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Le novità di Campus 2019

Giovedì, 20 Dicembre 2018 16:24 Scritto da

 

Tra le grandi novità di Campus 2019 i workshop con James D'Silva l'ideatore del metodo Garuda® e le lezioni con il famoso coreografo americano Bill Goodson

 

 

L’inverno è solo agli inizi ma l’organizzazione IDA sta già pensando all’estate quando tornerà l'annuale Campus Dance Summer School. Dal 12 al 17 luglio 2019, infatti, le storiche aule del Centro Studi La Torre di Ravenna ospiteranno centinaia di giovani allievi provenienti da tutta Italia per prendere parte alle lezioni di Modern, Classico e Composizione Coreografica, solo per citarne alcune. 

Grande novità di quest’anno i workshop di Garuda® Barre tenute dal suo ideatore James D’Silva, creatore del Metodo Garuda® e fondatore dello Studio Garuda®. D’Silva è nato e cresciuto a Goa (India); trasferitosi per amore in Inghilterra ha intrapreso la carriera di ballerino professionista ed insegnante dallo stile particolare ed unico, un mix tra Pilates®, yoga, GYROTONIC® e Feldenkrais®.

Tanti i docenti di fama interazionale che hanno già confermato la loro presenza al Campus, tra questi Kledi Kadiu, Jay Asolo, Iker Karrera, Virgilio Pitzalis, Matteo Addino, Kristian Cellini, Massimiliano Scardacchi, Loreta Alexandrescu, Sara Tisselli e Emanuela Tagliavia

Attesissima, inoltre, la presenza del celebre coreografo televisivo  Bill Goodson.

Nato a Los Angeles alla fine degli anni ’50, nella sua lunga carriera Bill Goodson ha collaborato con artisti del calibro di Michael Jackson, Renato Zero, Diana Ross, Gloria Estefan e Stevie Wonder ed insegnato in alcune delle più prestigiose scuole di danza a livello mondiale. Tra le sue esperienze televisive si ricordano programmi quali “Torno sabato” di Giorgio Panariello e “Chiambretti Night”, di cui ha curato le coreografie. Ma la grande popolarità nel nostro Paese è arrivata lo scorso anno quando è entrato a far parte del team di professori di ballo dello talent show “Amici di Maria De Filippi”.

Signor Goodson, cosa consiglierebbe ad un allievo di Campus che si trova a far lezione con un professionista del suo calibro, per valorizzare al massimo tale esperienza? 

“Il mio consiglio è di arrivare in aula mentalmente preparati così da essere presenti ‘anima e corpo’. Per un giovane ballerino si tratta di un’esperienza dalla quale deve trarre il massimo beneficio possibile perché, senza falsa modestia, non sono  opportunità che capitano tutti i giorni”.

Cosa si aspetta da un suo allievo di Campus? 

“Certamente il tempo che abbiamo a disposizione non è moltissimo, per cui è necessario avere un atteggiamento umile ed essere pronti ad assorbire il più possibile. Io da parte mia sono già entusiasta di partecipare a questo stage e porterò con me tanta passione e vitalità; mi piacerebbe che sotto questo aspetto ci fosse un buono scambio, così da creare una bella energia in aula”.

Come strutturerà le sue lezioni al Campus 2019?

“Il mio obiettivo principale è dare input e nuovi stimoli su cui gli allievi potranno lavorare in seguito con i propri maestri. Partendo dal presupposto che la danza è divertimento, cercherò di puntare su questo aspetto, soprattutto nelle classi dei più piccoli, dove talvolta gli allievi devono ancora trovare la loro vera strada. Con i più grandi, lavorerò anche sulla tecnica. Ciò che vorrei trasmettere è la gioia della danza”. 

Cosa si sentirebbe di consigliare ad un giovane ballerino che ha deciso di fare della danza la propria professione?

