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Il Corso per Insegnanti di Modern, un'idea diventata realtà

Mercoledì, 17 Luglio 2019 11:18 Scritto da

 

Questa storia ha le sue radici nella parola “ascolto”… io credo che un bravo insegnante abbia il dovere di osservare e ascoltare i propri allievi ancor prima di impartire loro qualsivoglia nozione, in questo modo avrà il privilegio di valutarne le conoscenze, le zone d’ombra e aiutarli a colmare i vuoti.

Da questo principio, un giorno di quasi vent’anni fa, ho colto nelle parole di giovani insegnanti l’esigenza di essere formati e un bisogno di un metodo per indirizzarli in quello che è uno dei lavori più delicati e affascinanti.

Così, un’idea si è trasformata in un progetto, accolto con grande entusiasmo ed eccellente professionalità; e in un attimo il progetto è diventato la scuola di formazione per insegnanti di Modern più importante di Italia.

La prima persona con la quale ho condiviso questo viaggio è stata Rita Valbonesi. Insieme abbiamo ideato un programma e redatto una dispensa e creato un metodo di lavoro che potesse essere funzionale. La nostra collaborazione si è rivelata fin da subito magica perché supportata da un unico linguaggio parlato, quello della scienza. Dall’inizio è stato chiaro che noi volevamo creare degli insegnanti consapevoli, che agissero per conoscenza e non per imitazione e l’unico modo di farlo era quello del “sapere”, sfatando cosi i vari retaggi culturali legati alla danza.

Negli anni il programma si è evoluto e anche il corpo docenti si è trasformato, mantenendo gli stessi denominatori comuni: conoscenza e metodo.

Da qualche anno il team docenti è formato da: Rita Valbonesi, Silvia Ardigò, Matteo Addino, Giovanni Mancini oltre alla sottoscritta. Io mi sento orgogliosa di poter coordinare questo progetto, ma soprattutto uno staff con una professionalità e un’etica che ormai sembra passata di moda. Ognuno di noi porta con sé un bagaglio di esperienze enorme e, al contempo, un background legato a IDA e ai principi sulla quale si fonda. 

Che cos’è il Corso per Insegnanti di Modern? 

Un percorso costituito di nove incontri alla fine dei quali vi è l’esame teorico pratico.

Il programma ha come fulcro un metodo basato sui principi di anatomia, fisiologia, biomeccanica e pedagogia applicati alla danza dai 3 anni in avanti. Da quest’anno è stato, infatti, integrato il corso di propedeutica alla danza, dando così l’opportunità ai corsisti di concentrare in un unico percorso le nozioni fondamentali al fine di intraprendere questa professione.

Durante il percorso viene sezionata la lezione di Modern, analizzando ogni sua parte dal punto di vista tecnico e cercando di capire i principi sui quali si basa la disciplina, anche dal punto di vista storico. Piano piano si costruisce una lezione che poi verrà presentata all’esame finale come verifica di quanto appreso durante l’anno. Inoltre i partecipanti affrontano un questionario scritto per verificare l’acquisizione di tutte le nozioni teoriche applicate alla danza.

 


Maggiori informazioni sul Corso per Insegnanti di Modern a questo link >


 

 

La parola agli insegnanti...

RITA VALBONESI

 

Osteopata, fisioterapista, insegnante di danza, insegnante di yoga, yoga education e yoga wellness; da anni collaboratrice l’IDA come docente.

“Grazie alla dance Professional School posso far conoscere l’anatomia e la fisiologia e soprattutto far capire quanto queste conoscenze siano importanti per gli insegnanti di danza. Capire come funziona un corpo e farne esperienza è un grande sostegno per imparare la tecnica della danza ma soprattutto aiuta a prevenire gli infortuni. Ringrazio tutti gli insegnanti che si sono formati con noi perché hanno mostrato sempre un grande entusiasmo nello studiare e nell’applicare le nozioni e i concetti appresi”

 

 

ROBERTA BROGLIA

La formazione artistica di Roberta Broglia è prevalentemente classica fino all’età di quindici anni, quando l’incontro con il Maestro Pomper la spinge verso il mondo del Modern Jazz diplomandosi presso la scuola Professionale SPID. Successivamente studia nelle migliori scuole milanesi e Statunitensi. È diplomata ISEF e laureata in Scienze Motorie. 

Insegna presso alcune scuole di Milano, tra le quali Armonia e ha diretto per diversi anni AWD. Diventa docente presso i corsi di formazione FIF, fino al 2001, quando diventa coordinatrice IDA nel progetto Dance Professional School, ad oggi Scuola per Insegnanti di Modern.

IDA è casa e i miei colleghi sono cari amici oltre che professionisti di cui ho massima stima. Con Rita c’è stato subito feeling e abbiamo collaborato al fine di creare un percorso nuovo, è una delle professioniste più preparate che io abbia mai conosciuto. Silvia è sia un’insegnante che una coreografa, oltre che una cara amica. Matteo e Giovanni sono i miei allievi di cui sono più orgogliosa, molto diversi tra loro ma fondamentali in questo percorso per il bagaglio di conoscenze e per l’energia che mettono in tutto ciò che fanno. Li amo!  Ogni stagione quando inizio un percorso nuovo ho la possibilità di arricchirmi attraverso i ragazzi che portano le proprie esperienze e questa per me è una grandissima fortuna”.

 

 

 

GIANNI MANCINI

 

Dopo essersi diplomato al Liceo Coreutico “Germana Erba” decide di proseguire il percorso come Danzatore specializzandosi in danza Jazz presso l’Off Jazz di Nice. Incuriosito e affascinato dalle tecniche di base della Danza Moderna frequenta l’Horton Pedagogy presso l’Alvin Ailey di New York, un workshop per insegnanti di Tecnica Horton. Laureato in Scienze Motorie e Sportive attualmente è docente di Tecnica della Danza Moderna e Tecnica della Danza Classica presso il liceo Coreutico e Teatrale “Germana Erba” di Torino dove con grande passione e dedizione si dedica alla crescita e formazione Professionale di giovani ragazzi che vogliono diventare professionisti del Musical, della Danza e del Teatro.

Sono sicuro che il programma di formazione proposto da IDA sia in grado di fornire tutti quegli elementi indispensabili per costruire una lezione di Modern Jazz. Weekend dopo weekend si diventerà sempre più consapevoli di come analizzare, capire e proporre delle costruzioni pedagogiche che accompagneranno l’allievo a costruire la sua tecnica e ad approcciare il mondo della Danza con semplicità e passione. In questo programma mi occuperò di analizzare il vocabolario di base della Danza Modern Jazz e di creare un percorso progressivo per l’acquisizione delle rotazioni, salti, cadute e lavoro al suolo tipici di questa tecnica”.

 

SILVIA ARDIGO'

 

Si diploma presso la prima edizione della Dance Professional School IDA, continua la propria formazione artistica come danzatrice presso le migliori scuole italiane, proseguendo poi a Parigi e New York. Con FIF ha intrapreso il percorso formativo di fitness e attività motorie per bambini presso il CONI concludendo i suoi studi accademici laureandosi in Scienze Motorie. Coreografa per concorsi e rassegne, insegna Modern e Contemporary, ricercando un approccio educativo soprattutto per i giovanissimi e uno stile eclettico e sperimentale per i più grandi.

Quando da bambina sono entrata nella mia scuola di danza mi sono emozionata e ho capito che sarebbe stato proprio il movimento il mio canale di comunicazione con il mondo. La mia mentore e maestra è stata proprio Roberta Broglia, con cui oltre alle collaborazioni condivido il rispetto e la passione per questo mestiere. IDA è stata per me ciò che si definisce una ‘svolta’, sia a livello professionale che personale. Mi ha dato l’opportunità di confrontarmi con professionisti che stimo e che mi arricchiscono. Credo che un percorso come quello della Scuola per Insegnanti di Modern sia fondamentale per chi vuole intraprendere la strada dell’insegnamento che è in continua evoluzione”.

 

MATTEO ADDINO

 

Ballerino e coreografo, con esperienza in programmi tv, videoclip, spot e spettacoli teatrali di successo. Ha insegnato in diverse stage e scuole fra cui Cinecittà Campus di Maurizio Costanzo, prima di diventare docente IDA.

Il bello di questo lavoro è che è lui a scegliere te e non il contrario! Per me un bravo insegnante deve essere un bravo formatore, la formazione ha a che fare con aspetti che riguardano il bagaglio di ognuno in quanto persona. Io credo che non possa esistere la danza senza considerare chi balla, la danza non è fatta solo di movimento ma soprattutto dalla connessione tra ciò che si è e la capacità di esprimerlo. Ciò è possibile soltanto se il formatore si mette al servizio dell’allievo in un ottica personalizzata, capendo chi si ha davanti nella ricerca di una relazione. Non stiamo parlando di ‘io insegno e tu impari’ ma ‘io e te dialoghiamo trasferendo movimento, sapere e consapevolezza’. Questo vale a tutti i livelli, anche e soprattutto nei corsi di formazione dove l’allievo è una persona adulta che ha l’obiettivo di intraprendere questa professione”.

