Beast without beauty (Bestia senza bellezza): ci puoi spiegare meglio il perché di questo titolo?
Il titolo fa eco alla bella e alla bestia, parodiando il nome conosciuto della favola, concentrandosi però non sulla bellezza ma sulla bestialità umana. Questo è il primo capitolo di una trilogia che proseguirà con la creazione, su cui sto lavorando ora, Les Miserables che indaga sempre sulla società umana riflettendo però questa volta sulla miseria umana.
In questo spettacolo mi sembra che ci sia stata tanta ricerca e ogni momento che hai costruito mi sembra esteticamente perfetto. Purtroppo oggi avere il tempo e i fondi per la ricerca non è sempre possibile, cosa ne pensi?
Nella mia idea la ricerca è costante, non ricerco per produrre. Per me è importante la comunicazione con lo spettatore e lo spettacolo è una sorta di anello all’interno del filo della ricerca. Per me la ricerca serve per trovare un modo di comunicare, non sono dell’idea di trovare un argomento. Il lavoro di ricerca è profondo, dura tra i 6 e gli 8 mesi e prevede una progettazione e una pianificazione di lungo respiro: inizialmente vedrai cose poi le studierai e le selezionerai per arrivare all’essenziale. La metodologia l’ho conosciuta da una compagnia belga che lavora con una costante ricerca e che pensa alle produzioni in modo biennale.
Una grande mano dal punto di vista economico ci è stata data dal bando Siae Sillumina-Copia privata per i giovani ma credo che in questo momento storico il coreografo e il direttore artistico debbano rimettersi in gioco e possano diventare imprenditori di se stessi cercando anche fondi privati.
In che senso parli di imprenditorialità?
Diciamo che in Italia stanno tagliando le ali alle imprese culturali, perché nell’idea di impresa all’estero devi avere utili e non come accade nel nostro paese che “ti salvano” se non hai abbastanza entrate. Se all’estero non ricevi finanziamenti privati e non ti riesci a sostenere da solo lo Stato non ti premia: lì hanno come idea fondante la meritocrazia, in Italia funziona esattamente all’incontrario.
Quindi fare impresa culturale secondo me oggi vuol dire essere autosufficiente e creare danzatori che diventino consapevoli come l’essere professionali significhi pianificare almeno 30 giornate di lavoro e tutte ben retribuite: bisogna rivedere il sistema e la metodologia che ne sta alla base con azioni che lo facciano rinascere in un modo diverso.
Come hai cercato, con quella che tu stesso hai chiamato “creazione originale”, di riportare il pubblico a teatro?
La danza è uno strumento di comunicazione e bisogna avere un certo rispetto per lo spettatore.
Il lavoro che ho creato deve arrivare al pubblico, perché la danza è un alfabeto e lo devo conoscere, cercando nuove lettere e nuove parole, per poi espanderlo. Per questo lo spettacolo non si può fermare alla ricerca, il fine ultimo è arrivare allo spettatore e bilanciare quello che il pubblico può recepire: finito lo spettacolo, una sera a Verona, una signora mi ha detto “sono proprio contenta perché questa sera sono finalmente riuscita a capire la danza contemporanea”. Questo è quello che intendo.
La cosa che più colpisce nei tuoi spettacoli è che usi diversi linguaggi in scena, cosa ti spinge a parlare a più persone possibili con tutti questi linguaggi?
Per portare lo spettatore verso un concetto, un pensiero, un punto interrogativo che può e deve dare il teatro noi usiamo la danza, tanto quanto la parola e il canto. Chiedo ai “miei” performer di lavorare su più livelli, cercare di nasare cosa sta succedendo ora. Anche la mia formazione è “multistimoli”: lavoro da quando ho 14 anni e adesso ne ho 35, più di 20 anni li ho passati a ricercare un modo per formarmi continuamente tra teatro, musical e intrattenimento è così di conseguenza anche la formazione che ora utilizzo per i performer che collaborano con me è multitasking (per la nuova produzione ad esempio oltre al training fisico ho affiancato anche il training vocale).
La rivista Teatro e Critica parla della tua danza come “arte anfibia”, come vede la danza oggi Carlo Massari?
Bisogna ripensare la danza e lo spettatore deve “godere” e lo spettacolo deve essere un “godimento emozionale”. Credo che l’importante sia comunicare e non comunicarti, guardare uno spettacolo recependo una sensazione e renderla come arte e artigianato. Usare i linguaggi per raccontare, dire e narrare è sicuramente qualcosa di respiro europeo ma io sono italiano e ho la capacità e gli strumenti per capire e portare anche da noi questa nuova modalità.
“Anfibio” per me è mettere in scena un corpo che non significa solo una sequenza di movimento ma comprende anche la parola e qualunque muscolo possa essere usato è chiamato in causa nel nostro lavoro.
Una cosa che mi ha colpito molto in Beast without beauty è il fatto che abbia scelto di tenere un personaggio fermo sul palco per quasi tutto lo spettacolo e hai ideato una scenografia essenziale. Come lavori in tal senso?
Ho un forte legame con il teatro di Brecht che, dato il periodo storico in cui viveva, non aveva bisogno di fronzoli; poi mi sono fatto ispirare da Sabie Doland, giovane regista che lavora sull’essenza e su un solo elemento alla volta, e da Yorgos Lanthimos regista greco. Sento molto forte la connessione con il cinema e la danza: è importante quando la scena è orientata all’essenziale.
La base è il cardine, porto all’essenza del movimento, che arriva dopo che la ricerca ha portato all’essenziale. Per me la danza non è l’unico elemento ma è un elemento tra tutti gli elementi, seppur essenziali, che inserisco nello spettacolo: ogni cosa (movimento, voce, parola) prende un suo spazio e ha un peso uguale.
Come ad esempio il microfono che è sempre in scena e che amplifica ulteriormente le parole e rappresenta un po’ anche l’urlo o il soffocamento delle tante parole giudicanti che oggi si “spendono”?
Si il microfono può rappresentare l’urlo e l’arrivare significa metterti di fronte a un quadro, a un’immagine. Ma può anche rappresentare altro perché l’immaginario lo può e lo deve creare lo spettatore; tanto quanto non farsi comprendere è deleterio, altrettanto lo è spiegare un quadro nel dettaglio perché ci sono diversi piani di lettura e il gioco è carpire più persone possibili. È quello che chiamo “effetto lasagna”: c’è un multistrato dove devi arrivare, ma se arrivi solo allo strato due non ti devo far arrivare al livello cinque e così all’incontrario. Devi carpire quello che devi carpire e sarai stato ugualmente uno spettatore che ha “goduto” di quelle che ho ribattezzato non spettacoli ma “creazioni originali”.
