Dopo un’esperienza da danzatore a Parigi e dopo aver calcato i palcoscenici di tutto il mondo, Alessio Carbone, classe 1978, figlio d’arte, da un paio d’anni vive in Italia nella sua città natale, Venezia.
Parliamo con Alessio in un giorno di vacanza durante un’estate che lo ha visto protagonista, come direttore artistico, del tour de Les Italiens de l’Opéra de Paris che ha toccato importanti festival nazionali come la Versiliana e Ravenna Festival.
Come sei arrivato fino a qui? Hai sempre sognato di diventare ballerino?
Anche se i miei genitori mi hanno portato a scuola di danza ed erano danzatori non volevo diventare ballerino. É difficile andare a scuola di danza e perseverare quando gli altri giocano a calcio e per me era molto difficile convivere con questa dicotomia, giocavo a calcio fuori poi andavo a danza però in tal senso è stato un vantaggio enorme avere i genitori che gravitavano nel mondo della danza perché mi hanno aiutato a non abbandonarla.
Poi sei entrato nella scuola di ballo della Scala…
Quando sono entrato nella Scala, insieme a mia sorella, la danza è diventata una cosa seria, ma è proprio lì che mi sono veramente appassionato alla danza favorito dal fatto che ero in una classe di soli maschi e con loro potevo mettermi alla prova ogni giorno.
Mio padre era direttore della compagnia della Scala e forse per me è stato un po’ più facile entrare anche se la competizione era molto alta specie tra le donne; infatti, rispetto all’esperienza che ha vissuto mia sorella, io ho vissuto molto meno la competizione nella classe maschile.
I maestri russi mi hanno fatto scoprire la vera danza: quella lotta quotidiana con il corpo che è il tuo strumento e cambia con la crescita e con lo sviluppo. Per me è stata un’avventura e un challenge bellissimi perché lì ti spingono a fare sempre di più e ti creano una mentalità da “guerriero”. Davvero un’esperienza incredibile.
Un’esperienza traumatica è stata invece quando la scuola interna alla Scala aveva chiuso e ci siamo trovati a studiare la sera dalle 18.30 alle 22.45 insieme a studenti fuori corso e adulti: passare quattro anni così è stato veramente difficile.
Tu però abitavi in casa con la tua famiglia a differenza di altri colleghi…
Si è stata la mia grande fortuna avere la famiglia con me, specie per gli incoraggiamenti. Anche ora non credo che sia salutare lasciare i ragazzi da soli a 12 anni. Io stesso, arrivato a Parigi a 19 anni, mi sono sentito un po’ perso e forse, con senno di poi, i miei genitori mi avrebbero dovuto seguire di più perché Parigi è una città molto grande e pericolosa e poi forse avrei preso alcune decisioni più ponderate come, ad esempio, quando sono andato in Russia per partecipare a dei gala e ritornavo affaticato e così ho avuto qualche infortunio di troppo. Anche se per me è stata comunque un’esperienza importante perché andavo incontro a ballerini molto bravi. Ora, purtroppo, non credo che ci saranno più questi scambi culturali e questo senz’altro andrà ad impoverire una tradizione molto importante.
Quando hai pensato che saresti potuto entrare all’Opera di Parigi?
Stavo ripassando per la maturità scientifica e, dato che avevo perso diverse ore di scuola perché facevo spettacolo in compagnia, la direttrice mi ha accordato una settimana libera solo per lo studio e in quel momento ho scoperto che ci sarebbe stata a breve un’audizione per entrare all’Opera di Parigi così ho chiamato per iscrivermi e mi hanno poi mandato un video vhs (sorride… n.d. r.) per imparare la variazione che dovevo presentare. Ho partecipato senza alcuna pretesa perché era raro che prendessero giovani che non avessero frequentato la loro scuola di ballo. Poi nel ’97 sono stato ammesso e ho rimesso in discussione tutto perché alla Scala ero primo ballerino anche se non di titolo: a Parigi ho iniziato da zero e c’era una grande competizione e una forte determinazione a far carriera, ma per me questo è stato estremamente stimolante.
Nel 2019, dopo che hai lasciato le scene, ti sei dedicato alla produzione?
Si. Mi piace soprattutto organizzare uno spettacolo, immaginare un programma artistico, dirigere un gruppo ed essere in sala ballo per insegnare ai ballerini e dargli dei consigli. Mi sono appassionato dello spettacolo in toto cercando un dialogo continuo con il pubblico.
Hai più danzato da allora?
Solo questa estate perché ho sostituito un ballerino infortunato ma ora mi piace troppo la produzione e non mi piace più andare in scena. A parte alcuni danzatori che sono eccezioni, come Carla Fracci, Alessandra Ferri e Roberto Bolle, in altri casi credo che la danza sia fatta per quando sei giovane, se manca la forza fisica, devi utilizzare la mimica ma in questo modo diventi più che altro un attore e per come immagino io la danza non credo possa essere così.
Deve essere difficile interrompere un “pezzo di vita”?
Noi abbiamo un momento di interruzione brusca. C’è un vuoto incolmabile anche con il pubblico, quell’applauso che non c’è più se non lo vivi in un altro modo diventa un momento davvero difficile. Io sono fortunato perché ho trovato una strada attiva e da dietro le quinte vedendo danzare il mio gruppo sento un’adrenalina che è qualcosa di molto simile a quella che provavo io sul palco.
Come ti è venuta in mente l’idea e l’intuizione di far esibire Les Italiens de l’Opéra de Paris?