 

 

 

© Expression Dance Magazine - Giugno 2019

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Progetto Didattico di danza Classica per le scuole

Mercoledì, 17 Luglio 2019 11:04 Scritto da

 

 

Annotazioni per un uso consapevole delTeacher Workbook

 

Il workbook del percorso formativo di Danza Classica IDA è un programma per gli esami finali di livello, ma soprattutto una guida per il docente nell’elaborazione della sua progettazione e pratica didattica. È utile precisare che la progettazione didattica si deve fare all’inizio di ogni anno formativo, ogni singolo docente è chiamato a scegliere i nuclei fondanti che dovrà insegnare e con quale progressione e percorso.

I programmi costituiscono una traccia generale di ciò che si consiglia di fare studiare agli allievi, a seconda della fascia di età. Spesso nella scuola amatoriale le classi si presentano molto eterogenee per età, anni di studio e doti personali. Il consiglio è di osservare i propri allievi singolarmente e la “classe” nel suo insieme come gruppo e dopo qualche settimana definire gli obiettivi didattici per il corso.

I Tre punti essenziali per preparare l’insegnamento sono: 

Valutazione

Pianificazione

Prassi

È molto importante sottolineare che ogni insegnante dovrebbe passare dalla logica programmatoria a quella più riflessiva volta a sviluppare più qualità nell’apprendimento dei contenuti (conoscenze, competenze e abilità) rispetto alla quantità: si deve rinunciare a una pianificazione didattica che mette in evidenza solo un elenco di movimenti e passi eseguiti senza la consapevolezza degli stessi che inevitabilmente, porta ad una carenza nello sviluppo motorio adeguato; ciò che va sollecitato in noi insegnati, è un’attenta prassi, nella selezione dei contenuti che si dovranno insegnare ai propri allievi, avendo cura di raccordare i diversi elementi che interagiscono nella prassi didattica: i soggetti in apprendimento, il contesto culturale, l’azione del docente (il metodo). Sarà perciò essenziale individuare gli obiettivi attraverso una pianificazione o programmazione formata da elementi irrinunciabili:

Conoscenza della realtà definizione degli obiettivi 

Scelta degli strumenti i contenuti

Prassi metodologica ciò che si insegna e il come insegno

Scelta dell’oggetto e delle procedure della verifica

Fulcro dell’insegnamento è il METODO, cioè il modo in cui il Maestro dà la lezione. Sicuramente ciascun docente ha un suo metodo derivato dal proprio bagaglio formativo e dalla propria personalità; tuttavia esistono fasi ben precise che portano all’interiorizzazione, che passano attraverso la conoscenza di base di un concetto, la comprensione, la memorizzazione e l’elaborazione. Esattamente come accade se ci si appresta a studiare un brano letterario, o una partitura musicale. Ne deriva che il docente dovrà “pretendere”, dopo aver individuato obiettivi didattici alla portata degli allievi, una corretta esecuzione di un movimento/esercizio e la memorizzazione, così da poterlo elaborare e riprodurre nel miglior modo possibile. Più semplicemente fare di meno, ma farlo bene, è sicuramente meglio che svolgere per intero i programmi proposti nel workbook ma con gravi carenze tecniche.

Partendo dal presupposto che si insegna ciò che si è, prima ancora di ciò che si fa, è fondamentale il modo in cui il docente si muove, si presenta, mostra ogni singolo gesto, dà la lezione con passione e partecipazione, evitando il sarcasmo ed utilizzando l’espressività della voce. Gli allievi devono capire fin da subito che si inizia a danzare già dal momento in cui si entra in sala, non solo al momento della coreografia.

Massima cura dovrà essere dedicata alla scelta delle musiche. Il Maestro di danza dovrebbe avere conoscenze musicali di base. Laddove queste manchino il consiglio è di scegliere musiche che abbiano una bella melodia ma accompagnamento musicale scarno, poco ricco, in modo da essere il più chiari possibile nella costruzione degli esercizi.

La musica utilizzata dovrà esprimere il carattere del movimento/esercizio che si sta studiando; essa dovrà cioè dare sia a livello di ritmo sia a livello di melodia la giusta dinamica all’esercizio. Si pensi ad esempio all’importanza del “legato” in un esercizio di Plié, e all’importanza di utilizzare un brano in tempo binario in cui sia chiaro il battere e il levare per un esercizio di Battement tendu o per i piccoli salti (soprattutto nei primi corsi). 

Inoltre ogni volta che vi sia una particolare difficoltà tecnica, il primo aiuto viene proprio dalla musica: si possono utilizzare tempi più lenti così da semplificare la comprensione del passo proposto ed apprenderlo nel modo più pulito possibile. 

Nello studio degli equilibri si consiglia di dare conteggi ben precisi, ad esempio 6 tempi di equilibrio e 2 di chiusura oppure 8 tempi di equilibrio e poi si chiude la posizione. Nulla va lasciato al caso , la proposta deve essere precisa anche per quanto riguarda posizioni di testa e braccia.

Il “ plié”, il “battement tendu” e il “battement jeté” costituiscono le fondamenta della tecnica e la loro impostazione deve essere curata con la massima attenzione. Nei corsi pre- accademici e nei primi livelli si utilizzeranno tempi musicali adeguatamente lenti/molto moderati così da poter curare al massimo postura, en dehors, corretto appoggio plantare, trasferimento di peso eccetera. La musica costituisce un valido sostegno anche per curare al massimo l’espressività di ogni movimento.

Particolare attenzione si dovrà dedicare all’utilizzo della musica nel salto, in particolare nel pre-accademico e nel Level 1. Nel salto si raccoglie tutta l’energia da terra per creare una posizione o una posa in aria per poi atterrare col massimo controllo. Questo obiettivo deve essere ben chiaro ad ogni maestro.

Salti a trampolino: si intendono i salti eseguiti come su un tappeto elastico, di seguito e senza pause. Si consiglia di utilizzare un tempo BINARIO (2/4 o 4/4) nel seguente modo:

-Primo ottavo (u-) si atterra,  secondo ottavo (-no) si salta , primo ottavo (du-) si atterra, secondo ottavo (-e) si salta e via di seguito. In altre parole si salta sul levare.

Temps sauté: solitamente per i temps sauté nelle compilation in commercio il tempo utilizzato è 2/4 . Se si sta impostando il salto nei primi corsi è fondamentale introdurre PAUSE nel movimento,  quindi eseguire un plié, un salto (sul “levare” dei tempi, ovvero sulla seconda sillaba del conto), un pliè, pausa stendendo le ginocchia. Dopo una serie di ripetizioni si costruiranno esercizi in cui i salti eseguiti di seguito saranno sempre di più. Si raccomanda di essere molto precisi nello stabilire i tempi richiesti per il cambio della posizione (esempio dalla prima alla seconda). 

Nei primi corsi il tempo dovrà essere “moderato”, per sviluppare la capacità di elevarsi dal suolo ma anche di tornare in equilibrio al suolo con un corretto demi plié.

Ulteriore esempio di come l’appropriato uso della divisione musicale aiuti la tecnica,  nei primi corsi soprattutto, si ha nella sissonne fermée e nella sissonne ouverte; poichè nel primo caso il movimento termina in posizione chiusa, si richiede per la sua dinamica un accento forte nella chiusura del movimento (prima sillaba del conto). Si otterrà così una chiusura più veloce e brillante della seconda gamba. Nella sissonne ouvert l’appropriato uso dei tempi musicali evidenzierà la posizione aperta. 

 

 


 

Il Progetto didattico per le scuole di danza associate IDA prevede tre percorsi: 

CLASSICO

MODERN JAZZ CONTEMPORANEO

HIP HOP

Gli esami di livello si tengono direttamente nelle sedi della scuole e permettono il rilascio di un attestato per gli allievi. 

Maggiori informazioni a questo link >

 


 

 

Bibliografia:

- "Pedagogia e scienze dell’educazione"  Aldo Visalberghi - ed. Oscar Saggi Mondadori

-"Teaching Beginning Ballet Technique" Gayle Kassing/Danielle M. Jay - ed.  Human Kinetics

- "Corso di danza classica"  A. M. Prina - ed. Gremese

 

 

 

© Expression Dance Magazine - Giugno 2019

 

 


Note sugli autori

 

Massimiliano Scardacchi Insegnante diplomato all’Accademia Nazionale di Danza di Roma e alla Scuola del Teatro alla Scala di Milano.

Rosita di Firma Insegnante di danza classico-accademica diplomata presso l’Accademia del Teatro alla Scala. Diplomata IDA alla Dance Professional School.

 

 

 

 

 

Asia Urban Dance (Racconti di un "fenomeno" dal nostro viaggio a Est)

Mercoledì, 17 Luglio 2019 10:59 Scritto da

 

La cultura Hip Hop espressa attraverso la musica e la danza è comunemente associata alle lotte di classe dei giovani afro e latino americani della New York di 40 anni fa. Un collegamento giustificato in quanto il movimento nasce e si radicalizza proprio in questo contesto, alimentato dalla necessità di denunciare e manifestare contro una condizione di emarginazione e, pertanto, di frustrazione sociale; ad oggi tuttavia tale corrente è diventata un vero e proprio mainstream, con gli americani asiatici che trovano in essa un posto di assoluto rilievo.