Beast without beauty è una creazione originale Carlo Massari/C&C
con Carlo Massari, Emanuele Rosa, Giuseppina Randi
light designer: Francesco Massari
costumi: Gabriella Strangolini
acconciature: Bruna Toneatto
produzione: C&C Company
in co-produzione: con Festival “Danza in Rete” Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza
con il sostegno di: Festival Oriente Occidente/CID Centro Internazionale della Danza, CSC Bassano del Grappa, Piemonte dal vivo, ARTEVEN, Mosaico Danza, h(abita)t – Rete di Spazi per la Danza/Leggere Strutture Art Factory, Comune di San Lazzaro di Savena “Protagonismo e Creatività”, con il supporto di Residenza I.DRA. e Teatri di Vita nell’ambito del “Progetto CURA 2018”.
Questo originale percorso tra danza, voce e canto, sarà ancora in tour in autunno e non mancheranno le occasioni per poterlo rivedere in diverse città italiane:
6 ottobre Tedanse Festival / Teatro Opera Prima / Latina
7 novembre Testimonianze ricerca azioni Festival / Teatro Akropolis / Genova
9 novembre Concentrica Festival / Torino
14 novembre Think Pink Festival / Spazio Fattoria / Milano
24 novembre Wonderland Festival / Residenza I.DRA. / Brescia
20 dicembre Teatri di Vetro Festival / Teatro India / Roma
Il 12 ottobre partirà la III edizione dell’ormai collaudato Corso per la Qualifica di Maestro di Danza, organizzato dal Centro Studi La Torre, in collaborazione con Iscom E.R e Regione Emilia Romagna.
Secondo questo percorso professionale il Maestro di Danza deve saper condurre lezioni di classico, moderno e contemporaneo, graduando gli obiettivi didattici in relazione alle caratteristiche psicofisiche degli allievi. Diversi saranno gli argomenti su cui si soffermeranno i corsisti: lezioni di danza, anatomia esperienziale del movimento, composizione del movimento coreografico, storia della danza, storia della musica della danza e produzione dello spettacolo dal vivo.
Diamo la parola ad alcuni dei docenti per conoscere da vicino il programma di studio:
Alessandro Pontremoli: Docente di Storia della Danza e di Teatro educativo e sociale all’Università di Torino, docente del modulo di Storia della danza.
“Per ogni docente di un’arte è fondamentale conoscere alcuni elementi di base della storia di quell’arte. Facendo una scelta di sintesi, si parlerà della storia della danza e si toccheranno i seguenti argomenti: definizione della danza, aspetti antropologici della danza, linee generali della storia della danza attraverso i secoli e linee generali della danza del presente. Gli elementi di storia della danza permetteranno così al docente una maggiore consapevolezza nell’insegnamento.”
Emanuela Tagliavia: Danzatrice e coreografa, docente di danza contemporanea, direttrice artistica modulo composizione coreografica.
“Questo modulo vuole far conoscere gli stili coreografici contemporanei e i diversi aspetti della cultura coreutica e vuole essere uno stimolo ad avere un ‘pensiero coreografico’ al fine di analizzare il movimento, inserirlo in un contesto spazio-temporale e trovare la propria poetica.
Il modulo introduce anche drammaturgia e illuminotecnica, utili strumenti nella realizzazione di una coreografica con l’apporto dei docenti: Lorella Rapisarda, Diego Tortelli, Sharon Remartini e Fabio Passerini.”
Monica Morleo: Appassionata di danza, teatro e musica, da anni si occupa di organizzazione e distribuzione teatrale, tournée e comunicazione culturale, docente del modulo di Produzione degli spettacoli dal vivo.
“Dall’idea, alla realizzazione e alla comunicazione di uno spettacolo dal vivo. Come organizzare uno spettacolo avendo un’idea in testa? Progettazione, fattibilità, tempistiche, modalità tecniche e considerazioni economiche per organizzare al meglio il proprio progetto di spettacolo. Come comunicare e promuovere lo spettacolo per rendere l’evento partecipato da un pubblico numeroso? Elementi teorici, esercitazioni pratiche e case history per conoscere i principi chiave della produzione di uno spettacolo dal vivo.”
Il parere dei Commissari nominati dalla Regione Emilia Romagna per capire le modalità con cui vengono giudicati all’esame i corsisti:
FrancescoVolpe: Già primo ballerino del Teatro San Carlo di Napoli.
“Tengo particolarmente alla frequenza dei corsi e alle ore frequentante e ci tengo ad avere un’impressione generale del percorso intrapreso anche al di fuori della danza. In particolare mi occorre capire la motivazione reale che ha spinto ad intraprendere questo percorso e all’approccio psicologico, umano e di cultura generale di chi ha frequentato il corso. In generale verifico che ci sia un buon equilibrio personale perché poi i maestri di danza si confronteranno per la maggior parte con una platea spesso costituita da piccoli ballerini.”
Massimiliamo Scardacchi: Insegnante diplomato all’Accademia Nazionale di Danza di Roma e alla Scuola del Teatro alla Scala di Milano.
“In questi anni di esperienza come commissario la mia attenzione si è incentrata molto sull’aspetto didattico-metodologico e formativo degli allievi, che secondo me è la capacità fondamentale dell’insegnante di danza, oltre alla conoscenza della musica nella costruzione della lezione di danza; alla metodologia e didattica della danza e ai principi pedagogici e psicologici legati ad essa. Inoltre, ho preso in considerazione lo “stile” comportamentale dell’insegnante: la comunicazione, il codice deontologico e l’autovalutazione come analisi critica del proprio essere e fare per saper valutare i risultati di apprendimento ex-ante, in itinere ed ex-post dei propri allievi”.
La musica che è alla base della cultura hip hop italiana è relativamente giovane perché nasce tra la metà degli anni ’80 e gli inizi degli anni ’90, con dieci anni di ritardo rispetto all’America, dove è nata la cultura e la musica hip hop. Già a partire da quegli anni il rap italiano ha risentito di diversi correnti: il rap così detto commerciale, con esponenti conosciuti anche da un ampio pubblico come Jovanotti (che fece da apripista utilizzando la tecnica vocale del rap ma discostandosi dallo stile hip hop “tout court”), Sottotono e Articolo 31; la così detta cultura antagonista dove il rap si concentrava su testi di protesta sociale con artisti come 99 Posse e Assalti Frontali e il rap underground, molto più vicino allo stile del rap americano, con esponenti come i Radical Stuff, gruppo italiano che utilizzava la lingua inglese per i versi dei loro testi.
Ancora oggi questi diversi “modi” di interpretare il rap sono presenti nella cultura musicale hip hop italiana e sempre con queste diverse declinazioni il rap è interpretato sia da artisti mainstream che underground, discostandosi l’uno dall’altro sia per le sonorità che per i contenuti dei testi. Queste differenze portano i veri puristi dell’hip hop a non considerare degno di questa cultura il rap proposto, ad esempio, da Fedez e lo stesso Fabri Fibra, considerato uno dei pionieri della cultura hip hop italiana contemporanea, intitolò il suo primo disco uscito per una major discografica “Tradimento”, facendo riferimento al fatto che si era “commercializzato” e che avrebbe “tradito” i detrattori del rap commerciale.
Nel solco di questa querelle si instaura la musica hip hop di recentissima generazione con il genere musicale più ascoltato tra giovani e giovanissimi: la trap.