“Il mio consiglio è continuare a studiare sempre la propria arte, non mollare mai e non sentirsi mai arrivati. Per realizzare i propri sogni ci vuole tanta, tantissima, determinazione. Il nostro è un mondo molto competitivo, in cui c’è poco spazio per affermarsi. Per farlo, l’unico modo è essere davvero convinti del percorso intrapreso e mostrarsi sempre pronti a sacrificarsi e sudare”.

 


Tutte le informazioni su Campus Dance Summer School 2019 a questo link >


 

 

© Expression Dance Magazine - Dicembre 2018

 

 

 

Stage di danza e formazione Expression

Giovedì, 20 Dicembre 2018 16:20 Scritto da

Successo per il tradizionale appuntamento autunnale

 

Si è svolto il 7 e l’8 dicembre a Ravenna, nelle storiche aule del Centro Studi La Torre, l’annuale stage di Danza e Formazione Expression organizzato da IDA. Una due giorni intensa di studio che ha visto la partecipazione di allievi ed insegnanti di danza provenienti da tutto lo Stivale per prendere parte alle lezioni di Classico, Modern, Contact Improvisation e Anatomia Esperienziale

Anche quest’anno ho piacevolmente constato una decisa partecipazione di ballerini provenienti da altre discipline, che prendono parte alle lezioni di Classico per migliorare il loro livello di tecnica e la loro consapevolezza nel movimento, attitudine, quest’ultima, che solo la danza Classica è in grado di dare poiché ‘madre di tutte le danze’. Prenderne coscienza è fondamentale ma avere il coraggio di approcciare da neofiti questo insegnamento non è semplice; tuttavia anche chi non ce l’ha fatta, ma ha comunque assistito alle varie lezioni, ha aggiunto un tassello essenziale alla propria formazione”, ha commentato Loreta Alexandrescu, Docente Scuola di Ballo Teatro alla Scala, tra gli insegnanti che hanno preso parte allo Stage insieme a Virgilio Pitzalis (Modern), Alessio Barbarossa (Contact Improvisation), Massimiliano Scardacchi (Classico), Rita Valbonesi (Anatomia Esperienziale) e Rita Babini (esercizi di respirazione).

L’appuntamento di quest’anno si è focalizzato sull’importanza del riscaldamento ad inizio lezione (e del defaticamento alla fine) e delle tecniche di respirazione da implementare durante l’intero allenamento.

Novità assoluta dell’edizione 2018 è stato il microteaching, un percorso teorico e pratico per insegnanti basato su un metodo di osservazione ed analisi di video realizzati durante le lezioni di Anatomia Esperienziale di Rita Valbonesi e di Danza Classica di Massimiliano Scardacchi.

Penso che si tratti di uno strumento molto utile, in quanto consente di intavolare un interessante dibattito sugli aspetti pedagogici dell’insegnamento, con un approccio moderno ed innovativo, che tiene conto delle singole individualità degli allievi e svecchia quella concezione per cui il maestro di danza è solamente un ‘mestierante’”, ha commentato Massimiliano Scardacchi.

Soddisfatta infine Rita Valbonesi che sottolinea il successo ottenuto dal corso di Anatomia Esperienziale, in particolare tra i più giovani. “Un risultato sorprendente che può essere interpretato come il segnale di un forte cambiamento in atto, dovuto anche al lavoro degli insegnanti che quotidianamente educano all’ascolto e stimolano costantemente la curiosità dei propri allievi insegnando loro ad aprirsi al nuovo”.

 

 

 

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NUOVO PERCORSO DI SCRITTURA COREOGRAFICA PER DANZATORI E INSEGNANTI

Giovedì, 20 Dicembre 2018 16:18 Scritto da

Partirà a marzo 2019 il Percorso di scrittura coreografica per danzatori e insegnanti promosso da IDA con rilasciato del Diploma IDA/ASI e Tesserino Tecnico ASI valido ai fini delle nuove normative CONI.

Il percorso didattico avrà la direzione artistica della danzatrice, coreografa e docente di danza contemporanea Emanuela Tagliavia e approfondirà diversi temi ed aspetti con seminari di scrittura coreografica, drammaturgia, analisi del movimento ed illuminotecnica al fine di approfondire gli aspetti del lavoro compositivo.