Qualcuno potrà obiettare che lo stile proposto dai ballerini di origini asiatiche non può definirsi correttamente Hip Hop, poiché questo è effettivamente da ricondursi alle sole comunità black e latine. Per questo motivo da ora in avanti parleremo di Urban Dance, ovvero di un genere (o meglio uno stile di vita) frutto della commistione di più espressioni di danza che si basa sull’interpretazione individuale della musica da parte del coreografo.

Nell’articolo che segue cercheremo di fare una panoramica generale del “fenomeno asiatico”, che per quanto esaustiva non pretende di essere completa, data proprio la sua vastità.    

La Danza Urbana, in quanto tale, riconosce tra gli altri il profilo transnazionale della comunità e come stile viene eseguito e sviluppato anche nei paesi asiatici. Un aspetto evidente soprattutto nelle tante collaborazioni tra crew di ballerini e scuole di ballo tra States e Asia, come nel caso del Soul Dance Center in Corea del Sud e i ballerini asiatici americani residenti a Los Angeles, o della filiale cinese dello studio di danza Kinjaz Dojo di Los Angeles di proprietà dei Kinjaz. 

Fondata nel 2010 dai ballerini americani di origini asiatiche Mike Song e Anthony Lee, i Kinjaz sono attualmente una crew di 36 membri tra quelle di maggior spicco sulla scena dell’Urban Dance. Un successo mondiale, ottenuto nel 2014 con l’arrivo nel gruppo dello storico leader dei Jabbawockeez, Ben Chung. 

Nello stesso anno il gruppo ha intrapreso la collaborazione con Sinostage, un marchio di danza urbana di grande tendenza e tra i più influenti di tutta la Cina, da sempre impegnato nella promozione di questo stile di vita. Il brand Sinostage è una sorta di marchio ombrello con al suo interno diverse unità di business; tra queste c’è la formazione con i quattro studi di danza aperti tra Cina e Stati Uniti, l’app di contenuti video KOLO, la linea di abbigliamento e merchandising e l’ARENA, marchio premium di Sinostage dedicato all’organizzazione di eventi live come l’Arena International Dance Competition. La mission di ARENA è creare una piattaforma che, attraverso la danza, colleghi le diverse culture di tutto il mondo.

Un altro aspetto importante, che rende bene l’idea della portata del “fenomeno asiatico” sulla scena internazionale dello Street Style, è dato dai Festival organizzati ogni anno. Tra questi il Summer Jam Dance Camp di Singapore, la più grande convention di danza urbana dell’Asia e del Pacifico, che dal 2005 riunisce ogni edizione oltre 13.000 ballerini da tutto il mondo per workshop tenuti da coreografi di primo piano. La manifestazione fa parte del circuito Jam Republic & Recognize Studios, una rete che si diffonde in Asia, Nord America, Oceania ed Europa per la promozione di questo tipo di eventi. Quest’anno, inoltre, il Summer Jam Dance Camp per la prima volta si è tenuto in concomitanza con il  weekend * SCAPE Radikal Forze Jam 2019, uno dei più grandi raduni di ballerini B-Boys e B-Girl di tutti gli stili del pianeta, che si tiene sempre a Singapore.

E anche quando l’evento non è geograficamente in Asia, l’Urban Style asiatico trova il modo di essere ugualmente protagonista.  È il caso della crew di breakdance giapponese Wasabeats, vincitrice lo scorso agosto del titolo di “Best Performance” per la categoria Asia Arts Award al Fringe Festival di Edimburgo. 

Un secondo esempio, ancora più significativo, è rappresentato dai Just Jerk, una crew di 13 Urban dancer originari della Corea del Sud nota per la sincronizzazione perfetta dei diversi membri (maschi e femmine). Divenuti famosi a livello globale con il video del 2016 Body Rock, che conta ad oggi 12,8 milioni di visualizzazioni su YouTube, i Just Jerk hanno raggiunto la grande popolarità negli States per aver partecipato nel 2017 alla 12° stagione di American’s Got Talent (dove sono arrivati fino ai quarti di finale). Il gruppo ha poi ottenuto la massima soddisfazione personale prendendo parte alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi Invernali di Pyeong Chang nel febbraio 2018. La crew si è formata nel 2011 a Seul, dove dallo scorso anno è stata aperta la prima Just Jerk Dance Academy. Dal 21 luglio al 15 agosto 2019 la Just Jerk Crew sarà presente all’Urban Dance Camp di Lörrach (Germania), la Summer School più famosa al mondo per tutti gli stili Urban, i cui rappresentanti sono stati diverse volte presenti in qualità di giudici all’Expression International Dance Competition di Firenze organizzato da IDA International Dance Association.

Tornando a parlare della scena asiatica non si può non citare il Giappone, tra i Paesi in cui lo Street Style sembra aver maggiormente preso piede: ovunque si vada, agli angoli delle strade o all’interno di centri commerciali, è possibile trovare hip-hopper che ballano e danno vita a contest improvvisati davanti a folle incantate. Non si tratta più di una semplice moda ma di un vero movimento che è entrato nel folklore locale, tanto da dedicargli interi programmi TV e riviste. Negli oltre 40 anni trascorsi da quando la Street Dance è stata introdotta nel Paese, il numero dei ballerini e degli studi di danza è salito alle stelle; oggi la Danza Urbana è persino prevista all’interno dei curricula scolastici come “danza ritmica contemporanea” ed è praticata nella quotidianità da molti giovani. Dall’inizio degli anni 2000, le coreografie e produzioni teatrali basate su passi di Street Dance hanno attirato sempre più l’attenzione e stanno diventando a pieno titolo un elemento fondamentale delle arti coreutiche nipponiche. Inoltre, dopo il successo del Giappone ai Giochi olimpici giovanili del 2018 a Buenos Aires (Argentina), dove per la prima volta sono stati vinte medaglie in contest di Break Dance (l’oro è andato a Ramu “Bgirl Ram” Kawai mentre il bronzo a Shigeyuki “Shigekix” Nakarai ), la scena sembra destinata a esplodere. Per rendersi conto del fermento che ruota intorno all’Urban Dance nel Paese del Sol Levante basta dare un’occhiata a siti come DanceDeets, dove vengono promosse decine di eventi ogni mese dedicati all’Urban Dance; senza considerare che la maggior parte degli appuntamenti sono pubblicizzati solo su forum privati o tramite volantini distribuiti a una stretta cerchia di conoscenze. 

Sicuramente un Festival che rende bene la portata di tale fenomeno nella terra dei manga, così come nell’intero Continente asiatico, è il Dance Dance Asia, una convention annuale organizzata dalla Japan Foundation Asia Center volta a incoraggiare l’interazione e la collaborazione creativa tra gruppi di danza e danzatori in Asia, con particolare attenzione all’Urban Dance.

Tra i tanti nomi della scena Urban nipponica c’è senza alcun dubbio il modello e il ballerino Sam, titolare di una serie di studi di danza, Soul and Motion, tra Tokyo, Osaka e Yao, aperti con l’intenzione di “fare della prossima generazione di ballerini dei veri e propri professionisti dell’Urban Dance”. 

Concludiamo parlando delle Filippine, altro Paese in cui la Street Dance ha attecchito particolarmente, sviluppandosi in maniera talvolta indipendente e dando vita a movimenti locali caratteristici dello strato subculturale delle periferie “Pinoy”. 

Nel 2017 Ricky Carranza, tra i pionieri dell’Hip Hop filippino, oggi cinquantatreenne, ha ricostruito l’intera storia dell’Urban Dance del Paese attraverso i racconti dei ballerini che ne hanno fatto parte dai suoi albori, agli inizi degli anni ottanta, raccolti nel documentario “Beyond the block”.  Un secondo importante nome da ricordare, per chi volesse approfondire la cultura Hip Hop filippina, è sicuramente Arnel Calvario, fondatore del Gruppo Kaba Modern e, ad oggi, tra i membri dei sopracitati Kinjaz e tra i principali promotori del fenomeno Hip Hop Pinoy.  “La danza può essere un veicolo potente e significativo per la crescita personale, intrapresa sia attraverso un percorso individuale sia in comunione con gli altri; è un’espressione creativa, un toccasana per la salute fisica e persino per la guarigione”, ha recentemente dichiarato l’urban dancer. 

Il nostro viaggio nel vastissimo mondo dell’Asia Urban Dance finisce qui. Per chi volesse approfondire ulteriormente il tema il consiglio è di tenere monitorati i festival, soprattutto quelli che si svolgono in Asia, che abbiamo citato nell’articolo, oppure, uno su tutti, l’Hip Hop International, il più grande contest al mondo di Urban Dance che si svolge in oltre 50 paesi. Interessante, inoltre, per chi volesse avere una panoramica completa e attuale sui diversi trend e avanguardie della scena internazionale, compreso lo scenario asiatico, l’Hip Hop Film Festival di New York, che ogni anno ospita decine di pellicole da tutto il mondo. Al contrario il web non sempre è utile in questi casi; lo sono invece social quali Instagram, dove è possibile scovare le nuove crew attraverso i giusti hashtag, o piattaforme come YouTube.