La trap, che è un sottogenere dell’hip hop sviluppatosi in America dal Southern hip-hop, recupera a sorpresa (o almeno a mia sorpresa) l’Electro Funk anni ’80 nato con l’introduzione di drum machine (macchine progettate per eseguire e comporre ritmi imitando il suono di strumenti a percussione) come la Roland tr 808, grazie alla quale si portò lo sviluppo della Miami bass ed in seguito al Southern hip hop. Questo genere dedica infatti uno studio molto attento al sound proponendo un uso massiccio dell’elettronica con beat-boxer, sintetizzatori oltre che di drum machine, tantissimi bassi e basi, che arrivano intorno ai 140 bpm (misura del tempo/le battute al minuto), e virtuosismi che raramente si possono trovare nelle produzioni di hip hop music più classiche.
Per conoscere meglio questo nuovo genere, e per proporre ad una classe di hip hop l’ evoluzione di questo tipo di musica in Italia, si può fare riferimento ad uno dei primi e tra i più conosciuti dal grande pubblico, come Gué Pequeno, già componente dei Club Dogo, che è stato il più famoso tra gli importatori italiani e poi a diversi nomi che forse sono più conosciuti da giovani e giovanissimi, ma magari meno dalle generazioni di insegnanti e ballerini che hanno tra i 30 e i 40 anni. Tra i più noti, ognuno con caratteristiche proprie molto diverse tra loro, si possono senz’altro citare Sfera Ebbasta, Capo Plaza, Tedua, Marracash, il collettivo Dark Polo Gang, composto da Tony Effe, Wayne Santana e Pyrex, Izi, Dark Side, Rkomi, Achille Lauro, Enzo Dong e Drefgold ma anche tanti altri nomi di spessore meno noti e seguiti della scena underground che hanno deciso di utilizzare produzioni trap per i loro pezzi.
Fondamentale punto di riferimento per la trap sono i produttori musicali e i beatmaker tra cui, in Italia, si possono citare sicuramente Sick Luke, figlio del rapper romano Duke Montana e componente della Dark Polo Gang, Charlie Charles che è considerato una delle figure più innovative della scena trap italiana e i tanti giovani produttori di talento più o meno underground. Anche Ghali è un’artista trap molto conosciuto che però si inserisce in questo genere con una narrazione più personale che incrocia i temi classici del rap e con il vissuto di un ragazzo arrivato dalla Tunisia, quando in generale la trap si occupa maggiormente di tematiche più crude e con sonorità più ipnotiche e dark.
Utilizzare a lezione di hip hop pezzi trap o con sonorità che si avvicinano al genere può sicuramente sensibilizzare gli allievi nella conoscenza della storia dell’hip hop, partendo dagli inizi degli anni settanta, oltre che far conoscere gli artisti che hanno contribuito all’evoluzione del genere negli Stati Uniti. Utilizzare la trap può essere quindi un buon primo approccio per far avvicinare i teenagers all’hip hop music senza relegare la loro conoscenza musicale ad un’unica sonorità legata alla moda del momento. Con questa modalità l’insegnante si avvicinerà in maniera positiva alle classi di ragazzi più giovani e potrà favorire l’educazione all’ascolto.
Certo, la trap porta con sé, oltre alle radici musicali, anche tematiche che risultano scomode e che inneggiano ad eccessi in diversi ambiti (magari attenzione a proporre la trap a bambini o ragazzini); ma poi non è anche vero che ogni epoca ha il suo genere musicale eversivo, esagerato, senza freni e basato sul divertimento e sul consumismo? E non è vero poi che questo sia sistematicamente amato dalle giovani generazioni?
E se facessimo un salto temporale negli anni ’50 e scoprissimo come fu accolto il rock’n roll? Esattamente allo stesso modo della trap oggi e questo non mi sorprende affatto!
Note sugli autori:
Monica Morleo
Elia del Nin Ballerino e insegnante. Per IDA è al Corso di Insegnante di Hip Hop Dance per Bambini
© Expression Dance Magazine - Settembre 2019
Fabio Marcato, fotografo e autore della foto di copertina, ci svela qualche segreto per ottenere dalla macchina fotografica la foto di danza perfetta.
Per Fabio durante le coreografie l’obiettivo è fissare un istante e fermarlo in un’immagine fotografica, tecnicamente occorre anticiparne la dinamica ed è più facile quando si riesce a seguire anche le prove. La difficoltà maggiore sta nel riprendere la danza quando si svolge in teatro, perché i continui cambi di luce costringono il fotografo, che scatta in modalità “manuale”, a modificare continuamente i parametri di scatto.
Il problema della danza, ci racconta, è che ogni movimento esprime la sua assoluta bellezza quando raggiunge la massima estensione quindi lo scopo è quello di prenderlo proprio in quel punto, per poi bloccare un attimo, un momento. Per bloccare questi attimi, per fotografare i corpi in tensione dei ballerini, per carpire i momenti più alti della coreografia, sarebbe molto facile usare “lo scatto multiplo a raffica”, ma per Fabio la sfida è proprio quella di riuscire a bloccare quegli istanti usando lo scatto singolo. Dal punto di vista emozionale, e venendo dal mondo delle fotografie di viaggi e di reportage, per lui è importante rappresentare con la fotografia quello che sta accadendo e vuole lasciare a chi guarderà la foto un racconto vivido.
Essendo ogni fotografia un racconto, gli interessa e gli ispira molto il backstage degli spettacoli di danza sia per completare al meglio il racconto sia per conoscere meglio l’anima dei danzatori che andrà a ritrarre. Raccontare queste fasi, spiega, ti catapulta in ciò che andrai poi a vedere su palco e contribuisce a rendere più familiare e discreta a tutti la presenza del fotografo per ottenere un effetto più naturale durante la performance.
Proseguendo in questa direzione, Fabio negli ultimi anni si è dedicato alla fotografia di stage di danza e ha cominciato ad apprezzare molto questo tipo di fotografie per carpire i segreti degli insegnamenti dei maestri a cui solitamente non viene data molta voce e di cui si conosce molto poco fuori dal mondo della danza. Infatti non si usa molto raccontare il lavoro del maestro di danza ma così nessuno vede come cresce il lavoro e non vede da vicino come ogni insegnante abbia un metodo e una personalità diverse.
Entrare come fotografo in un momento collettivo come lo stage o in una palestra in cui si fa lezione non è facile e la sua presenza può essere una distrazione ma molti “dicono che è come se non ci fossi e quando riesci a scomparire, tutti i soggetti risultano fotograficamente più naturali”. Questo risultato l’ha ottenuto dopo molto tempo anche conoscendo ogni giorno di più i modi dei ballerini e degli insegnanti ed è per questo che la testimonianza fotografica dell’evento ha una resa molto più distesa e naturale.
Dal punto di vista tecnico dichiara che non è un conoscitore profondo di questa arte ma la continua a fotografare perché la ritiene bellissima, affascinante e la guarda sempre con “meraviglia”, alla ricerca continua dello “scatto perfetto” che possa raccontare quanto la danza sia un’arte che concentra nella costruzione e nell’esibizione di un movimento fatica, forza, passione, precisione tecnica, dedizione e disciplina.