“Il corso – spiega Emanuela Tagliavia - vuole essere uno stimolo ad avere un ‘pensiero coreografico’ , un’analisi del movimento, la capacità di inserirlo in un contesto e trovare la propria poetica. Quest’anno, oltre al linguaggio di tre autori ho introdotto lezioni di drammaturgia e illuminotecnica, utili strumenti nella realizzazione di una coreografica. La cosa più importante – conclude l’insegnante - è utilizzare il corso per stimolare la curiosità di conoscere gli stili corografici contemporanei e, più in generale, i diversi aspetti della cultura coreutica”.

Ad affiancare Tagliavia in questo percorso ci saranno Laura Moro, coreografa e docente di ricerca coreografica nonché fondatrice del collettivo artistico Arthemigra Satellite; Lorella Rapisarda, coreografa e docente del metodo Laban/Bartenieff; Giuseppe Dagostino, drammaturgo presso Kor’sia, collettivo italo-spagnolo con sede a Madrid; Antonio De Rosa e Mattia Russo, direttori artistici del già citato collettivo Kor’sia; Sharon Remartini e Fabio Passerini esperti di illuminotecnica in movimento e insegnanti del corso “Lighting Design per il Teatro” presso l’Accademia del Teatro La Scala.

Per accedere al corso è necessario essere in possesso di un curriculum artistico che si compone di certificazione o autocertificazioni attestanti la frequenza a corsi di danza presso Enti privati o pubblici; conoscere i passi fondamentali della danza classica e contemporanea; essere capaci di riprodurre una sequenza coreografica e rispettare il ritmo musicale; possedere fluidità di movimento corporeo.

La durata complessiva del percorso è di 6 weekend, ma viene data anche la possibilità di acquistare singolarmente i primi cinque moduli. 

I corsi sono a numero chiuso e sono rivolti a persone di almeno 18 anni di età. I candidati interessati possono iscriversi entro il 31 gennaio 2019 richiedendo la cedola di iscrizione ed inviando il  cv a formazione@cslatorre.it 

 

Maggiori informazioni sul corso a questo link >

 

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IL SUCCESSO DEL PRIMO CORSO PER LA QUALIFICA DI MAESTRO DI DANZA

Giovedì, 20 Dicembre 2018 16:14 Scritto da

Assegnati 22 titoli di qualifica con validità nazionale ed europea 

Si è conclusa con successo la prima edizione del Corso per la Qualifica di Maestro di Danza, organizzato dal Centro Studi La Torre, in collaborazione con Iscom E.R, interamente finanziato dal Fondo Sociale Europeo e riconosciuto dalla Regione Emilia-Romagna.

Un percorso lungo circa un anno, iniziato nell’agosto 2017 e conclusosi lo scorso settembre con gli esami finali, valutati da una giuria di Commissari regionali. 

Professionisti di spessore e insegnanti altamente qualificati si sono alternati durante le 300 ore di lezione in aula e le 200 di stage. 

A questa prima edizione del Corso hanno preso parte: Argiolas Eleonora, Barilli Sofia, Bergonzi A. Allegra, Berti Giulia, Buratto Lia, Campi Giulia, Casadio Silvia, Congiu Eleonora, D'Adamio Michael, Dessardo Noemi, Fattori Greta, Fazio Chiara, Gelsi Ciro, Malinconi Margherita, Mancini Daniela, Martirani Giulia, Mikhailowa Yulia, Morandi Laura, Ricci Linda, Schennetti Federica, Troilo Francesco, Vaccarini Licia e Zacchi Linda

Dei partecipanti, ventidue hanno conseguito la Qualifica di Maestro di Danza e una la Certificazione di competenza. Si tratta di un importante traguardo poiché, per la prima volta in Italia, un corso riconosciuto a livello giuridico conferisce un prestigioso titolo in grado di aprire le porte a nuove prospettive professionali per la sua validità nazionale ed europea (6° livello EQF).