 

 

© Expression Dance Magazine - Giugno 2019

 

 

 

 

 

 

 

 

We want miles in a silent way

Mercoledì, 17 Luglio 2019 10:56 Scritto da

Il gruppo nanou rende omaggio al grande jazzista Miles Davis e riscrive il proprio linguaggio coreografico 

Il gruppo nanou nasce a Ravenna nel 2004 dal desiderio dei tre fondatori Marco Valerio Amico, Rhuena Bracci e Roberto Rettura di creare un vero e proprio luogo di incontro dei diversi linguaggi, dove far confluire corpi, suoni e immagini traducendoli in un’unica opera organica, la coreografia.

A 15 anni dalla nascita, nanou si affida al grande compositore e trombettista statunitense jazz, Miles Davis, per reinventare e riscrivere il proprio linguaggio coreografico. Il lavoro di Miles sul tempo e sul ritmo, oltre al suo personale studio di nuove sonorità o ai suoi ripetuti riferimenti al “colore”, sono elementi che lo hanno contraddistinto e che ne hanno reso materico il suono. Prendendo ispirazione dal grande jazzista, il gruppo nanou ha intrapreso un percorso di crescita procedendo “in maniera silenziosa”, rimuovendo il suono della tromba per concentrandosi sui processi di alterazione delle percezioni che hanno caratterizzato la ricerca di Miles. Da  questo processo ha preso forma lo spettacolo “We want Miles, in a silent way”. A cinquant’anni di distanza dall’uscita di “In a Silent Way” e di “Bitches Brew”, tra i capolavori del musicista, il gruppo nanou rende omaggio a Miles con un progetto unico, in cui colore di luce, spazio, tempo e timbri dei corpi si mostrano in continuo divenire, alterazione, perdita e ricostruzione di assetti, entro un paradigma di instabilità permanente.

Dopo il successo ottenuto nella Grande Mela, dove lo spettacolo ha debuttato dal 26 al 28 aprile 2019 all’interno della rassegna La MaMa Moves, “We want Miles, in a silent way” arriva finalmente in Italia in versione speciale; il palcoscenico sarà quello della prestigiosa manifestazione annuale Ravenna Festival. 

Abbiamo intervistato Marco Valerio Amico, co-founder della Compagnia romagnola per capire meglio i retroscena di questo progetto e cosa riserva il futuro per il gruppo nanou.

Marco, da cosa nasce l’idea di rendere omaggio a Miles Davis?

“Miles è arrivato un paio di anni fa come stimolo e riferimento per la nostra ricerca coreografica. La sua capacità compositiva, il rapporto con lo spazio e la relazione fra gli strumenti, il suo continuare a cercare di far progredire la musica ‘cambiandone i colori’ hanno iniziato ad essere per noi luoghi di analisi e di ricerca per attivare meccanismi coreografici.  Miles Davis ha spesso lavorato con musicisti dalla chiara identità (Keith Jarret, Chick Corea, Jack DeJohnette e altri). Questo ci ha permesso di comprendere come le peculiarità di ciascun danzatore (Carolina Amoretti, Rhuena Bracci, Marco Maretti, Chiara Montalbani) potessero essere esaltate per dare corpo a questo progetto.  L’incontro con Daniele Torcellini, docente di cromatologia e curatore nelle arti visive, ci ha permesso di conoscere il colore e le sue capacità perturbanti, nel senso letterale e non solo metaforico. Dopo due anni di lavoro con Davis come ombra, abbiamo deciso di ‘affrontarlo di petto’, di rendergli omaggio”.

Come descrivereste il progetto “We want Miles, in a silent way”? Perché rimuovere il suono della tromba dalle musiche che accompagnano lo spettacolo?

“We want Miles, in a silent way” è una traduzione coreografica del suo lavoro, delle sue ‘regole’ e dei suoi azzardi. Per questo abbiamo dovuto rimuovere la tromba, cioè la sua musica. Non era sul piano musicale che desideravamo confrontarci ma sul piano metodologico e generativo, sul piano creativo. È sicuramente un lavoro concettuale che desidera vibrare epidermicamente. Miles non ha mai perso di vista la necessità di scuotere il corpo di chi ascolta, noi non abbiamo perso di vista la capacità vibratoria che l’azione coreografica può innescare, così come l’immagine. È un azzardo dunque. Un meraviglioso salto nel vuoto che per primi noi rischiamo”. 

Come è stato accolto lo spettacolo a New York? Era la prima volta che vi esibivate al Mama Theater? Quali sono le emozioni che vi siete riportati in Italia? 

“La nostra prima volta oltre oceano, la nostra prima volta a NYC, la nostra prima volta a La MaMa Theater: un’emozione grandissima. Terrore misto a gioia perché, in primis, sentivamo il peso della fiducia: hanno accettato di prendere un lavoro a scatola chiusa, un debutto, hanno creduto nella nostra autorialità dopo averci seguito per due anni a Spoleto. Su di noi hanno scommesso mettendoci ad apertura del Festival. Paura nel non conoscere le aspettative di un pubblico nuovo, protetti però da uno dei pochi luoghi che ancora difende la ricerca ed è ancora simbolo della ricerca nel mondo. Il risultato è stato rigenerante: un pubblico attento, partecipe, entusiasta. Siamo tornati ancora più forti e con il lavoro più chiaro e sicuro”. 

Il 26 giugno è previsto il vostro debutto italiano sul Palco del Ravenna Festival. Quali sono le aspettative? Avete in programma altre date?

“Il 26 giugno sarà la ‘prova del fuoco’. Far parte di un così importante Festival, ricevere anche la loro di fiducia perché primi produttori di questo azzardo, è ulteriormente uno slancio in avanti. È per questo che stiamo preparando una versione “speciale” del progetto con Bruno Dorella alla percussioni dal vivo che dialogherà con Roberto Rettura ai suoni. Ci approcciamo a questa data come a un evento e desideriamo restituire tutto l’entusiasmo che ci stiamo portando dietro per poter riempire il Teatro Alighieri”.

Infine, quali sono i progetti futuri del gruppo nanou?

“Se devo dire la verità sono davvero parecchi. Siamo fortunatamente in un momento molto fertile. Certamente il prossimo passaggio importante sarà tornare in sala io, Rhuena e Roberto, il nucleo originale, per affondare la lama sul nostro linguaggio che abbiamo da poco rivoluzionato. A quasi 10 anni da Sport, l’ormai storico solo di Rhuena che tutt’ora è in tour e a 15 anni dalla nostra fondazione, desideriamo un tempo e uno spazio per riscoprirci”.


Marco Valerio Amico è tra gli insegnanti di Danzautore Contemporaneo Percorso di alta formazione sui nuovi linguaggi coreografici (gennaio 2019-gennaio 2020), finanziato dalla Regione Emilia-Romagna e realizzato grazie alla collaborazione tra IDA International Dance Association, Associazione Culturale Cantieri Danza, Iscom E.R e Compagnia Nervitesi progetti di teatro e danza.

“A mio parere – aveva dichiarato Amico durante la sua docenza al corso -, Danzautore è un progetto davvero innovativo, che sottende una scommessa molto interessante, ovvero l’idea implicita di comprendere cosa un autore possa trasmettere ad altri autori, che tipo di esperienze possa raccontare e quali strumenti offrire”


 

 

SCHEDA PROGETTO 

“WE WANT MILES, IN A SILENT WAY” 

Progetto: Marco Valerio Amico, Rhuena Bracci, Marco Maretti

Coreografie: Marco Valerio Amico, Rhuena Bracci

Dispositivo scenico e colori: Marco Valerio Amico, Daniele Torcellini

Luci: Fabio Sajiz, Marco Valerio Amico

Suono: Roberto Rettura

Percussioni: Bruno Dorella

Con: Carolina Amoretti, Rhuena Bracci, Marco Maretti, Chiara Montalbani

Produzione: Nanou Ass. Cult., Ravenna Festival

Con il sostegno di: La MaMa Umbria International, Città di Ebla/Ipercorpo, E Production, Ravenna Ballet Studio

Con il contributo di: MIBAC, Regione Emilia-Romagna, Comune di Ravenna

  

 

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Gianin Loringett, il ritmo e la danza jazz

Mercoledì, 17 Luglio 2019 10:31 Scritto da

 

Nasce in Svizzera, dopo una formazione alle Belle Arti si appassiona alla danza e parte per Londra per una formazione professionale con il maestro Matt Mattox, diventando, a fine studio, il suo assistente. Fa il suo debutto professionale nella compagnia del coreografo, la Jazzart Dance Company, sempre continuando la sua formazione in danza classica, moderna, afro cubana e jazz. Si esibisce nei più svariati spettacoli d’Europa tra cui la tournée europea di West Side Story. Arrivato in Francia, la televisione, il cabaret e il cinema gli aprono le porte. Queste esperienze professionali multiple lo portano a sviluppare un bisogno di creazione che concretizza coreografando per numerose commedie musicali. 

Nel 1981 crea la sua propria compagnia, la Off Jazz Dance Company a Parigi. Crea un centro di formazione professionale nel 1984 con lo scopo di sviluppare dei ballerini rappresentativi della danza jazz, avendo una grande capacità di adattamento, una grande coesione tra loro, una bellezza e una potenza del gesto, qualità che il coreografo ricerca nei suoi interpreti. Grandissimo pedagogo di fama internazionale, ha formato e influenzato diverse generazioni di danzatori le cui caratteristiche dominanti sono: un ottimo sviluppo tecnico, una polivalenza dell’artista interprete, una cultura e un interesse verso le altre arti. 