Ndr. Fabio Marcato è autore dell'immagine di copertina del numero di Expression di Settembre 2019 dedicata a Kledi.
Per conoscere meglio il mondo di Fabio Marcato: www.fabiomarcato.it
Il dialogo tra ileopsoas e gran dorsale è un importante sostegno nell’equilibrio posturale del danzatore. Già nel 2010 scrissi un articolo sul “passo a due” tra psoas e gran dorsale e, a distanza di quasi 10 anni, dopo averlo ritrovato riletto ho pensato di arricchirlo di alcune informazioni che possono essere d’aiuto nella comprensione del movimento e nella ricerca dell’allineamento posturale.
Guardare un corpo in movimento è come osservare lo spettacolo di una grande compagnia in cui ogni ballerino è importante per la buona riuscita sul palcoscenico. Riuscire a percepire e ascoltare le varie parti del corpo significa sviluppare una maggiore capacità di controllare la coordinazione dei movimenti e il funzionamento del corpo.
Di recente ho frequentato il percorso Mezieres che indica delle fasi per la ricerca dell’equilibrio posturale: per prima cosa è importante detendere il corpo e questo può avvenire attraverso una tecnica a terra di “respirazione cellulare” (Body mind Centering); in un secondo momento, si danno indicazione ai danzatori di integrare il respiro con il movimento prima di un braccio, poi dell’altro, una gamba, l’altra e successivamente il corpo su tutti i piani (svolgimento fasciale, foto 1).
Si percepirà un movimento interno che si manifesterà con micro movimenti che miglioreranno la propriocettività e la percezione del corspo sia internamente che esternamente.
Successivamente si educano i danzatori ad una respirazione terapeutica che verrà utilizzata in seguito nelle varie posizioni in dinamica (foto 2).
Il gran dorsale ha un ruolo di “primo ballerino” nella rieducazione posturale di Mezieres attraverso una contrazione isometrica e, con l’utilizzo della respirazione, nella fase espiratoria, si attiva il dialogo con lo psoas. L’aria uscirà lenta, a bocca leggermente aperta, come se si dovesse appannare un vetro (foto 3).
Sia la Mezieres nel 1900, che Mayers nei nostri giorni, parlano di catene muscolari: Mayers nei suoi meridiani miofasciali individua una catena profonda che parte dai piedi, flessori profondi, e arriva alla lingua. Dall’ immagine si può vedere la posizione dello psoas (foto 4).
E una catena funzionale posteriore formata dal gran dorsale fascia lombo dorsale, grande gluteo e vasto laterale (foto 5)
L’ILEOPSOAS
Azione
Questo muscolo serve per flettere la coscia sul bacino, per avvicinare il femore alla linea mediana imprimendogli anche un movimento di rotazione laterale. Il movimento di flessione è potente, quello di rotazione è più debole. In stazione eretta, il muscolo prende punto fisso sul femore, agendo sulla colonna vertebrale e sul bacino flette le cosce anteriormente. Nella stazione eretta, inoltre, combina la sua azione con i muscoli addominali, con i muscoli estensori della colonna e con quelli della pelvi per assicurare l’equilibrio del tronco sulle anche.
Gli ileopsoas sono importanti per dare inizio al movimento. Gli addominali servono per garantire forza e resistenza una volta che il movimento è iniziato e aumentano la mobilità del torace grazie all’intreccio tridimensionale delle loro fibre.
All’interno delle due catene muscolari può essere interessante osservare il lavoro di questi due muscoli, l’ileopsoas e il gran dorsale, in quello che risulta essere un passo a due. L’ileopsoas è un muscolo che si colloca internamente e anteriormente al corpo, mentre il gran dorsale si trova posteriormente ed esternamente. Il primo collega l’ultima vertebra toracica, le vertebre lombari, il bacino e il femore, il secondo insieme alla fascia toraco-lombare collega il bacino, il tratto lombare, parte del tratto dorsale, la scapola e l’omero. L’ileopsoas e il gran dorsale compiono un lungo percorso: uno va dall’alto verso il basso e l’altro dal basso verso l’alto (foto 6)
Percezione e proposte pratiche per lo psoas
• Mobilizzazione segmentale del rachide e dello psoas con il ventre che deve essere sempre piatto aggiungendo la respirazione terapeutica
• Per effettuare un allineamento della parte anteriore del corpo, detto anche allineamento ventrale, si può effettuare un esercizio che consiste nella mobilizzazione segmentale del rachide e dello psoas. Il ventre deve essere sempre piatto
IL GRAN DORSALE
Azione
Questo muscolo è adduttore dell’omero, estensore e intrarotatore. I fasci superiori avvicinano la scapola alla colonna vertebrale, mentre i medi e gli inferiori tendono ad abbassare il moncone della spalla. Se prende punto fisso sull’omero, il gran dorsale solleva tutto il tronco (nell’atto dell’arrampicamento), in quanto estensore del rachide. In piedi, con le braccia in quinta posizione, una sua limitazione può provocare un aumento di lordosi o determinare una antiversione del bacino.
Esistono diverse analogie fra i due muscoli. Entrambi hanno un ventre muscolare esteso, diverse aree della colonna e del bacino, nella loro origine, così come entrambi terminano con un tendine, in un unico punto, nella parte inserzionale. La parte centrale, durante la contrazione di questi muscoli, può essere di sostegno e aiuta a mantenere il centro stabile mentre la parte terminale mobilizza gli arti. Se sono contratti creano disallineamento tra torace e bacino. Anche osservando i quadri clinici dei meridiani di milza (gran dorsale) e di rene (psoas), si notano punti in comune. Per esempio, il piede può presentare problemi come l’alluce valgo o dolore alla pianta. Entrambi possono provocare: problemi al polpaccio, a livello del ginocchio, dolore all’inserzione del semitendinoso e della zampa d’oca, a livello del bacino, la pubalgia.
Percezione e proposte pratiche per il gran dorsale
• Ecco come attivare il gran dorsale, mantenendo l’omero abbassato si estende la colonna: tenere le mani posizionate a livello dell’inguine, i gomiti ben aperti in fuori con spinta verso fuori, le clavicole “sorridenti” ben allineate. Occorre poi pensare che il gomito venga tirato verso l’esterno e spingere con le mani come se ci si volesse sollevare.
• Si può effettuare un esercizio di sbarra a terra per attivare entrambi gli psoas e il gran dorsale. Così facendo, le fibre dello psoas stabilizzano il tratto dorso lombare e il bacino mentre le fibre superficiali agiscono sull’arto inferiore e le fibre del gran dorsale stabilizzano l’omero ed estendono la colonna, stabilizzando il tratto inferiore.