Condurre lezioni di classico, moderno e contemporaneo, graduando gli obiettivi didattici in relazione alle caratteristiche psicofisiche degli allievi sono le skill raggiunte grazie ad un intenso programma di studi con tante tematiche affrontate: dalla progettazione del percorso di danza alla gestione delle lezioni, dalla capacità di creare uno spettacolo a quella di valutare i risultati raggiunti; dall’apprendimento dei principi della corretta alimentazione fino a quelli igienici, passando per i concetti legati all’anatomia, alla fisiologia del movimento, alla psicomotricità e alla traumatologia, oltre che ai temi relativi alla sicurezza sul lavoro. 

Un percorso di alto livello che ha conferito ai partecipanti una competenza (qualificata) sinonimo di specializzazione e professionalità,  requisiti indispensabili per far fronte all’elevato tasso di competitività del mondo attuale. 

La seconda edizione del Corso per la Qualifica di Maestro di Danza è già in dirittura di arrivo: partita lo scorso aprile terminerà con gli esami di fine percorso il prossimo gennaio. 

A grande richiesta il Centro Studi La Torre sta già organizzando una terza edizione al via nel 2019. I candidati interessati possono inviare il proprio cv a formazione@cslatorre.it

 

 

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Hip Hop Dance per bambini

Giovedì, 20 Dicembre 2018 16:13 Scritto da

Mio figlio ha iniziato a ballare ancora prima che a camminare; l’ho portato a 4 anni a fare hip hop ma dopo un anno si era già stancato, dice che per lui è troppo difficile e non si diverte. Lui vuole ballare”.

Negli ultimi anni mi è capitato spesso di sentire questo tipo di affermazione da parte di genitori alla ricerca di un’attività più stimolante per i propri figli. A casa i bambini dimostrano di avere attitudine e passione per il ballo ma poi escono dalla lezione di danza né soddisfatti né divertiti e ben presto abbandonano l’attività. Il perché in molti casi è presto detto: gli si chiede troppo, senza considerare le tappe del loro sviluppo psicomotorio. 

L’Hip Hop è, per via della velocità della musica che si utilizza, una delle danze che richiede maggior coordinazione e ritmo. La sua tecnica si differenzia dalle altre per la padronanza totale dei segmenti corporei, l’enorme controllo motorio e la forza di contrazione muscolare. Proprio per questo sono dell’idea che non si possa fare tecnica Hip Hop con un bambino che non abbia compiuto almeno 7 anni; età che potrebbe essere addirittura superiore qualora non sia stata fatta alcun tipo di attività motoria fino ad allora. Non si tratta tuttavia di una verità assoluta; si può iniziare anche prima, purché si scelga un corso indicato in base all’età.

I bambini sono affascinati dalla musica, soprattutto dalla sua componente ritmica e l’Hip Hop è senza dubbio il ballo più dinamico e cadenzato. Fin da piccolissimi tendono ad esprimere ogni emozione attraverso il corpo, muovendosi seguendo la musica e comunicando così il loro mondo interiore. Vengono attirati dai movimenti dell’Hip Hop perché li incuriosiscono e stimolano la loro fantasia; il corpo diventa un cartone animato, una macchina, un robot; può farsi liquido, solido, di gomma, di cemento, lento, rapido, leggero, pesante, in una serie infinita di possibilità.

È una danza particolarmente gradita ai bambini perché è divertente e la sua vitalità permette di impiegare e incanalare al meglio le loro infinite energie. Non solo; può diventare uno strumento di comunicazione corporea che permette loro di superare anche alcune difficoltà legate, per esempio, alla timidezza e all’autostima. Mediante l’improvvisazione, tipica dell’Hip Hop, il bambino può esplorare il proprio corpo e trovare un’espressività unica e caratterizzante dandole voce in modo creativo e, soprattutto, naturale.