Ho conosciuto personalmente il maestro Loringett nel 2006 al centro di formazione professionale “Off Jazz” di Nizza dove mi sono formato e ho avuto modo di danzare all’interno della sua compagnia. Con lui ho capito l’importanza del ritmo nella danza jazz e come si gestisce pedagogicamente la trasmissione di questa specificità all’interno di un corso di danza. A questo proposito ho desiderato che Gianin contribuisse a questo articolo chiedendogli di rilasciarmi un’intervista:

Maestro Loringett, cosa ne pensa della gestione del ritmo durante una lezione di danza jazz?

“In un corso di danza, gestire bene il ritmo è un fattore determinante per un insegnamento efficace.

Perché? Se si fa riferimento all’insegnamento sui bambini, dove il loro apprendimento avviene tramite i contrasti e le opposizioni, si capisce che un insegnamento lineare e ritmicamente monotono non svilupperà un danzatore dinamico.

La gestione del ritmo durante un corso lavora su più aspetti:

- La ritmica degli esercizi nella loro successione e nel tempo che intercorre tra essi: alternanza tra esercizi di lunga e breve durata, tonici o legati, utilizzo degli accenti, contrattempi, sincope, accelerazioni, sospensioni.

- La ritmica verbale nel modo di comunicare del docente: la sua comunicazione è monotona? O, al contrario, colorata? Viene sviluppata verbalmente durante il corso? Viene percepita dagli allievi?

- La ritmica del corso: la successione degli esercizi, le pause, i tempi di spiegazione, le correzioni”.

Qual è lo scopo del solfeggio corporeo?

“Per creare lo sviluppo di puro ritmo nei corsi di danza, il solfeggio corporeo è uno strumento pedagogico ideale.

Per esempio: effettuare delle sequenze ritmiche battendo i piedi, o con le mani su tutte le parti del corpo. Affinchè il solfeggio corporeo venga veramente percepito dagli allievi, si possono suggerire molteplici approcci:

- Il ritmo battuto: battiti ritmici sul corpo

- Il ritmo cantato: l’allievo deve poter cantare con versi onomatopeici una sequenza richiesta e rapportata al movimento danzato. Sovente si constata che se non si ha la padronanza vocale, la sequenza non potrà essere tradotta correttamente con il corpo.

- Il ritmo pensato: gestione dei tempi in silenzio (gli intervalli), la visualizzazione e percezione mentale. È possibile consultare degli esempi di video di solfeggio corporeo sul sito di Off Jazz [ndr. www.offjazz.com]”.

È utile l’utilizzo di uno strumento a percussione per l’accompagnamento della lezione?

“Per accentuare la diversità ritmica in un corso, consiglio vivamente l’utilizzo di uno strumento a percussione tipo tamburino (Wigman drum) per l’accompagnamento degli esercizi della sbarra. Molti professori utilizzano della musica pre-registrata (CD, MP3…), ma i problemi sono i seguenti:

· Ogni musica ha la sua dinamica e il suo “feeling”, la sua anima (le musiche utilizzate spesso hanno un ritmo binario, una base regolare, anche se sono cantate…) che non vanno necessariamente ad arricchire l’esercizio, o sviluppare l’orecchio musicale e ritmico dell’allievo.

· L’allievo si abitua alla musica del corso che conosce, quindi non può percepire le sfumature. Egli ha spesso la tendenza a lasciarsi trasportare dalla frase musicale, piuttosto che concentrarsi sullo specifico lavoro del corpo.

Il tamburino come strumento a percussione per l’accompagnamento della lezione è, a mio avviso, ideale. Permette di sostenere la struttura dell’esercizio in tutte le sue sfumature mettendo in evidenza gli accenti, i contrasti, le opposizioni, donando una visione d’insieme. Il maestro si può spostare, interrompere facilmente per dare correzioni, cambiare la dinamica o la velocità dell’esercizio, stimolare la percezione uditiva e la reattività. Nel corso della sua educazione artistica, l’allievo assorbirà poco a poco questi elementi (accenti, contrattempi, sincope, silenzi, etc.) e diverrà sempre più sensibile”.

Cos’è la musicalità?

“Innanzitutto bisogna imparare ad ascoltare la musica. Ascoltare il ritmo, la melodia, l’anima, ciò che sprigiona e ciò che ci dice. Spesso quando chiedo ai miei allievi quale immagine o rappresentazione gli sovviene ascoltando la musica, le risposte sono alquanto evasive; non hanno infatti una visualizzazione della musica, la percepiscono come fondo musicale). Bisogna svegliarli, prepararli a sentire, ascoltare, discernere e ad affinarsi. Per me la musica è fonte di grande ispirazione: ne traggo immagini, situazioni, profumi, colori. Una musica che mi sensibilizza, mi ispira uno scenario, mi guida verso una scrittura coreografica specifica. Questa è una visione personale che passa attraverso i sensi; tuttavia fatico a trovare una scrittura coreografica che parte solamente dal movimento. Se così fosse, dovrebbe trovare una giustificazione e avere un’intenzione reale, concreta, profonda, per non cadere nel vuoto… nell’assenza di comunicazione… nella superficialità. A volte la musica viene percepita nella sua globalità, come uno sfondo, una colonna sonora, un ‘ambient’. Anche nella danza detta ‘commerciale’ non sono movimenti a sé, bisogna dargli un significato, la danza deve catturare lo sguardo e il cuore. Nel mondo del cabaret, per esempio, c’è l’intento, l’erotismo, la seduzione; in uno show commerciale c’è l’impatto, la dinamica… In tutti i casi c’è sempre una ragione che giustifica l’identità del movimento. L’attuale generazione di allievi si confronta con una musica elettronica, binaria, costruita numericamente con le basi ritmiche già fatte (“loops”), dei testi dal contenuto banale, costruiti più su un insieme di rime che su un testo elaborato e pertinente (Domandate ai vostri allievi il significato del testo della loro canzone preferita!)”.

Concludendo?

In conclusione, nell’approccio sia del ritmo sia della musica in un corso, è compito del maestro sensibilizzare gli allievi all’ascolto e alla cultura musicale, così come alla comprensione e alla traduzione nel movimento (Un maestro è in primis un educatore). Non si producono suoni con delle note, si suona la musica. Non si fanno dei passi, si danza. Viva la musica, viva la danza, i due sono indivisibili nell’arte coreografica!

 

 

 

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Note sull'autore

Gianni Mancini è Docente di Tecnica della Danza Moderna e Classica presso il Liceo Coreutico e Teatrale “G. Erba" di Torino. Docente Formatore IDA

 

 

 

 

 

 

Anna Maria Prina, la signora della danza italiana

Martedì, 16 Luglio 2019 17:25 Scritto da

 

Una carriera decennale e di grande successo. Una Scuola di Ballo, quella del Teatro alla Scala di Milano, di cui è stata Direttrice: un sodalizio durato ben 32 anni, durante i quali sono nati e cresciuti numerosi danzatori e danzatrici, che lavorano oggi in Italia e all’estero.

Signora Prina, il Suo nome è naturalmente associato alla figura della Direttrice, ma nella Sua carriera Lei è stata naturalmente anche allieva e insegnante, coreografa, autrice di un testo di metodologia della danza classica. Può raccontare un ricordo per ciascun ruolo?

La danza è il mio grande amore, maturato nel tempo, perché da bambina non avevo ben chiaro cosa fosse il mondo della danza. Da allieva ho amato profondamente la lezione di danza, la sbarra, che è la compagna di vita per tantissimi anni di tutti i ballerini, come lo specchio. Già da ballerina ho cominciato a pensare all’insegnamento, ma questo germe interiore, che certamente era in me, si è veramente sviluppato negli anni ’60, durante il corso di perfezionamento insegnanti in Russia. Lì l’insegnamento si concentrava su aspetti tecnici e teorici, mentre in Italia l’allievo imparava osservando il maestro e “imitandone” i passi. Non mi definirei una coreografa in senso stretto, perché ho creato o per la scuola, quindi con un linguaggio accademico, o per le opere liriche, quindi con un’attenzione alle necessità del regista, con cui si lavora gomito a gomito; soprattutto, non mi definirei coreografa, perché non sento l’esigenza di creare, che è, invece, sempre alla base di questo lavoro artistico. Scrivere un libro non è stato facile, a causa degli impegni (l’ho redatto, infatti, per lo più di notte), ma sono contenta di averlo scritto, perché sentivo l’esigenza di mettere su carta quanto sapevo, cercando di farmi comprendere anche a chi di danza non è strettamente competente. 

Ricorda il Suo primo giorno di scuola da Direttrice? 

Più che il primo giorno, ricordo la notte precedente! Al mio rientro a Milano dalla Russia, sono stata scelta per affiancare John Field alla direzione del Corpo di Ballo e, particolarmente, della Scuola: ho lavorato sempre con zelo per ricambiare la fiducia che lui riponeva in me. Una sera di fine estate del 1974 mi ha telefonato l’allora sovrintendente Paolo Grassi, dicendomi di presentarmi il giorno dopo a Scuola per prendere il posto di Field. Ho passato una notte di agitazione! Ero naturalmente contenta dell’incarico, ma avevo solo 30 anni!