Gli insegnanti di danza possono proporre esercizi (foto 7 e 8) che coinvolgono l’ileopsoas e il gran dorsale proprio per aiutare gli allievi a meglio percepire e ascoltare il corpo, oltre che a sviluppare anche un buon controllo del centro. È importante durante l’esecuzione del movimento utilizzare la respirazione terapeutica.
Note sull'autrice:
Rita Valbonesi
Fisioterapista Osteopata. Insegnante di danza, yoga e Garuda. Sta studiando IDME e SME (body mind centering).
Per IDA è docente dei corsi:
- Insegnante di Yoga per bambini
Nato il 23 Giugno del 1927 a Chicago, Bob Fosse arriva ad Hollywood all’inizio degli anni ‘50 dopo aver conosciuto il successo ballando sul palco dei Cabaret, dei Club di Streap-Tease e dei piccoli teatri di Broadway. Sulle orme del suo idolo Fred Astaire spera di far carriera al cinema e dichiara senza vantarsi di voler succedere a Gene Kelly sul grande schermo. Dal 1953 si esibisce in commedie musicali cinematografiche: “Give a Girl a Break”, “The Affairs of Dobie Gillis” e “Kiss Me Kate”, la ripresa hollywoodiana di alcuni successi di Broadway, coreografate da Hermes Pan che gli offrì l’opportunità di dare il suo primo contributo coreografico.
Bob Fosse collabora nel 1954 con Jerome Robbins in “Pajama Game”. Uno dei momenti salienti di questo spettacolo “Steam Heat”, breve sequenza cantata e ballata, è concepito su ritmi Jazz e sincopi, silenzi riempiti dal solo suono dei piedi, dal suono della lingua, dai fischi, dallo schiocco delle dita, dal battito in contrattempo delle mani dei tre interpreti, i quali trasformano il palcoscenico in un attimo in una piccola macchina. Interpretato da due danzatori di Jack Cole, Carol Haney e Buzz Miller, e dal futuro assistente e co-coreografo di Jerome Robbins in West Side Story, Peter Gennaro, questo numero è particolarmente rappresentativo dello stile eccentrico di Fosse giocato di isolazioni, ripetizioni e frammentazione. L’utilizzo del cappello e degli accessori ricorda il lavoro di Fred Astaire e alcuni riconoscono nel suo stile l’influenza di Jack Cole, il padre della Danza Jazz.
Bob Fosse negli anni sviluppa una scrittura coreografica unica, con molteplici influenze. Evocare il suo nome significa evocare immediatamente immagini di danza sensuale e donne sexy, cappello a forma di bombetta inclinato su un occhio in gran parte circondato da eye-liner, anca aggressiva, pause provocanti ispirate al vocabolario delle spogliarelliste che aveva visto lavorare da adolescente. Il suo linguaggio è rappresentato da sagome facilmente identificabili: spalle curve, testa spinta in avanti, polsi rilasciati, mani aperte, ginocchia piegate en dedans. Una Danza tutta in contrasto. Uno stile che Stanley Donen ha definito “sobrio e delicato”.
Fosse usava descrivere così il suo lavoro coreografico: “Penso che il mio stile sia basato sulle mie restrizioni fisiche, quindi è personale perché ballo da quando avevo nove anni. Così il mio stile è un po’ alla maniera di... ho rubato alcuni gesti coreografici ad alcune persone e sono stato influenzato da altri. Sono stato costretto a danzare in un certo modo perché ho una grande tendenza all’en dedans quando ballo. Non sono mai stato una persona spavalda, quindi il mio linguaggio è caratterizzato da tanti piccoli gesti. È un labirinto di influenze diverse”.
Bob Fosse condivide con Jack Cole la stessa intensità energetica del movimento. Così come lui usa il principio dell’isolazione, un’altra caratteristica importante del suo stile, che consente una maggiore percezione del dettaglio, Jack Cole usa una dinamica intervallata, che genera una sorpresa inaspettata. Rompe la frase Coreografica con brevi momenti di immobilità, pause ritmiche non musicali, salti esplosivi, cadute spettacolari, movimenti acrobatici.
In una Coreografia di Bob Fosse tutto è in contrasto: rapido e lento, contenuto ed esplosivo, innocente e sensuale.
Sul piano coreografico Bob Fosse gioca con la frammentazione, uno degli aspetti più importanti delle sue opere cinematografiche. Da un lato l’aspetto un po’ disgiunto delle sue danze, ognuna costituita da un mosaico di sequenze apparentemente non correlate in cui un salto mortale all’indietro o l’uso di un cappello fanno da intrusi in una serie di movimenti coreografici. Dall’altra parte le composizioni di Fosse sono caratterizzate da piccoli gruppi di ballerini, ognuno dei quali lavora separatamente, spesso in contrapposizione ad altri come nella sequenza “Once a Year Day” tratta da Pajama Game.
L’uso della ripetizione, un’altra caratteristica della sua scrittura coreografica, è altrettanto insolito. Bob Fosse utilizza la ripetizione simultanea di un movimento di diversi ballerini tanto quanto la ripetizione di un movimento precedente in accordo con una ripresa musicale. Le sue sequenze “divertissement” sono di solito eseguite da un piccolo gruppo all’unisono come in “Who’s Got the Pain” tratto da Damn Yankees o “Steam Eat” tratto da “Pajama Game”.
Bob Fosse evita che i suoi danzatori eseguano la loro coreografia di fronte al pubblico o alla telecamera e li presenta generalmente di profilo, modulando le direzioni nello spazio, giocando con varietà nella ripetizione della sequenza coreografica. La stessa sequenza può essere così danzata faccia a faccia, schiena contro schiena, tutti i danzatori nella stessa direzione o ognuno in direzioni diverse. Usa anche la ripetizione per attirare l’attenzione sull’eccentricità del movimento, per evidenziare le isolazioni e la frammentazione del suo stile.
Sotto l’energia, l’audacia e l’aspetto superficiale traspare un profondo rispetto del potere espressivo della danza stessa.
Ossessionato dall’idea della morte, evidente in “All That Jazz”, un’opera quasi autobiografica, mancò nel 1987. Dalla fine degli anni ‘90, Broadway ha ricordato il suo lavoro con la ripresa di “Chicago” - 1996, “Cabaret” - 1997, e un’ambiziosa retrospettiva dei suoi 40 anni di danza intitolato “Fosse: A Celebration in Song and Dance”, coreografato e messo in scena da Ann Reinking nel 1999. Nel 2019 viene realizzata la miniserie televisiva biografica “Fosse/Verdon”, che ricostruisce il legame professionale e personale di Bob Fosse con Gwen Verdon.
Note sull'autore:
Gianni Mancini
Docente di Tecnica della Danza Moderna e della Danza Classica presso il Liceo Coreutico e Teatrale “Germana Erba" di Torino. Docente Formatore IDA per il Corso per la qualifica di Insegnante di Modern
© Expression Dance Magazine - Settembre 2019
Il suo consiglio per diventare profesionisti? Aspetta, impara e vedrai!