Il primo spettacolo l’ho fatto a Venezia nel 2016 perché non avevo mai danzato nella mia città di origine e mi sembrava davvero assurdo. Avevo pochi fondi per organizzare uno spettacolo e, grazie ad uno stimolo della mia compagna, ho pensato ai miei amici italiani che lavoravano con me a Parigi. I miei amici hanno accolto la mia sfida e ci siamo detti che con il budget a disposizione avremmo potuto creare materiali promozionali per cercare poi di avere altre proposte economiche e… così è stato. Ad oggi abbiamo già fatto numerose repliche persino in Brasile.
C’è una piccola percentuale di stranieri all’Opera di Parigi, vero?
Si c’è una legge interna che impedisce alla compagnia di avere non più del dieci per cento di danzatori ‘stranieri’. Quando sono entrato io nel 1997, ero il terzo straniero. Oggi ce ne sono 15 su circa 150 ballerini. Siamo stati io e Eleonora Abbagnato ad aprire le strade agli ‘italiens’.
Quando è nata l’idea, come è stata accolta dal teatro?
All’inizio bene perché era nata con l’idea di andare nelle città di origine dei ballerini italiani, poi ci sono state un po’ di tensioni, per i tempi brevi e per l’organizzazione. Ma ora i maestri di ballo mi danno una mano anche per creare il repertorio che andrà in scena.
Come fai ad organizzare il tour dato che i ballerini lavorano all’Opera di Parigi?
I giorni di riposo che i ballerini hanno li posso usare come vogliono ed è un gioco di incastro tra richieste varie. E i giorni di riposo è difficile averli con anticipo quindi per me non è per molto facile programmare le date del tour.
E ora i danzatori in scena chi sono?
Sono giovani che ho conosciuto mentre lavoravo. Mi piace molto l’atmosfera che si è creata, c’è un’intesa quasi di famiglia, gli altri ballerini dietro le quinte li incoraggiano, differentemente che nei gala normali dove i ballerini non si conoscono e una volta danzato rientrano ognuno nel suo camerino. Credo che il pubblico noti questa intesa che porta verso l’alto il gruppo e credo che per questo abbia una marcia in più.
Come costruisci il repertorio che portate in scena?
Mettendo in evidenza le qualità di ogni ballerino, proponendo solo repertorio dell’Opera di Parigi e un variegato programma di soli e passi a due che vanno dal balletto classico alla danza contemporanea di coreografi come Isabelle Stanlowa, Vakhtang Vronsky, William Forsythe, Ben Von Cauwemberg, Rudolf Nureyev, Caroline Carlson, Claude Brumachon, August Bournonville e Marius Petipa.
Proponiamo anche creazioni originali come quella ideata dal coreografo Simone Palastro che per me è un “super prodigio” e che abbiamo presentato in prima nazionale alla Versiliana. Proporre nuove coreografie è molto stimolante malgrado le difficoltà per le prove che non possono essere fatte con molto anticipo.
Dicevi che ti da molte soddisfazioni insegnare ai ballerini, ti sei mai dedicato anche alla didattica?
Devo dire che non mi sento portato per l’insegnamento anche se mi piace aiutare e consigliare i ragazzi del mio gruppo. So quanto sia importante essere insegnante e stimo chi lo fa come i miei genitori che si sono dedicati con grande passione e responsabilità all’insegnamento.
E con la tua esperienza cosa ti sentiresti di consigliare ad un giovane che oggi si vuole affacciare a questa professione?
Di non cedere mai alla prima lusinga. Per esempio durante il primo concorso interno all’Opera di Parigi a cui ho partecipato per passare a mezzo solista ho capito che non avevo lavorato bene e che è importante il fatto di dover reagire e rialzarsi, di rimettersi in gioco e uscire dalla propria comfort zone.
Oggi, in effetti, ho l’impressione che ci sia una tendenza ad andare più in fretta in tutto, invece bisogna pazientare che il miglioramento arrivi nel tempo e spesso si cambia idea e si lascia la scuola di danza. Un giovane che non vede subito il risultato deve fidarsi del maestro perché la danza si costruisce giorno dopo giorno e sviluppa la pazienza naturale: bisogna dare tempo alle cose. Anche se, lo ammetto, bisogna essere fortunati, avere maestri giusti al momento giusto e, purtroppo, a molti miei colleghi non è successa la stessa cosa.
Idee per il futuro?
Continuare la produzione e creare una compagnia di produzione a Venezia. Vorrei dirigere una compagnia in Italia, ma credo che oggi sia ancora senz’altro più facile dirigerla all’estero dove mi sembra ci sia più meritocrazia.
Un sogno nel cassetto?
Ho un pensiero fisso e forse non realizzabile: vorrei creare una compagnia di ballo all’interno del Teatro La Fenice di Venezia.
Les Italiens de l’Opéra de Paris in tour
Per ammirare sul palco Valentine Colasante, Paul Marque, Bleuenn Battistoni, Ambre Chiarcosso, Antonio Conforti, Nicola di Vico, Giorgio Fourès, Sofia Rosolini, Andrea Sarri e Bianca Scudamore i prossimi appuntamenti del tour italiano in programma:
- 16 ottobre: Teatro Manzoni di Pistoia
- 20 novembre: Théâtre Pierre Fresnay à Ermont (Parigi)
- 18 dicembre: Teatro lirico Giorgio Gaber di Milano
Foto di Luca Vantusso