Su quali elementi ha improntato la Sua direzione della Scuola di Ballo?

Ho cercato di aprire la Scuola alle novità, sempre nel rispetto della storia di questa Istituzione: ho cercato di costruire un corpo docenti affiatato e coerente; ho dato spazio alla danza maschile, aumentando e stabilizzando gli insegnanti per le classi di ragazzi; ho inserito nuove discipline di studio, sia teoriche (storia del balletto e musica), sia pratiche, come Pilates (che in Francia mi aveva colpito positivamente), danza spagnola (quella autentica e non rivisitata nelle danze di carattere, che erano già nel piano di studi) e soprattutto, la danza contemporanea, con grande scandalo! Volevo che gli allievi conoscessero la danza contemporanea non solo come insieme di passi, ma come fenomeno culturale, studiandone la musica e vedendo gli spettacoli. Infine, ho voluto attivare i corsi per la propedeutica, per insegnanti e pianisti accompagnatori.

A quali progetti si dedica da quando ha lasciato la Direzione della Scuola a ottobre 2006?

Realizzo progetti di insegnamento con la Regione Lombardia, sono giurata in numerosi concorsi, viaggio spesso in Italia e all’estero per consulenze presso scuole di ballo, seminari di formazione e stage: per esempio, in Francia, tengo corsi sul metodo Vaganova, di cui i francesi si sono incuriositi. E continuo a muovermi e a studiare. Non mi annoio!

Quali sono a Suo parere le doti che devono possedere gli allievi e le allieve per diventare dei buoni ballerini classici e dei buoni danzatori contemporanei?

All’inizio del percorso di studi non c’è molta differenza fra bambini e bambine, perché si giudicano il fisico dei candidati, che deve essere snello e, soprattutto, proporzionato, la loro attitudine al movimento, la coordinazione, l’elasticità, la musicalità, la capacità di concentrazione. Elementi fisici come, per esempio, il collo del piede, non sono, tuttavia, un diktat, perché la loro mancanza può essere compensata dall’enorme talento e, soprattutto, questa estetica corporea molto rigida è tipica della danza classica, ma non della danza contemporanea, quindi i danzatori di talento possono comunque esprimere il loro potenziale. Più avanti, nell’uomo ci devono essere grande forza e resistenza e un atteggiamento estetico energico, come lo possedeva, per esempio, Nureyev; nella donna, invece, la forza deve essere nascosta sotto la grazia e la leggiadria. Per tutti sono necessari, inoltre, un atteggiamento mentale di grande forza e determinazione e lo studio, inteso come ampliamento del loro orizzonte culturale, per capire cosa danzano e non solo ballare come mera esecuzione.

D’altro canto, quali pensa siano le doti di un buon insegnante di danza e di un buon Direttore di una scuola, indipendentemente dal fatto che si lavori all’Accademia del Teatro alla Scala di Milano o in una realtà più piccola?

Innanzitutto, il lavoro di insegnante e di direttore devono essere basati su un solido studio e una buona esperienza di palcoscenico. L’insegnamento è una vera e propria scienza, perché si deve esser capaci di scomporre i passi e spiegare ogni singolo movimento, quindi avere piena consapevolezza di cosa si sta insegnando. Non deve mancare una certa cultura, non intesa come titolo di studio, ma come conoscenza della materia e padronanza pedagogica: la decisione, l’intransigenza anche, devono sempre mescolarsi alla pazienza e alla voglia di trasmettere il proprio sapere ai ragazzi, nel modo che meglio si adatta ad ogni singolo allievo. È importante gestire bene la classe e non avere preferenze, o esserne consapevoli per poter comunque prestare la giusta attenzione a tutti gli allievi. Da non trascurare la cura del proprio corpo. Quando, poi, l’insegnante è l’unico esempio di danza per i ragazzi (come accade spesso nelle scuole private) è fondamentale mostrare i passi in maniera chiara e precisa, comprese braccia e mani. Un direttore (che a mio parere dovrebbe avere un passato da insegnante) deve essere anche lui persona di grande cultura, onesta, retta; deve conoscere la psiche umana e pensare sempre e solo agli allievi, nonché prendere delle decisioni e motivarle.

L’insegnamento non è un percorso a senso unico, ma uno scambio reciproco fra docente e discente. Cosa insegna un giovane danzatore al suo insegnante?

Gli allievi obbligano un insegnante a fermarsi a riflettere sul proprio carattere, sulla propria personalità, a capire come agire per andare incontro alle loro esigenze, perché si contribuisce a formare non solo dei danzatori, che è alquanto scontato, ma anche delle persone. E poi gli allievi, soprattutto i più piccoli, hanno molta creatività e voglia di esprimersi, che a mio parere devono essere accolte dagli insegnanti; per esempio, le mie allieve in Scala, spesso, costruivano loro stesse l’esercizio d’adagio che veniva poi presentato agli esami di fine corso.

A grande sorpresa, è ritornata in scena nel 2014 con un assolo intitolato “Madame”, coreografia di Michela Lucenti, al Teatro Due di Parma. Può parlarci dello spettacolo?

Ho conosciuto per caso a teatro Michela Lucenti, una danzatrice e coreografa davvero intensa, che mi ha fortemente voluta per questo assolo. Il suo lavoro su di me era basato su un continuo dialogo fra di noi, che mi ha portato a esprimere aspetti del mio carattere che ho sempre tenuto nascosti. Ne è nato uno spettacolo di 40 minuti, a mio parere estremamente raffinato, in cui si mescolano danza e recitato, che si conclude con il mio ricordo di un’insegnante russa che mi invitava costantemente a lavorare, come poi ho sempre fatto.

Nel 2016 ancora in scena, con uno spettacolo, di cui è stata anche madrina, “TreD – Design, Danza, Disability”, alla Triennale di Milano: con Lei ex-allievi e i ballerini abili e disabili della compagnia Dreamtime. Ci racconta qualcosa in più? Come può combinarsi la disabilità fisica con la danza, che richiede al corpo umano la perfezione di linee e forme?

Lo spettacolo si compone di scene, proiezioni, filmati; vi partecipano Emanuela Montanari, Stefania Ballone, che ne è la coreografa, e Christian Fagetti, con cui ho interpretato un passo a due di teatro danza. Questa esperienza è stata molto significativa per me, perché per la prima volta sono entrata in contatto stretto e prolungato con persone con disabilità. All’inizio è stato spiazzante, ma poi lo scambio è stato coinvolgente: io preparavo delle lezioni di body conditioning, adatte a loro, seguite con entusiasmo e passione, ricercando il massimo risultato nel movimento, la perfezione possiamo anche dire, in base alle loro possibilità: è un modo altro di guardare alla danza e al movimento artistico. E anche alla vita, perché si impara a lamentarsi di meno e ad apprezzare ciò che si ha.

 

 

 

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Virna Toppi, una prima ballerina “come tutte noi”

Martedì, 16 Luglio 2019 17:06 Scritto da

 

Prima Ballerina del Teatro La Scala di Milano da marzo 2018, Virna Toppi è una giovane e stimata professionista con la passione per la fotografia, la cucina e il cucito, che non si scorda mai della bambina brianzola, golosissima di strozzapreti al ragù della nonna, riconoscendo in lei la determinazione e la risolutezza che l’hanno portata a diventare la ballerina che è oggi. 

Virna, ci racconteresti come tutto ha avuto inizio?

“Ho iniziato a studiare danza in una scuola privata di Camnago all’età di sette anni. I miei genitori inizialmente erano reticenti, perché desiderosi di farmi praticare uno sport, mentre la Danza è un’Arte. Io però ho insistito al punto da far loro cambiare idea; sapevo che era la cosa giusta per me e da quando ho intrapreso questa strada non l’ho mai abbandonata. A 10 anni ho superato il provino per l’Accademia del Teatro La Scala e così, dopo otto anni di studio, parallelamente alla maturità linguistica, mi sono diplomata Ballerina Professionista. Dopo un anno di esperienza fantastica in Germania al Semperoper Ballet di Dresda, la mancanza dell’Italia e del Teatro dove sono cresciuta era tale che ho deciso di tornare a Milano. È iniziata così la mia seconda fase scaligera. Passati due anni dal mio rientro, infatti, l’ex direttore Makhar Vaziev mi ha promossa Solista e, dopo altre tre stagioni, l’attuale direttore Frédéric Olivieri mi ha nominata Prima Ballerina, rendendo concreta l’ambizione di una vita”. 

Cosa ricordi di quegli otto anni di studio e formazione in Accademia?

“Ho sempre amato danzare e mi sono sempre impegnata al massimo per imparare e migliorare di giorno in giorno. Durante tutto il mio percorso ogni insegnante ha avuto un ruolo determinante nella mia formazione: tutti a modo loro mi hanno lasciato qualcosa. Credo di aver avuto la grande fortuna di poter lavorare con persone di spessore, dalla comprovata esperienza personale; grandi Maestri in grado di lasciare un segno indelebile nel mio percorso di crescita. Devo ringraziare tutti coloro che ho incrociato, perché è grazie a loro che sono potuta diventare la ballerina che sono oggi”.