Classe 1974, Kledi Kadiu, danzatore, attore, ballerino, insegnante si forma all’Accademia Nazionale di Danza di Tirana (Albania) e a soli 18 anni entra a far parte del Corpo di ballo dell’Opera di Tirana dove ricopre ruoli da solista in importanti opere di repertorio. Nel 1993 si trasferisce in Italia per lavorare prima a Mantova e successivamente a Rovereto. La prima esperienza televisiva arriva nel 1996 e dall’anno seguente è primo ballerino in programmi televisivi di grande successo. Poi la sua vita professionale continua tra teatro, cinema, televisione e docenze.
Sentiamo Kledi in un giorno di vacanza per commentare a caldo la notizia, uscita con un decreto ministeriale del 31 luglio e resa nota il 6 agosto, in cui il Mibac (Ministero per i beni e le attività culturali) l’ha nominato rappresentante ministeriale all’interno del Consiglio di Amministrazione della Fondazione della Accademia di Danza a seguito delle dimissioni del dott. Enrico Graziano.
Kledi sarà a Campus Dance Summer School a Ravenna dal 10 al 14 luglio 2020
Cosa ti auguri con questo nuovo incarico?
Intanto specifico, per correttezza di informazione, che l’incarico arriva direttamente dal Ministero e si tratta di una carica di rappresentanza all’interno dell’organo direttivo della Fondazione.
Con questo incarico e con la mia esperienza vorrei porre l’accento sulla danza come importante strumento di educazione per i giovani, stimolandoli ad apprezzare valori che credo siano imprescindibili per riconoscere i giovani talenti: carattere disposto a rinunce, rispetto, umiltà e voglia continua di apprendimento.
E secondo te queste caratteristiche sono sufficienti per diventare danzatori professionisti?
Questi valori oltre ad una sana competizione sono sicuramente la base da cui partire. Chiaramente in Italia, in linea con il momento di crisi che sta attraversando il Sistema Paese, la danza ha perso peso, valore e qualità: “ci sono tante fabbriche e pochi negozi”. Esiste un problema occupazionale abbastanza pesante dove i corpi di ballo degli enti lirici chiudono e le compagnie di giro hanno sempre meno fondi e meno possibilità di assunzione. In Italia lo sbocco occupazionale è al minimo storico e ai giovani ragazzi italiani intenzionati a diventare danzatori non resta che trasferirsi all’estero. L’Italia è un fanalino di coda se si pensa che in Germania, ad esempio, esistono ben 70 corpi di ballo contro i 3 rimasti nel nostro Paese.
E quindi come pensi che oggi sia cambiata la professione del ballerino?
All’interno delle professioni dello spettacolo, la categoria dei ballerini è sempre stata quella più debole sia per il breve arco temporale di attività che per l’usura ed i rischi continui a cui è sottoposto il loro fisico. Oltre a ciò, i ballerini hanno sempre difficilmente tutelato i propri diritti. Mentre l’Europa pone nuove vincoli e regolamentazioni per qualsiasi figura professionale a tutela dei lavoratori, il mondo della danza in Italia, continua ad andare in controtendenza: partendo dalla preesistente fragilità si è arrivati ora allo svilimento professionale dei ballerini che vengono sempre più coinvolti senza validi contratti, senza alcun rispetto di regole ed etica professionale artistica. E la cosa è ancor più grave perchè si verifica non solo in situazioni marginali ma anche, e soprattutto, nelle produzioni di grande rilevanza e di successo di pubblico.
Le nuove generazioni di ballerini sono ormai cresciute in un tessuto “professionale” in cui il ballerino non è un lavoratore (con tutti i diritti che ne conseguono) ma un semplice appassionato che viene “utilizzato” e poi “soppiantato”.
Al di là dello sbocco occupazionale, in linea generale come vedi invece i ragazzi che frequentano le tue lezioni?
Sicuramente diverso è l’approccio del corso “curriculare” nella scuola di danza con un’insegnate stabile, rispetto agli stage che conduco in tutta Italia. C’è chiaramente un rapporto meno continuativo e l’approccio di conoscenza è veloce, solo di qualche ora, e non permette quindi una conoscenza approfondita del ragazzo.
Posso comunque dire che anche in queste occasioni non mancano ragazzi che rispondono e “sgomitano” per arrivare in prima fila… Sicuramente è un problema educativo perché spesso i ragazzi arrivano in sala con molte, troppe aspettative e non con la sola voglia di apprendere qualcosa di nuovo e riempire un altro tassello del proprio percorso umano e formativo.
Parlando di educazione, cosa consiglieresti oggi ad un genitore che porta il proprio figlio ad un corso di aggiornamento di danza?
Prima di tutto consiglio di affidarsi completamente al docente che lo segue, poi consiglierei di dare più fiducia ai propri ragazzi cercando di vedere in queste occasioni di aggiornamento momenti di vera crescita e di sana competizione.
Per farli crescere, occorre farli sperimentare, provare, sbagliare ma soprattutto farli divertire perché solo così i ragazzi potranno capire se la danza può diventare la loro vita. Scoperta questa chiave di volta il tutto verrà in modo assolutamente naturale.
Secondo te come può sbocciare un vero talento? E tu come lo riconosci?
Il successo professionale (che, attenzione, non è quello mediatico) è un mix di bravura, umiltà (vera e non presunta), intelligenza, rispetto e rinunce: un mix che può avere tappe differenti e sbocciare quando meno te l’aspetti… l’importante è che il talento venga stimolato grazie ad un rapporto continuativo di fiducia tra allievo e docente.
Certo, la voglia di farsi notare è molta, ma consiglio di non bruciare le tappe e di saper attendere. Il vero talento è quello che può stare anche in ultima fila ma viene notato ugualmente: aspetta, impara e vedrai! Bisogna essere consapevoli, guardarsi allo specchio e guardarsi dentro: la consapevolezza di quello che si può fare o non si può fare lo sappiamo solo noi.
La tua più grande soddisfazione come docente?
Io credo che la verità sia un valore fondamentale per costruire fiducia e professionalità nei confronti dei ragazzi; dico sempre la verità anche se può essere dura, ma, come nella vita, tutto deve passare dall’accettazione.
Per questo la mia più grande soddisfazione è quando rivedo dopo anni ragazzi che mi hanno chiuso diverse porte in faccia (purtroppo il più delle volte guidati dai genitori) che ritornano a ringraziarmi. Ho quindi la certezza che la verità premia sempre nel tempo, anche perché i ragazzi mi dicono che si sono sentiti liberi di aver conosciuto e intrapreso il percorso che più gli è piaciuto esplorare e che grazie alle mie parole hanno avuto un’occasione di riflessione e di stimolo per costruire il proprio futuro.
Qualche consiglio per il futuro dei “ragazzi di oggi”?
Ragazzi so che fate fatica ad ascoltare ma ascoltate e non arrendetevi alla prima difficoltà, date fiducia a qualsiasi maestro che incontrerete sulla vostra strada perché sarà sempre un’ottima guida non solo nella danza ma anche nella vita. Non praticate solo la danza ma vivetela, andate a teatro e sperimentate la danza sul palcoscenico dove la danza è a casa.