Quante volte ragazzini in età puberale alle prime lezioni mi hanno chiesto terrorizzati se avessi proposto loro il momento “free style” nel tanto famoso quanto temuto “cerchio”. Gli stessi ragazzi, se avessero iniziato da bambini a ballare Hip Hop, non avrebbero aspettato altro se non quel momento per dimostrare agli altri la loro abilità e bravura. Non dobbiamo dimenticare che il bambino è il futuro ragazzo che diventerà adulto; è un foglio ancora bianco che l’insegnante ha l’enorme responsabilità di riempire. Più colori verranno utilizzati, più il ragazzo avrà strumenti per crescere libero di esprimere appieno la propria personalità.

“In ogni bambino, adolescente, adulto rimane la nostalgia per quello che sarebbe potuto succedere al proprio corpo” F. Zagatti. 

Il corso di “Hip Hop Dance per Bambini” si pone come obiettivo la formazione di insegnanti capaci di avvicinare bambini e ragazzi alla danza Hip Hop in modo semplice, intuitivo e corretto. Ampio spazio sarà dato alla parte pedagogica e relazionale, per dare ai futuri insegnanti le nozioni per costruire lezioni efficaci ed appropriate alle età degli allievi, seguendo le tappe del loro sviluppo psicomotorio, dai 3 anni fino all’adolescenza. 

Maggiori informazioni a questo link >

 


Novità

 SEMINARIO WEBINAR

Hip Hop Dance per bambini nella didattica a distanza

Docente: IRENE ROSSI 

DATE: 27 FEBBRAIO 2021

ORARIO: DIRETTA DALLE  14.00 ALLE 18.00

Non puoi essere presente alla diretta? Puoi acquistare le registrazioni in qualunque momento.

 

Scopri di più >

 


 

Note sull'autore:

Irene Rossi Laureata in Scienze Motorie, esperta di psicomotricità, insegnante di Hip Hop e Modern jazz, Diplomata IDA 

 

 

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Il Lago dei Cigni, il balletto e le sue riletture nel tempo

Giovedì, 20 Dicembre 2018 16:09 Scritto da

Nel 1877 venne portato in scena Il Lago dei Cigni al Bolshoi di Mosca con le coreografie di Julius Wenzel Reisinger, il libretto di V.P. Begicev insieme a V.F. Geltzer (basato sulla fiaba “Der geraubte Schleier” di J.K.A. Musäus), le musiche di Pëtr Il’ič Čajkovskij senza ottenere successo tanto da essere ritirato dalle scene. 

Nel 1894, al “Memorial Matinée” in omaggio a Čajkovskij da poco scomparso, venne riproposto il II atto, riallestito per volere del direttore del Teatro Mariinskij, che ne affidò la coreografia a Marius Petipa. In seguito il tutto venne rielaborato dalla coppia Petipa/Ivanov, che per l’occasione superarono le loro rivalità e si divisero la stesura: il primo si occupò degli “atti neri” mentre il secondo curò gli “atti bianchi”. Le musiche furono riviste e la nuova versione, presentata il 15 gennaio 1895 al Mariinskij di San Pietroburgo, ottenne enorme successo con la direzione musicale di Riccardo Drigo il quale vi aggiunse una propria composizione, il “Grand pas de deux”. 

Il Lago dei Cigni è sicuramente uno dei titoli più rappresentati ed è l’opera maggiormente celebre nella Storia del Balletto universale. Un capolavoro dove si intrecciano pantomima, i divertissement delle danze folkloristiche, le sfumature malinconiche di Ivanov, l’atmosfera eterea della protagonista e il doppio ruolo “cigno bianco e cigno nero”, antitesi tra bene e male. Sotto il profilo tecnico appare arduo, in parte dovuto alla ballerina Pierina Legnani, la quale nel ruolo di Odette/Odile, portò tutta la sua padronanza nell’eseguire trentadue fouettes di seguito. Non marginale è lo svolgimento narrativo, in particolar modo riguardo alla conclusione, nella quale ebbe un compito determinante per un alternativo finale in chiave positiva, il fratello del musicista, Modest Čajkovskij. 