Chi sono i tuoi punti di riferimento?

“Negli anni mi sono ispirata a diversi professionisti e icone del mondo della danza; per quanto riguarda la professionalità e la dedizione al lavoro, Roberto Bolle è per me il migliore in assoluto; la mia quotidiana fonte di ispirazione ed esempio. Tra le donne, sicuramente non posso non nominare Marianela Núñez, Polina Semionova e Alessandra Ferri, ballerine fantastiche con cui ho anche avuto la fortuna di poter lavorare. Ognuna di loro dal canto suo ha qualcosa di speciale, dovuto al proprio background. Poter assistere alle performance di professioniste come loro ha un valore inestimabile poiché mi ha dato la possibilità di carpirne i ‘segreti’ facendoli in qualche modo miei. Ci sarebbero tanti aneddoti da raccontare ma la sostanza è che ogni qualvolta un artista viene in Teatro per interpretare un balletto, come per esempio è successo con Marianela Núñez con Manon, cerco di immaginare ciò che sottostà e motiva ogni suo movimento o un gesto per poi farli miei”.

Come è la tua quotidianità?

“In generale la mia vita è molto semplice e routinaria. Ogni mattina arrivo in Teatro verso le 9.00; dopo una lezione di un’ora e un quarto, verso le 11.30 iniziano le prove, che proseguono fino alle 17.30, con una pausa pranzo alle 13.40. La sera non faccio nulla di particolare, cerco di recuperare al massimo le energie per il giorno successivo: faccio un massaggio, cucio le punte, guardo un film o qualcosa di simile. Normalmente non seguo un particolare regime alimentare: allenandomi tantissimo, mi rendo conto durante il giorno di ciò che il mio corpo necessita di mangiare e lo assecondo”. 

Come è cambiata la vita di Virna dal marzo dello scorso anno?

“Ammetto che da quando sono diventata Prima Ballerina sento su di me una maggior responsabilità: so di essere una sorta di punto di riferimento per tutto il corpo di ballo, sia in scena sia in sala durante le prove giornaliere, e per questo cerco costantemente di esserne all’altezza, cercando di migliorarmi di giorno in giorno e alzando sempre più l’asticella, ovvero non sentendomi mai ‘arrivata’. Ad oggi mi reputo davvero fortunata a fare parte di questa Compagnia; più passa il tempo e più lo apprezzo. Quando mi capita di veder ballare il corpo di ballo da spettatrice mi sento davvero soddisfatta e orgogliosa di farne parte. Il mio rapporto con i colleghi è saldo e immutato anche dopo la mia nomina. Da parte loro sento una grande energia e appoggio che mi aiuta tantissimo nell’affrontare gli impegni e le responsabilità del ruolo; è una sensazione bellissima perché non mi sento mai sola né in scena né dietro le quinte… Sono legami che vanno al di fuori del Teatro”. 

Il primo gennaio di quest’anno sei stata ospite di Roberto Bolle allo show tv ‘Balla con me’. Ci parleresti di questa esperienza?

“Ballare in televisione è molto diverso dal farlo in Teatro: per me, quella con Roberto, è stata un’esperienza nuova e interessante, una delle mie prime volte in televisione. Roberto sa mettere tutti a proprio agio, facendo sentire bene le persone in ogni situazione; inoltre il brano per cui sono stata chiamata era di per sé molto divertente, per cui posso dire di essere stata davvero contenta di aver partecipato al programma. Credo che, in generale, quello che sta facendo Roberto, portando la danza ‘fuori dai teatri’, è qualcosa di speciale. Spesso per pigrizia, per mancanza di tempo, o per una sorta di retaggio culturale che assimila la danza a un passatempo elitario, le persone non sono predisposte ad alzarsi dai propri divani e assistere allo spettacolo dal vivo. Quando però è la danza ad entrare direttamente nelle loro case, scoprono un mondo nuovo e interessante, profondamente lontano dai loro pregiudizi”. 

Su Instagram sei una vera social star con oltre 28 mila follower. Sembra che anche tu stia facendo la tua parte per avvicinare il pubblico alla Danza...

“Premetto che adoro la fotografia e quando ho aperto il mio account Instagram l’ho fatto quasi per gioco per pubblicare qualche scatto frutto di questa mia passione. Poi però ho capito che i social, in particolare Instagram, sarebbero potuti essere un buon strumento per far conoscere alle persone la quotidianità delle ballerine, talvolta erroneamente immaginata ‘tutta scarpette e tutù’. Volevo andare oltre a ciò che appare, ovvero volevo semplicemente mostrarmi per ciò che sono: una ragazza come tutte, dalla vita simile a qualsiasi mia coetanea nonostante il lavoro che faccio. Un’idea che sembra essere stata apprezzata dagli utenti del social, che lo stanno dimostrando seguendomi con tanto affetto”.

Che consiglio ti sentiresti di dare a chi ama la danza e vorrebbe intraprendere la tua stessa professione? 

“Il consiglio che mi sento di dare a un/a ragazzo/a a cui piace danzare è di continuare a farlo sempre e comunque, perché non è un fallimento non diventare Primo Ballerino ma, a mio parere, è una sconfitta smettere di fare ciò che si ama. Non è importante danzare nei teatri, se lo si vuole fare si può continuare anche senza raggiungere il ‘successo’, semplicemente facendolo per se stessi e per pura passione”. 

Tornando alla tua carriera, quali sono gli impegni più imminenti per i quali stai lavorando?

“Aprile è stato un mese davvero pieno di impegni per me: dal 7 al 20 sono stata in scena con Wolf Works, eccellente lavoro di Wayne McGregor sulla vita di Virginia Wolf, con le toccanti musiche di Max Richter e l’eccezionale artisticità di Alessandra Ferri e Federico Bonelli, in cui ho interpretato il ruolo della sorella della protagonista, Vanessa Wolf. Uno spettacolo unico, apprezzato veramente da tutti: anche i miei nonni, sicuramente più avvezzi a balletti ‘classici per definizione’, lo hanno amato tantissimo. Il 29 aprile, inoltre, ho calcato il  palco del Teatro Aleksandrinskij di San Pietroburgo in un Gala di étoile al Dance Open Festival. E il prossimo futuro si preannuncia altrettanto ricco di soddisfazioni: al momento sono al lavoro per montare ‘il Corsaro’, in scena a fine maggio al Teatro Lirico di Cagliari, e contemporaneamente sto preparando ‘La Bella Addormentata’, che sarà in scena a Milano dal 26 giugno al 9 luglio prossimi”.    

 

 

Ultima domanda: come ti vedi tra 20/30 anni?

“Non so dire ora dove sarò o cosa farò tra così tanto tempo. Potrei continuare a fare danza, magari in altri ruoli o in altre forme, o essere una cuoca (cucinare è come ho già detto è un’altra mia grande passione) o semplicemente fare la mamma. Per ora vivo molto alla giornata e cerco di prendere il meglio da ciò che viene, impegnandomi al massimo affinché anche il futuro mi sorrida sempre”.

 

 

 

 

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Concorsi: quali scegliere

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Nel micro universo danza esistono una miriade di concorsi, rassegne coreografiche e talent per giovani danzatori, come scegliere e perché? Prima di tutto distinguiamo queste tre categorie di eventi.

Come il termine “concorso” si dovrebbe definire una “gara” nella quale si esibiscono danzatori suddivisi per stile, età e numero di partecipanti con l’obiettivo di dimostrare ai giudici le proprie doti e nel complesso una coreografia costruita con canoni tecnici apprezzabili. La giuria dovrebbe essere imparziale, composta da professionisti riconosciuti come eccellenze nel mondo della danza e che rappresentino tutti gli stili in concorso. Il regolamento dovrebbe racchiudere indicazioni che garantiscano la trasparenza e la serietà del concorso, come ad esempio il fatto che alla giuria non vengano comunicati ne il nome della scuola di provenienza, ne il nome del coreografo in modo da non essere influenzati da eventuali conoscenze. I premi in palio vanno da borse di studio, abbigliamento per la danza e denaro.

Le “rassegne coreografiche” invece dovrebbero essere NON COMPETITIVE ma avere lo scopo di dare l’opportunità a giovani danzatori e a giovani coreografi di portare i propri lavori su un palco neutro ( che non sia quello del saggio di fine anno) di fronte a maestri e coreografi esperti che hanno la facoltà o meno di dare borse di studio o opportunità di lavoro. Al centro però non ci dovrebbe essere la performance del singolo danzatore ma la composizione coreografica nel suo insieme.

Infine ci sono i “talent” che negli ultimi anni hanno spopolato, anche grazie al gusto del pubblico che è sempre più rivolto verso performance molto tecniche e acrobatiche. Detto ciò, lo scopo di questi eventi dovrebbe essere quello di “scovare” nuovi talenti e più sono giovani meglio è! Non sono quasi mai organizzati in teatri, hanno in giuria personaggi più o meno famosi e non necessariamente legati alla danza, spesso prevedono tutti i tipi di talenti e non solo la danza e hanno premi di vario tipo.

