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Tra paesaggio e architettura la danza si esprime in verticale

Tra paesaggio e architettura la danza si esprime in verticale

Il primo esempio di danza verticale risale ad un “esperimento” della danzatrice e coreografa americana Trisha Brown che negli anni ‘70 creò una performance che sarebbe poi diventata un punto di riferimento fondamentale per lo sviluppo di questa disciplina. Nello spettacolo Man walking down the side of a building, che si svolse a New York al civico 80 di Wooster Street, il ballerino e allora marito della Brown, Joseph Schlichter, camminò perpendicolarmente lungo la facciata di un edificio di sette piani procedendo dall’alto verso il basso.

Per vedere la danza verticale in Europa bisogna aspettare un altro decennio quando la compagnia Compagnia francese Roc En Lichen allestì la coreografia Salle des bains su uno strapiombo di quattrocento metri di altezza sulle montagne del Verdon. In Italia, compagnia pioniera di questo tipo di danza, è Il posto, fondata nel 1994 da Wanda Moretti, coreografa e ricercatrice, e da Marco Castelli, musicista e compositore.
Per far conoscere meglio la danza verticale ai nostri lettori abbiamo avuto l’onore di parlare proprio con Wanda Moretti, reduce con la sua compagnia da un tour estivo fittissimo compresa la presenza, per niente scontata, al 67° Festival di Spoleto. Per prima cosa Wanda ci ha confidato quali sono stati gli stimoli che l’anno ispirata nel creare un nuovo modo di fare danza in Italia: “quando ho iniziato cercavo un modo diverso di muovermi che stimolasse nuove dinamiche, ed è così che provai su un muro, sperimentai il corpo in posizione perpendicolare, sollevata da terra e con i piedi in appoggio ad un piano verticale e per farlo era indispensabile una parete. In questa situazione il movimento è compromesso dal cambio di gravità e da una diversa visione dello spazio e questo ci obbliga a produrre nuove gestualità… Così è iniziato questo viaggio”. E la tua città, Venezia, in questo processo quanto ha contato? “Sicuramente la mia forma di danza nasce dalla mia città, un movimento senza soluzione di continuità, senza limiti dove le architetture sembrano spazi morbidi che si riorganizzano intorno al movimento, dove i tetti sono abitati da angeli, statue ed esseri straordinari. Penso che questa città sia un morphing di persone e architetture, se non mi avesse ispirata e accompagnata in questo lungo percorso, come avrei potuto fare altrimenti?”

Fuori dai teatri, facciate, pareti e alberi diventano nuovi palcoscenici creando uno stravolgimento spaziale sia per il performer che per lo spettatore, che, stupito, osserva gli spettacoli da una prospettiva del tutto nuova. Come ci ha raccontato Wanda, nella danza verticale le “convenzioni teatrali sono interrotte, il lavoro è incorniciato dalla partitura musicale ma non c’è sipario e probabilmente non esiste un’area di osservazione prestabilita. Ciò significa che i confini di tutti i giorni sono sfocati sia per il danzatore che per lo spettatore… Questa forma di danza nasce dalla relazione tra movimento e piano verticale, cioè dalle possibilità che si creano e che sono condizionate dalle architetture nelle quali danziamo, il paesaggio entra nella performance perché non ci sono quinte né uno spazio selezionato, chi guarda vede tutto nel suo insieme così come il danzatore percepisce e restituisce lo spazio intero”.
In questo senso credo che la danza verticale sia anche più democratica creando nuove relazioni tra spazi, danzatori e pubblico. Cosa ne pensi Wanda? “La danza verticale è sicuramente democratica perché si svolge nelle aree urbane e può essere vista da chiunque passi per strada e può “trattenere” il pubblico oppure lasciarlo libero di ignorarla e andarsene… La danza verticale include tutto quello che c’è a portata di sguardo e udito, una luce che si accende, un cane, il clacson di un’auto, qualcuno che stende i panni è nella nostra creazione, insieme a noi.”. Mi sono anche chiesta se esistessero nella danza verticale dei momenti di interazione con il pubblico anche se questa disciplina è per sua definizione lontana dal pubblico. Wanda ci racconta che nella danza verticale la relazione con il pubblico nasce non nel momento dello spettacolo ma piuttosto durante l’allestimento e così, diversamente da quanto accade nei teatri, alla loro compagnia capita spesso che le persone parlino da ogni angolo e molti sono i curiosi che vorrebbero vedere quello che vedono loro dall’alto per scoprire curiosità relative al proprio territorio. Il tramite perfetto è Marco Castelli, la cui postazione è sotto gli edifici utilizzati, che rappresenta il primo contatto con i passanti e la persona più soggetta alle loro domande.

Una curiosità che mi ha colpito molto è che sin dalla prima apparizione di danza verticale negli anni ’70 i danzatori erano sorretti solo da una rudimentale attrezzatura da arrampicata sportiva. Wanda è vero, come ho letto, che sei stata proprio tu ad inventare le imbragature utilizzate nella danza verticale e che il tuo è stato un lavoro frutto di anni di prove e prototipi? “Si lo confermo. Negli anni ho incontrato e insegnato danza verticale a centinaia di danzatori e non… e questo mi ha permesso di fare delle valutazioni e migliorarle man mano in base a quello che volevo nel loro movimento. Ho avuto la fortuna di confrontarmi con i tecnici di una casa di produzione che realizza i nostri imbraghi e così, dopo una serie di test, abbiamo trovato il top”.

Negli anni 2000 la danza verticale ha avuto una forte espansione di altre compagnie che hanno interpretato in modo originale la propria modalità verticale seguendo anche una modalità estetica differente: dalla Compagnia Mattatoio Sospeso diretta da Marco Mannucci che crea dal 2006 spettacoli per spazi urbani legati ad immagini oniriche e fiabesche; dagli attori-acrobati di Eventi Verticali che si sono costituiti nel 2007 trasportando sulla scena progetti teatrali e comicità. Alle Compagnie Linea D’aria e Vertical Waves Project anche queste nate da danzatori che hanno iniziato il loro percorso studiando danza verticale con Wanda Moretti e fondando in seguito la loro compagnia.
Wanda, vista l’espansione di questa disciplina, credi che anche la danza verticale possa diventare una nuova prospettiva di lavoro per i danzatori? E secondo te quale formazione tecnica deve avere un danzatore che voglia lavorare con le compagnie che promuovono questo tipo di danza? “Direi che serve un corpo che abbia lavorato ottimamente in qualsiasi tecnica di danza, che non soffra per altezza, vertigine e che abbia un talento per il verticale, intendo qualcosa che riesco, personalmente, a vedere subito quando un danzatore si muove in parete per la prima volta. Lo chiamo cat landing è la capacità di orientarsi nello spazio vuoto”.

Mi piace concludere questo viaggio nella danza verticale proprio con le parole di Wanda Moretti che è stato un aiuto prezioso nella nostra ricerca su questa disciplina che tende alla meraviglia: “credo che la mia forma di danza possa fondere il quotidiano, l’urbanità e la comunità ad un processo artistico e farne un unicum”.

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