A proposito di finale è bene sottolineare che negli anni si sono susseguite numerose versioni alla scena di chiusura originale. La partitura musicale appare ambigua e sensuale, il balletto venne composto quando l’autore, consapevole della propria omosessualità (e di quella di suo fratello), per celarla si sposò. Un matrimonio che terminò con il ricovero in manicomio della moglie e innescò la serie di eventi che portarono alla morte del compositore. 

La prima rappresentazione integrale fuori dai confini russi andò in scena nel 1907 al Teatro Nazionale di Praga con la coreografia di Achille Viscosi mentre la prima versione integrale di Petipa-Ivanov fuori dall’Unione Sovietica fu allestita da Nicholas Sergeyev nel 1934 a Londra per il “Vic-Wells Ballet” con Alicia Markova e Robert Helpmann. 

Innumerevoli appaiono le versioni del Lago che da sempre ispira sia gli autori della tradizione che quelli di rottura; ad esempio nel 1901 al Teatro Bolshoi, Aleksandr Gorsky mise in scena una sua rivisitazione con Adelaide Giuri, Mikhail Mordkin e Vera Karalli. 

Celebre la versione con Maya Plisetskaya al massimo del fulgore, ma anche quella alla Wiener Staatsoper di Rudolf Nureyev, dove il protagonista assoluto è Siegfried, un principe romantico dall’animo malinconico. 

Una rilettura inedita si deve a Matthew Bourne con “Swan Lake” per il Sadler Wells Theatre di Londra, produzione che ha goduto di un tripudio mondiale, ma anche di critiche da parte dei puristi: una delle singolarità è che i cigni sono interpretati da ballerini maschi (versione comparsa poi nel finale di “Billy Elliot” con Adam Cooper). 

Troviamo in seguito l’adattamento di Fredy Franzutti per il “Balletto del Sud”: fanno da sfondo le analogie tra Siegfried e Re Ludwig II di Baviera mentre il demone Rothbart chiede l’anima del ragazzo in cambio di una spensierata vita di duratura bellezza. 

Un’altra riscrittura, audace, ha debuttato a Stoccolma, firmata da Fredrik Rydman, miscelando danza classica e street dance con brani pop rock dal titolo “Swan lake reloaded”, ambientata ai giorni nostri. Una rilettura elettronica e dal sapore dark la ritroviamo grazie all’artista sudafricana Dada Masilo, la quale ha lavorato sul contrasto bianco/nero per mezzo di un coro di cigni a piedi nudi che affondano in profondi plié rievocando antiche danze tribali. 

Di ben altro calibro è la trasposizione “La stanza del Principe” di Enzo Cosimi dove la figura del principe viene sfocata, rimossa, ribaltandone l’iconografia tradizionale verso un’inquietudine rarefatta. La talentuosa Marguerite Donlon, danzatrice e coreografa irlandese ha creato “Swan Lake-Emerged” per la “Donlon Dance Company”, un originalissimo Lago intriso di tormento e di assenza emotiva ma al contempo di esuberante gioia avvalorato dal contrasto tra Čajkovskij e il duo Sam Auinger & Claas Willeke. 

Da segnalare l’arrangiamento grottesco dell’intero II atto ad opera de “Les Ballets Trockadero de Monte Carlo”: un classico esilarante en travesti, irriverente e dissacrante in cui fa da padrona la parodia pur conservando tutti i dettami tecnici accademici. 

Una versione che ha destato scandalo si è vista con la “Peter Schaufuss Company” al London Coliseum, coreografie di Peter Schaufuss, splendido ballerino proveniente dalla scuola di Bournonville. Un’altra particolare lettura la si deve al francese Patrice Bart per il Teatro dell’Opera di Roma che ha proposto una veste per così dire, edipica. 

Apprezzato il “Balletto di Roma” con “Il Lago dei cigni ovvero Il canto” riscritto in chiave moderna da Fabrizio Monteverde che si è posto di fronte al capolavoro relazionandolo con la novella di Cechov. 

Un’altra rilettura di matrice contemporanea si rintraccia nella coreografia di Loris Petrillo per la “Compagnia Opus Ballet” diretta da Rosanna Brocanello: un’operazione di riscoperta del nucleo centrale. 