Parlare con Kledi Kadiu è stato un vero piacere, oltre ad essere l’artista che tutti conosciamo, è un uomo molto umile e schietto e, come tanti professionisti del settore, è una persona determinata che vive di duro lavoro, tanto impegno e tante rinunce. La grande popolarità che lo ha travolto in questi anni non lo ha mai distolto tuttavia dall’ educazione che gli ha dato la danza aiutandolo a rimanere sempre con i piedi per terra e mantenendo ben saldi i principi e i valori che insegna questa disciplina. Kledi crede infatti fermamente che l’educazione come l’entrare in sala chiedendo permesso al maestro, chiedere scusa ad un compagno, socializzare in maniera sana e positiva sia alla base di una buona preparazione alla danza e alla vita.
Si sente talmente riconoscente per tutto quello che ha ricevuto durante la sua vita, a partire dai maestri dell’Accademia di Tirana, per continuare con ogni maestro e professionista che lo ha accompagnato successivamente, che la sua intenzione è indicare ai giovani la strada e i binari giusti per restituire un po’ di quel lavoro, di quei valori e di quel bene che ha avuto la fortuna di incontrare.
Kledi sarà a Campus Dance Summer School a Ravenna dal 10 al 14 luglio 2020
Caricamento eventi registro RSSD 2.0
Ricordiamo gli adempimenti per le A.S.D ed S.S.D per conservare i benefici fiscali.
a) le discipline sportive indicate nello Statuto siano comprese nell’elenco delle discipline sportive ammesse dal CONI e indicate sul certificato d’iscrizione al Registro CONI;
b) svolgere effettiva pratica della disciplina sportiva dichiarata statutariamente;
c) essere in possesso, per ogni singolo anno d’iscrizione al Registro CONI, di documentazione attestante la partecipazione alle attività organizzate dall’Ente o federazione di appartenenza.
A cosa serve il registro 2.0?
Il Registro è lo strumento che il Consiglio Nazionale del CONI ha istituito per confermare definitivamente “il riconoscimento ai fini sportivi” alle associazioni/società sportive dilettantistiche affiliate alle Federazioni Sportive Nazionali e agli Enti di Promozione Sportiva. Le associazioni, società o scuole di danza iscritte al Registro sono inserite nell’elenco che il CONI, ogni anno, deve trasmettere ai sensi della normativa vigente, al Ministero delle Finanze – Agenzia delle Entrate
Quali Eventi si possono inserire?
Si possono inserire tre tipologie di eventi, per la cui identificazione e definizione ci dobbiamo avvalere dell’allegato Elenco Attività previste dal Consiglio Nazionale CONI.
Eventi attività sportiva: Con attività sportiva si intende lo svolgimento di eventi sportivi organizzati dall’organismo sportivo di riferimento. Un evento sportivo può coincidere con una singola gara
Eventi attività formativa: Con attività formativa si indica l’iniziativa finalizzata alla formazione dei tesserati dell’organismo sportivo nonché le attività di divulgazione, aperte anche ai non tesserati, relativamente ad argomenti pertinenti la tecnica e l’ordinamento sportivo;
Eventi attività didattica: Con attività didattica si intendono i corsi di avviamento allo sport organizzato direttamente dell’organismo sportivo o organizzati dall’Associazione/società se espressamente autorizzati dall’organismo di affiliazione sportivo di riferimento
Cosa deve fare la scuola, in breve.
Compilare ed inviare all'IDA International Dance Association (ASI) i seguenti moduli:
- Modulo COMUNICAZIONE EVENTO
N.B.: fino al 30 settembre sarà possibile inserire anche attività già svolte nel costo dell’anno.
Dopo il 30 settembre potrete inserire solo attività non ancora svolte.
inserendo una delle attività previste nell'allegato “Elenco Attività” previste dal Consiglio nazionale del CONI.
N.B.: ogni attività prevede una diversa scheda (es. se organizzo corso di ginnastica artistica e di ginnastica aerobica, dovrò inviare due schede).
- AFFIDAMENTO TEMPORANEO ATTIVITA’ FORMATIVA-DIDATTICA
oppure
- AFFIDAMENTO TEMPORANEO ATTIVITA’ SPORTIVA
Il FUS, ovvero il Fondo unico per lo spettacolo è dal 1985 il meccanismo utilizzato dal governo italiano per regolare l'intervento di finanziamento pubblico allo spettacolo e fornire quindi sostegno finanziario ad enti, istituzioni, associazioni, organismi e imprese italiani operanti negli ambiti della musica, della danza, del teatro, del circo e spettacolo viaggiante, nonché a progetti multidisciplinari e iniziative di rilevanza nazionale. Dal 2014, a seguito del Decreto Cultura, i criteri e le modalità di concessione dei contributi FUS sono regolati da specifici decreti promulgati dal Ministero dei beni e delle attività culturali (MIBAC, ndr.), che ripartisce i contributi tra i vari settori dello spettacolo sulla base della presentazione da parte dei soggetti operanti nel settore di un progetto artistico triennale per le attività musicali, teatrali, di danza, circensi nonché di un programma annuale per coloro le cui istanze triennali vengono approvate. Inoltre, il Ministero concede annualmente contributi per le tournée all’estero e prevede interventi specifici a sostegno del sistema delle residenze artistiche.
Per l'anno 2018 il FUS ammontava a 333.941.798,00€ ed è stato così ripartito:
53,56% fondazioni lirico-sinfoniche, 21,25% attività teatrali, 18.04% attività musicali, 3,50% attività di danza, 1,75% progetti multidisciplinari e azioni trasversali, 1,48% circo e spettacolo viaggiante, 0,26% residenze e progetti under 35, 0,15% Osservatorio dello spettacolo.
Lo stanziamento del Fondo Unico per lo Spettacolo per l'anno 2018 destinato alle attività di danza è stato di 11.699.574,39€, ripartito tra le varie categorie a cui fanno capo i soggetti richiedenti.
La somma destinata al FUS viene stanziata annualmente attraverso la legge di bilancio e viene regolamentata attraverso decreti ministeriali; quello che attualmente in vigore è il D.M. del 27 Luglio 2017 che sancisce la suddivisione e l'erogazione dei contributi ai soggetti richiedenti per il triennio 2018-2020. Gli stanziamenti per il 2019 al momento della stesura di questo articolo non sono stati ancora pubblicati; è infatti prassi che tale somma venga riconosciuta e resa nota tra la fine di maggio e l’inizio di giugno.
In particolare l'art. 41, quello relativo ai soggetti che si occupano di promozione delle attività di spettacolo dal vivo, è la novità che è stata istituita a partire dal Decreto Ministeriale del 2014 (ex art.43) e che dà risalto e sostegno ai progetti che operano nell'ambito della promozione perseguendo come finalità quelle del ricambio generazionale degli artisti (sostegno alle giovani generazioni), dell'inclusione e coesione sociale, del perfezionamento professionale e della formazione del pubblico.
