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Le mura domestiche palcoscenico di una danza che sa raccontare

Le mura domestiche palcoscenico di una danza che sa raccontare

La danza come climax nella narrazione è una modalità frequentemente utilizzata dai registi: con movimenti a ritmo di musica corpi, gesti ed espressioni possono raccontare più di mille parole. Come nel film C’è ancora domani dove Paola Cortellesi nella sua opera prima da regista usa in maniera magistrale la danza e la musica.

Il film, che parla di violenza domestica e di dominazione patriarcale dell’uomo, si è ispirato alle tinte del neorealismo narrativo (Roma città aperta) arricchito di vari virtuosismi e con toni che passano dal dramma alla commedia tra shock e sorrisi continui “in un gioco di equilibri tonali in cui il drammatico e il comico risultano sempre sapientemente calibrati, senza superare i rispettivi confini” (Giuseppe del Ninno).
Già dalla prima scena si introduce il tema della violenza tra le pareti domestiche in cui un “ceffone” con tanto di “schiocco” introduce poi l’idillio di sapore disneyano che, dopo aver esortato ai sogni, si conclude nuovamente con una mano alzata. Salvo questo incipit inziale, particolarmente realistico, per tutta la durata del film l’aggressività e il senso di oppressione saranno poi solo suggerite da allusioni come la chiusura di porte e finestre, le donne che sentono le urla fuori dal cortile e dai momenti coreografici. Sono almeno tre i momenti in cui il movimento sublima un momento reale e in tutte le coreografie le parole delle canzoni di sottofondo hanno un ruolo fondamentale suggerendo i gesti e utilizzandoli per rendere ancora più narrativo ed esplicativo un momento fondamentale del racconto cinematografico.  

Nella prima scena in cui la danza racconta un momento di violenza domestica l’ispirazione neorealistica che ha guidato tutto il film è sublimata dalla danza e dalla mimica che esprimono i volti anche quando rimangono in silenzio: se sono assolutamente reali, ma nello sfondo, il sangue che scende dal naso e i lividi del collo che sono stati lasciati dalla presa stretta del protagonista maschile, perfetta incarnazione del patriarcato. Anche se non assistiamo ad una medievale “danza macabra” (n.d.r. danza tra uomo e scheletro), perché in questo caso la morte non è interpretata ma viene sublimata dal viso dell’uomo “superiore” che percuote.
In questa scena le parole della canzone Nessuno, resa famosa da Mina, ma qui nella versione di Musica Nuda (Petra Magoni & Feruccio Spinetti) scandiscono l’eternità che viene scolpita dal ritmo serrato dei gesti che improvvisamente diventano teatrali passi di danza: “i rumori delle botte sono l’equivalente di un vinile in sottofondo, sopra il quale ballare con dei gesti ripetuti” (Matteo Farina).
Parole che raccontano di due innamorati inseparabili da un lato, dall’altro dell’impossibilità di fuggire dalla prigione di un amore tossico con gesti che sono ormai diventati una consuetudine. Come ha spiegato in un’intervista la stessa Cortellesi “nella performance di Petra Magoni c’erano delle note dolenti e questa eternità, più che una promessa d’amore, era una condanna: eravamo in scrittura e mi ha ispirato questa routine, perché era una sorta di rituale che si consumava…”.
Nella traduzione gestuale la regista si è affidata alla coreografa Roberta Mastromichele e allo stunt coordinator Paolo Antonini con i quali ha lavorato per rendere più naturale possibile qualcosa che, a sua detta, ai più poteva sembrare un’idea un po’ folle ma che è stata una modalità spiazzante per liricizzare la tragedia della violenza.

Un altro momento di danza, che a mio avviso non è stato molto notato dalla critica, ma che credo sia altrettanto fondamentale è quando il padre del protagonista suggerisce al figlio: “non la puoi menare sempre se no si abitua… Alla fine Delia è una brava donna di casa ha solo quel difetto di rispondere deve imparare a stare a bocca chiusa…”. La danza riprende con un ballo lento in camera da letto che ripercorre la storia d’amore prima, di violenza poi, dei due protagonisti che, accompagnati da una musica dell’epoca, si lasciano andare in un ballo rievocativo con richiesta di perdono da parte del marito per le percosse appena date. è evidente che il tentativo del marito non sortisca l’effetto desiderato nella moglie perché, durante il ballo, il viso della protagonista è visibilmente teso e preoccupato per questo momento idilliaco a cui crede ben poco.
Con la danza viene raccontata anche la sorellanza e la comunanza, utilizzandola in uno degli altri momenti più alti del film: il finale. Ancora una volta un brano musicale e la danza ne raccontano un momento cruciale. In questo caso lo stare in posa e muovere ritmicamente la bocca rappresentano il dissenso e un silenzio finalmente spezzato. La canzone scelta, racconta la Cortellesi, “riunisce in sé un’idea di collettività, di sentirsi parte di una comunità e la protagonista si sente parte di un tutto, non è più sola, ha ricevuto il permesso di contare e lo ha ricevuto da qualcuno che conta più dei suoi torturatori casalinghi”.
“Guarda quanta gente c’è che sa rispondere dopo di me a bocca chiusa…”… alla presenza del marito la protagonista invece di tornare indietro questa volta lotta insieme alle altre donne: certo con un respiro evidentemente affannato dalla preoccupazione che le fa muovere il corpo ritmicamente, ma anche con una danza labiale che esprime tutto il disappunto verso i soprusi e i prepotenti, riponendo tutta la speranza nelle nuove generazioni.

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