Ora che abbiamo chiarito quelle che dovrebbero essere le differenze vorrei fare una breve riflessione del perché partecipare a queste manifestazioni con i propri allievi.

Chi come me appartiene all’epoca dei dinosauri sa molto bene che il fenomeno “concorsi” o comunque “agonismo” nella danza e’ relativamente recente, la tradizione prevedeva la classica alternanza esami e saggio e solo i veri talenti che dimostravano capacità superiori alla media venivano portati nei pochissimi concorsi esistenti.

Lo scopo allora era davvero quello di dare loro, attraverso corpose borse di studio, la possibilità di andare a studiare all’estero o entrare in compagnie con contratti di lavoro.

La realtà di oggi invece appare ben differente, esistono alcuni concorsi e rassegne organizzate da enti di nota fama e serietà che rispondono alle caratteristiche di cui sopra e poi un mare di piccole realtà portare avanti da qualsivoglia a.s.d. per rispondere alle regole dettate dal CONI che prevedono l’obbligo di fare gare o eventi sportivi! La domanda però sorge spontanea, il no profit dove sta? Questi eventi fruttano non pochi soldi alle associazioni sportive che li organizzano utilizzando spesso strutture fatiscenti e non idonee, con impianto stereo di bassissima qualità e giudici di dubbia etica professionale. Già, il meccanismo di scelta dei giudici e’ l’aspetto più triste, spesso in questi concorsi, l’asd che organizza partecipa con i propri allievi alla competizione, inoltre sceglie come giudici personaggi che hanno collaborazioni abituali in modo che siano incentivati ad agevolare gli allievi di quella scuola. E’ quindi evidente che organizzare eventi seri che rispettino etica e gusto non è cosa semplice e andrebbe lasciato fare a chi lo fa da sempre, tuttavia come già detto ogni anno spuntano nuovi eventi come funghetti e margherite...

Si ritorna quindi alla domanda iniziale: perché portare gli allievi e come scegliere?

Il secondo quesito è in realtà molto semplice: scegliere eventi organizzati da enti conosciuti e seri. Investire soldi ed energie per un’esperienza che sia formativa altrimenti si rischia di creare solo frustrazioni negli allieve e avremo un effetto controproducente.

Per quanto riguarda il “perché” non ho una risposta valida per tutti. Come in ogni cosa ci sono pro e contro, partecipare può essere un incentivo ad impegnarsi di più, può insegnare ad abituarsi al confronto, aiuta ad esibirsi su palchi diversi di fronte ad un pubblico vero; d’altro canto c’è l’aspetto competitivo che non è necessariamente positivo e può essere un’arma a doppio taglio arrivando anche a indurre gli allievi ad abbandonare la danza se non ripagati da vittorie.

Concludendo qualsiasi esperienza si proponga ai nostri allievi deve avere lo scopo di arricchire il loro bagaglio culturale, tecnico ed emotivo non alimentare l’autostima del maestro né servire da pubblicità per la scuola di provenienza. Un maestro e una scuola che si rispetti deve avere come obiettivo crescere ed educare allievi con rispetto e coscienza, altrimenti sarebbe meglio fare altro nella vita perché il rischio è quello di distruggere opportunità preziose per giovani pieni di aspettative.

 

 

 

 

Il MIUR riconosce il corso di Yoga organizzato dal Centro Studi La Torre

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Il MIUR Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha riconosciuto la validità formativa dei Corsi promossi dal Centro Studi La Torre per ottenere la qualifica di “Insegnante di Yoga” e per insegnare la disciplina ai bambini.
Il primo è un percorso teorico e pratico finalizzato a una formazione classica e tradizionale dello yoga, con l’approfondimento dei principali aspetti della disciplina dalle posizioni al respiro fino al rilassamento; il secondo è un corso specifico,  rivolto agli insegnanti di yoga e a tutti i docenti che vogliano integrare la loro conoscenza e/o che desiderano lavorare con gruppi di bambini e gruppi di genitori assieme ai bambini.
 
Sono rispettivamente: 
 
 
 
organizzati dal Centro Studi La Torre, l’Ente di Formazione a cui fanno capo la Federazione Italiana Fitness (FIF) e l’International Dance Association (IDA). 
Entrambi i Corsi sono stati riconosciuti dal MIUR per l’anno scolastico 2019/2020 in base alla direttiva ministeriale 21 marzo 2016 n.170, divenendo così acquistabili con il bonus della “Carta Docente” tramite la piattaforma online “S.O.F.I.A.”, accreditata dal Ministero, da tutti i docenti di ogni ordine e grado residenti in Italia.
I Corsi sono acquistabili, dunque accessibili, dal 1° settembre 2019. 
Le date sono state pubblicate sul suddetto portale, nell’apposita sezione ‘Catalogo Corsi’. Per iscriversi è sufficiente inserire il nome del corso nella apposita funzione ‘Cerca’. Dalla stessa sezione sarà inoltre possibile consultare il programma completo dei Corsi.
Per maggiori informazioni si prega di contattare la segreteria organizzativa del centro Studi La Torre all’indirizzo: formazione@cslatorre.it  o al tel. 0544 34124
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

La musica e le lezioni di modern dance

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Quelli che ballavano erano visti come pazzi da quelli che non sentivano la musica.
F. Nietzsche


La musica per la danza ha un ruolo fondamentale anche se spesso non le si da il giusto spazio di tempo e studio.

Noi insegnanti abbiamo l’obiettivo di divulgare il sapere ai nostri allievi nel modo più semplice e intuitivo possibile, in modo che possano apprendere rapidamente e profondamente. Per fare questo necessitiamo di strumenti, tecniche ed escamotage adatti a raggiungere il nostro fine.

La musica è senza ombra di dubbio uno strumento didattico indispensabile ed efficace per questo scopo se ben utilizzata, ma come ogni strumento va conosciuta, studiata e pensata per i singoli obiettivi.

Per prima cosa è necessario conoscere la ritmica giusta di ogni esercizio per poter ricercare poi i brani adatti per ogni classe e assegnare loro il brano; esempio: per l’esercizio dei tendu ci vorrà un ritmo secco, scadenzato, possibilmente con battere e levare evidenti in modo da poter costruire un esercizio con diverse ritmiche interne. Una volta selezionati tutti i brani con queste caratteristiche bisognerà stabilire quale si adatta come stile a un’età piuttosto che ad un’altra.

Una volta fatto questo lavoro -in realtà contemporaneamente- bisogna fare una prima MAPPAURA MUSICALE per stabilire se il brano sia più o meno quadrato, onde evitare di dover diventare matti in fase di costruzione. E una volta che abbiamo selezionato tutti questi brani cosa facciamo Per fare un lavoro ordinato, i brani scelti vanno inseriti in playlist suddivise per gruppi –propedeutica modern, modern kids, modern avanzato, ecc- in modo da avere tutto pronto per ogni lezione.

La domanda viene spontanea però, dove trovo la musica da selezionare e dove faccio le Playlist.
I tempi dei cd sono ormai preistorici, tutto è diventato digitale e anche decisamente più comodo, quindi basta armarsi di pazienza, tempo, un pc e un paio di cuffie e si parte. La selezione può avvenire solo in base alla ricerca e ovviamente l’ascolto, quindi connettendosi alle principali piattaforme si inizia a cercare autori che ci piacciono per poi trovare correlazioni con altri. Tramite spotify, i tunes, youtube si ascoltano brani su brani e piano piano si selezionano e archiviano e poi in un secondo momento si riascoltano e si ordinano, per poi arrivare all’assegnazione.
Bisogna però fare attenzione alla qualità del suono della musica che scarichiamo. Infatti spesso la musica scaricata da youtube ha una pessima qualità che poco si percepisce in aula ma se viene poi inserita in un contesto teatrale si sente assolutamente la differenza con brani acquistati, è bene quindi imparare ad affinare l’udito per capire anche queste differenze.

Lavoro lungo… si, ma necessario per fare una lezione di qualità. Chi ha fatto il percorso di formazione IDA sa quanta importanza abbia la costruzione del riscaldamento sul brano musicale al fine dell’apprendimento didattico, se si impara questo metodo sarà molto più semplice insegnare le sequenze di esercizi e di conseguenza più rapido il processo di autonomia dell’allievo.

Un’altra questione riguarda l’impianto stereo e soprattutto l’amplificazione della musica durante le lezioni. l’ubicazione e la qualità delle casse in sala sistemate in sala per diffondere il suono richiedono uno studio effettuato da un fonico professionista che sappia calibrare echi e ritorni di suono, per avere una diffusione omogenea e corretta.
Molto spesso invece quando si apre una scuola si da molta importanza all’estetica e non alle questioni tecniche: pavimentazione e impianto stereo, un errore enorme per la qualità delle lezioni.
Tanto più la musica viene ben amplificata, quanto meno sarà necessario tenere il volume alto, evitando così inquinamento acustico, lamentele da parte di vicini e soprattutto dando agli allievi l’opportunità di imparare ad ascoltare la musica nel modo corretto.

Nel prossimo articolo parleremo delle scelte musicali per saggi e concorsi e anche degli strumenti tecnici per tagliare e modificare i brani. Buon lavoro…

 

 

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