Rientra in questo articolo di finanziamento il progetto artistico del Network Anticorpi XL, l'unica rete italiana di operatori culturali che, grazie al coordinamento dell'Associazione Cantieri, da quasi 15 anni promuove azioni e progetti a sostegno dei giovani autori e compagnie della danza contemporanea e d'autore italiana. Con particolare attenzione al ricambio generazionale e quindi al sostegno costante della nuova generazione di giovani coreografi e compagnie italiane, il progetto artistico del network si compone di un'articolata gamma di azioni che rispondono alle necessità dei giovani autori e coreografi nelle differenti fasi del loro percorso di crescita professionale, attraverso formazione, accompagnamento e tutoraggio, circuitazione e sostegno pre-produttivo e produttivo.
La parola AZIONE è stata scelta dal Network per la caratteristica di concretezza, legata a un agire pragmatico, oltre che teorico, che sia risposta concreta ai bisogni e alle mancanze rilevate.
Azioni che facilitano il complesso cammino che un artista intraprende per emergere nella scena nazionale ed internazionale.
I progetti artistici presentati dai soggetti che richiedono il contributo devono rispondere agli obiettivi generali del Decreto a favore dello sviluppo della qualità del sistema di offerta dello spettacolo dal vivo, della multidisciplinarietà, dell'innovazione, della promozione dello spettacolo ad ampie fasce di pubblico, del ricambio generazionale degli artisti, nonché del sostegno alle nuove generazioni, della diffusione dello spettacolo in Italia e all'estero, dello sviluppo di reti tra soggetti e strutture del sistema artistico e culturale.
Requisito indispensabile di accesso ai contributi FUS è il comprovato svolgimento professionale dell’attività. Per le attività di musica e danza, e per le attività di promozione, i soggetti richiedenti inoltre non devono avere scopo di lucro.
© Expression Dance Magazine - Giugno 2019
Sempre più spesso i ballerini iniziano a lamentarsi di dolori in regione glutea, trocanterica e/o inguinale insorti progressivamente durante l’attività artistica, dapprima solo in alcuni movimenti, poi, progressivamente, sempre più costanti e limitanti l’articolarità.
Da circa due o tre anni si iniziano a vedere sempre più frequentemente ballerini che soffrono di una patologia “per così dire” emergente nell’ambito danza: il conflitto femoro-acetabolare.
Ho avuto esperienza di ballerini che già a partire dai 14-16 anni hanno iniziato a soffrire di tale dolore all’anca; l’insorgenza di tale patologia può essere sommariamente divisa in 2 categorie:
1) Acuta: vale a dire a seguito di un unico movimento forzato, spesso associato a un errore posturale e/o tecnico, come ad esempio una spaccata frontale o una “gamba alla seconda”, forzando la sua elevazione o lo slancio della stessa durante un salto. Talora anche una caduta a terra maldestra può determinare una valida distorsione dell’anca con inizio dei sintomi.
2) Cronica: vale a dire per tanti movimenti eseguiti scorrettamente, ripetutamente, cercando articolarità estreme.
Soprattutto in quest’ultimo caso si può affermare che la predisposizione anatomica è un fattore predisponente importante, oltre al tipo, ripetizione del movimento e agli errori tecnico/posturali.
Analizzando il problema passo passo, potremmo iniziare a descrivere sommariamente l’anatomia dell’anca.
L’anca è una articolazione profonda, posta in sede inguinale (immagine 1), costituita dall’unione di testa femorale e acetabolo (immagine 2).
Il conflitto femoro-acetabolare (FAI) è una patologia caratterizzata da un conflitto anomalo tra testa del femore e acetabolo, capace di generare microtraumi al cercine (struttura posta a guisa di guarnizione attorno all’acetabolo) e alla cartilagine stessa della testa femorale ovvero del cotile. La forma del femore e dell’acetabolo è spesso un grande fattore predisponente, ma talora si assiste a FAI pure in anche apparentemente normali, probabilmente per movimenti ripetitivi in flessione (grand battement, spaccata frontale, ecc).
Il conflitto meccanico tra testa femorale e cotile di solito avviene negli ultimi gradi del movimento, spesso in flessione e rotazione dell’anca, così da generare dolore e limitazione ai movimenti quali la gamba alla seconda, la spaccata frontale e laterale, i grand battement. La deformità della testa spesso e anteriore e superiore, creando quindi una testa femorale che da sferica diviene più ellittica e che male si articola con il cotile, sferico. Questa anomalia di forma, unita ai microtraumi e ai movimenti ripetitivi, crea lesioni cartilaginee che secondo molti autori predispongono ad una usura precoce dell’articolazione stessa (immagine 3).
Classicamente i ballerini soffrono di un dolore profondo localizzato a livello inguinale o trocanterico, talora irradiato al gluteo o al fianco. Il dolore è spesso associato ai movimenti e ai massimi gradi dell’escursione articolare, infatti si lamentano del fatto che “non riescono più ad arrivare con la gamba in alto e a ruotarla come l’altra….”. Almeno all’inizio, il dolore non è sempre localizzato all’inguine e non è così forte da allontanare dalla danza. Sovente quindi i ballerini continuano a ballare e a ricercare la stessa articolarità dell’anca durante i fondamentali tecnici, peggiorando ovviamente la condizione di base. Le prime terapie, inoltre, potrebbero non essere mirate, perché non sempre si riesce a fare una diagnosi precoce, pertanto si arriva alla prognosi di certezza con ritardo, quando oramai sono già presenti lesioni del cercine o della cartilagine.
I primi sintomi di solito si avvertono verso i 14-16 anni di età e diventano costanti e invalidanti nel giro di pochi mesi, soprattutto in quelle anche anatomicamente predisposte.
La terapia del FAI è sia conservativa che, ahimè, chirurgica. Sicuramente occorre fare prevenzione, evitando di “forzare” l’articolarità delle proprie anche laddove vi sia una limitazione (immagine 4). Spesso la limitazione è indice di una morfologia ossea particolare e prima di raggiungere i propri limiti anatomici e superarli sarebbe opportuno, in relazione all’età, far riferimento a personale medico e/o tecnico preparato. Questi ultimi daranno spiegazione del motivo della limitazione e, se possibile, offriranno un rimedio per migliorare la proprio capacità di movimento. Una volta iniziata la patologia, quindi nelle anche dolenti per la presenza di un conflitto, occorre di sicuro valutare la risposta terapeutica prima di ipotizzare l’intervento chirurgico che si esegue in artroscopia. Occorre infatti modificare la postura pelvica, correggere gli errori tecnici, astenersi dalla danza ed evitare i movimenti che generano il dolore, scaricare la muscolatura contratta (ileo psoas, pelvi-trocanterici, ecc) e rivedere la tecnica con cui si danza. Solo in caso di fallimento della terapia medica e fisioterapica, è opportuno valutare la rimozione chirurgica del FAI. Una volta rimosso il FAI, occorrerà seguire scrupolosamente le indicazioni post operatorie per evitare la recidiva della patologia stessa….e ricordiamoci che le anche sono due!
© Expression Dance Magazine - Giugno 2019
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