provare ad essere, o quantomeno ad apparire più bravi, più giusti, più belli, più forti, più attraenti, più responsabili, più sensibili, più buoni, più umili, più intelligenti, etc… delle persone con cui ci misuriamo. Per questo in “Inferno” i danzatori sono sempre esplicitamente alla ricerca del plauso del pubblico, e man mano che lo spettacolo procede, la cosa raggiunge livelli parossistici. Il risultato è un atto di incredibile generosità da parte degli interpreti, una sorta di gioiosa auto immolazione, cui il pubblico risponde sempre con grande entusiasmo.
Conosco Porcari, in provincia di Lucca, solo grazie alla compagnia che dirigi. Come avete scelto di avere una sede lì?
È una storia lunga che parte dalla metà degli anni ’90 quando le compagnie di danza hanno cominciato a combattere per avere le stesse opportunità di quelle di prosa per quanto riguarda la possibilità di avere una sede stabile e fornire servizi ai territori. Una cosa che la legge di riferimento della danza di fatto impediva. Dopo decenni di battaglie nel 2008 la Regione Toscana ha attivato un sistema di residenze artistiche che ha superato questa impossibilità di fatto e noi abbiamo deciso di insediarci nella provincia di Lucca perché era un territorio non urbano sostanzialmente privo di offerta culturale. È stata un’esperienza estremamente istruttiva.
All’inizio nessuno o quasi era interessato a ciò che proponevamo, anche quando invitavamo grandi nomi dello spettacolo contemporaneo internazionale.
Lavorare in un territorio sostanzialmente rurale mi ha insegnato molte cose, prima fra tutte a ridimensionare il mio ego. Il fatto che ci siano miei lavori che vengono apprezzati in molti festival europei non incide quasi per nulla sul rapporto con il pubblico locale.
Mi sembra che sia molto generoso da parte di ALDES ospitare i giovani autori. Da cosa nasce l’idea di questa possibilità?
Ho avuto la disponibilità di uno spazio prove solo verso i 50 anni; prima mi appoggiavo alle scuole di danza che avevano spazi liberi solo alla mattina e ho ben presente quanto sia difficile lavorare non avendo uno spazio per provare. Per questo la nostra sala prove e la nostra foresteria vengono dati gratuitamente. Chi ha bisogno dello spazio ce lo chiede e, se è disponibile, gli viene dato.
Altra cosa è invece il sostegno che diamo agli autori ALDES: in questo caso condividiamo anche la struttura organizzativa e amministrativa.
Mi ha particolarmente colpito una tua affermazione: “il mio lavoro viene pagato dalle tasse dei cittadini”:
É un dato di fatto e credo che sia qualcosa che chi fa il nostro lavoro non dovrebbe dimenticare. Il nostro rapporto è con l’economia pubblica. Anche chi compera i nostri spettacoli lo fa quasi unicamente con soldi pubblici. Il nostro lavoro quindi deve provare ad essere utile anche a chi, pur finanziandolo con le tasse che paga, non viene a vedere i nostri lavori. Mi piace pensare alla posizione dell’artista come un servizio.
E a un giovane che vuole vivere di danza cosa ti senti di consigliare?
Il termine danza non dice niente di preciso, si può fare in mille modi. In ogni caso è un lavoro difficile, poco redditizio, spesso frustrante, che si può fare bene solo per un limitato numero di anni. Non ha senso affrontarlo come una qualsiasi altra carriera, se si lavora per sé stessi e non per la soddisfazione di dare qualcosa di prezioso al pubblico.
Certamente non c’è possibilità di affermazione se non c’è la capacità di essere generosi, di darsi senza calcolo. Il pubblico lo apprezza ma ancora di più i coreografi. La generosità e la dedizione spesso non hanno riscontri immediati ma alla distanza credo siano il migliore investimento che un danzatore possa fare.
Nei tuoi spettacoli la danza è accompagnata dall’uso delle parole, della tecnologia o del canto. È la tua cifra?
Non mi pongo il problema dei materiali che compongono i miei lavori. Utilizzo senza pregiudizio tutto quello che serve per realizzare quello che ho in mente. Le parole e la voce spesso mi tornano utili, così come la tecnologia, la musica, le luci, i costumi. La danza, o meglio il teatro, è un’arte effimera che in definitiva esiste solo nella mente di chi guarda. Il punto è catturare l’attenzione di ogni singolo spettatore e guidarlo in un viaggio di pensieri, evocazioni, emozioni che alla fine, benché questo non sia quasi mai definibile con esattezza a parole, finisca per essere un’esperienza significativa che produce senso.
Spesso approfitto di ciò che gli interpreti sanno già fare ma, se occorre altro, ci si mette lì e si impara a farlo.
Hai molto rispetto per il pubblico e gli spettatori. Succede invece spesso di vedere spettacoli di danza contemporanea che sembrano creati per celebrare solo l’artista in scena. Cosa ne pensi?
Che non è il mio modo di pormi rispetto al lavoro. Ho iniziato a danzare in un’epoca in cui c’erano ancora i divi. Il divismo è un modo di vivere la scena di cui ho sempre colto soprattutto gli aspetti ridicoli. Poi il divismo è sostanzialmente scomparso, per fortuna, e gli è subentrato un sistema che si rifà alle logiche dell’arte visiva, del prodotto esclusivo non alla portata di tutti. Una dinamica che si regge essenzialmente sulla legittimazione reciproca fra artisti, critici e programmatori, molto lontana dal mio modo di pensare.
Progetti futuri?
Ora siamo a Bruxelles con Inferno poi realizzeremo la versione italiana di Tomorrow’s Parties, uno spettacolo teatrale inglese per due attori creato da Tim Etchells, regista dei Forced Entertainment, nel 2011; poi saremo ancora in tour - soprattutto con i lavori più grandi – più all’estero che in Italia (Francia, Germania, etc…). Nella nostra rassegna autunnale, oltre ad artisti italiani, africani e del medio oriente, per la prima volta ospiteremo anche la poesia contemporanea. Il prossimo anno poi partiranno nuovi progetti e, forse, riusciremo anche a trasferirci in una nuova sede.
Credo che il teatro di Roberto Castello abbia ancora tanto da dire e, anche molto, alle nuove generazioni perché sa parlare ad un pubblico di ogni età e perché, prendendo in prestito le parole del critico Massimo Marino grazie all’ironia “apre degli squarci che portano ad aprire altri mondi” e cerca sempre “di decifrare in modo artistico la realtà in cui viviamo”, dando vita a “comunità (in scena) per creare bellezza condivisa con il pubblico, con ogni singolo spettatore” (Andrea Porcheddu).
Foto di Alessandra Moretti
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