Da ricordare l’adattamento acrobatico tra la disciplina classica e l’energia degli esercizi circensi con il “Guandong Acrobatic Troupe”, capaci di sfidare la gravità. 

Splendida trasposizione per il coreografo Alexei Ratmanski che ha condotto gli spettatori mediante un’operazione culturale di elevato spessore, riportando il balletto all’essenza pura grazie alla notazione di Vladimir Stepanov tramandata nei quaderni conservati all’Università di Harvard e alle foto, filmati e materiali d’archivio, permettendo di restituire le sfumature di uno stile oggi modificato secondo l’evoluzione fisica e la nuova tecnica coreutica. 

Da sottolineare il tocco moderno di Pascal Touzeau nel suo “Lago dei cigni” per il “Ballet Mainz” dove si è focalizzata la dimensione immaginaria ed eterea di Odette. 

Da citare l’allestimento di Vladimir Bourmeister che ha visto il suo debutto a Mosca al Teatro Stanislavskij e Nemirovich-Danchenko Musical Theatre nel 1953 con Violeta Bovt, ma anche la versione andata in scena a Londra all’Hippodrome nel 1910 (solo del secondo atto) con la coreografia di Michel Fokine, interpretata da Olga Preobrajenskaia, ripresa poi con i “Ballets Russes” di Diaghilev al Covent Garden nel 1911 in due atti con Matilde Ksessinskaia e Vaslav Nijinski ed in seguito con la coppia Spesivceva/Lifar. 

Sempre nel 1911 presso il Metropolitan di New York fu applaudita la versione di Mikhail Mordkin con Ekaterina Geltzer. Importante la versione al Kirov di Leningrado nel 1933 firmata da Agrippina Vaganova con Galina Uvanova. 

Nuovamente al Kirov nel 1945 un’altra variante a cura di Fëdor Lopokov e nel 1950 quella pensata da Konstantin Sergeev. 

Nel 1962 l’originale viene rivisto da Frederick Ashton con la mitica coppia formata da Margot Fonteyn e Rudolf Nureyev. 

Per il Sadler’s Wells Theatre di Londra nel 1934 il coreografo Nicholas Serghiev allestisce un suo arrangiamento con Alicia Markova. 

Nel 1963 ritroviamo allo Staatstheater di Stoccarda la coreografia di Petipa/Ivanov rivista da John Cranko, con protagonista Marcia Haydée; mentre all’Opera di Berlino nel 1964 quella firmata da Kenneth MacMillan.

Da ricordare l’allestimento al Teatro alla Scala nel 1973 a cura di John Field con Carla Fracci e Rudolf Nureyev. Lo “Scottish Ballet” nel 1977 produce un suo “Lago” su creazione di Peter Darrell. 

Mentre ancora alla Scala nel 1985 serbiamo ricordo dell’adattamento di Rosella Hightower per la regia di Franco Zeffirelli, interpreti Carla Fracci, Alessandra Ferri e Maurizio Bellezza. Un’altra creazione dal titolo “Lac” firmata da Jean Christophe Maillot, direttore dei “Balletti di Montecarlo”, varia la trama, anche se i due cigni (bianco e nero) si contendono sempre l’amore del principe. 

Indimenticabile la rilettura di Christopher Wheeldon, in punta di piedi tra Degas e Toulouse-Lautrec: un lavoro articolato tra sogno e realtà, sala prove e Cafè Chantant fin de siècle commissionato dal “Pennsylvania Ballet” di Philadelphia. 

Da menzionare l’edizione proposta con la coreografia e le scene di Maurice Bart, basato in parte sul lavoro di Petipa/Ivanov con i costumi di Aldo Buti. In scena anche la versione On Ice con “The Imperial Ice Stars”, pluripremiata compagnia internazionale di danza sul ghiaccio arricchita da una interpretazione drammatica con salti e pirouette ad alta velocità, acrobazie e spettacolari effetti visivi supportati da un cast di eccellenti pattinatori. 

Nel 1976 alla Staatsoper di Amburgo viene invece riletto il capolavoro a firma dell’americano John Neumeier. 

“Il Lago dei cigni” fu proposto anche al “London’s Festival Ballet” nel 1960 e otto anni prima il “New York City Ballet” eseguì la versione pensata dal suo celebre coreografo George Balanchine con interprete Maria Tallchief. 

Da segnalare la versione di Boris Romanov che vi impiegò Attilia Radice e Anatolij Obuchov. Storica la trasposizione del Maestro Yuri Grigorovich per il Bolshoi Ballet e curiosa quella di Alexander Ekman, vista ad Oslo, all’Opera Nazionale Norvegese, dal titolo “A Swan Lake” selvaggio e dirompente allestimento basato sull’acqua con danzatori, attori, un soprano, diversi musicisti e mille anatre di gomma: una produzione acclamata per la sua inventiva, musicalità ed ironia con le sonorità rielaborate dallo svedese Mikael Karlsson. 

A Copenaghen presso il Teatro Reale nel 1938 ritroviamo la versione di Harald Lander con Margot Lander. Il “Balletto del Teatro Astana Opera”, ha prodotto Il lago dei cigni partendo da Petipa/Ivanov rivisitato da Altynai Asylmuratova. 

Al Maggio Musicale Fiorentino ricordiamo l’affascinante rilettura contemporanea di Paul Chalmer dal titolo “Il Lago dei Cigni ovvero Lo scandalo Čajkovskij”. 

In prima nazionale a Siena al Teatro dei Rinnovati si è vista la versione di Marco Batti con il “Balletto di Siena”: una creazione dove l’immagine della ballerina adornata dal candido tutù lascia il posto ad una visione più terrena. Da menzionare la variante teatrale del “lago” in forma di pantomima, con oggetti e musica dal vivo destinata ad un pubblico di bambini a cura della “Fondazione Aida e Orchestra da Camera di Mantova” nella trasposizione musicale di Luciano Borin. 

Nel 1977 il coreoregista svedese Mats Ek propone “Svansjön” per il “Cullberg Ballet”, una esecuzione imperniata sull’amore assoluto nel contrasto vita-morte: in palcoscenico un cigno impacciato, di pelle bianca e nera, a piedi nudi, indistintamente maschio e femmina. Rigorosa la variante di Aleksej Fadeecev nell’attuazione del “Balletto di Stato della Georgia” diretto da Nina Ananiasvili. 

Infine da menzionare il divertissement “Les cygnes blanc” di Roland Petit per il “Ballet National de Marseille”, coreografia per soli uomini in calzamaglia bianca sul finale della partitura di Čajkovskij che nel 1998 verrà ripreso e sviluppato ne “Le lac des cygnes et ses maléfices” con Massimo Murru, creazione inaugurale del Festival del Balletto di Nervi. 

Per il cinema celebre l’ispirazione di Darren Aronofsky in “Black Swan”, film che ha toccato gli archetipi fondativi del balletto sceneggiati in chiave thriller tra i doppi psicologici della protagonista. 

Tante riletture per “Il Lago dei Cigni”, tra contemporaneo e passato, le quali racchiudono il meglio dell’arte del balletto, mantenendo intatta la meraviglia dei simbolismi e la visione collettiva tersicorea per eccellenza.

 

 

Note sull'autore:

Michele Olivieri Critico di danza e balletto (ANCT/AICT), recensore dal Teatro alla Scala e Membro del Consiglio Internazionale della Danza CID UNESCO Paris

 

 

© Expression Dance Magazine - Dicembre 2018

 

 

 

 

Dalla cultura Hip Hop alle coreografie Urban Dance

Giovedì, 20 Dicembre 2018 16:00 Scritto da

Qual è la differenza tra Urban Dance e Hip Hop? Come si interconnettono tra loro? La nostra casella di posta elettronica è letteralmente intasata da mail in cui si richiede un chiarimento circa le loro principali caratteristiche e differenze, o dove si domandano informazioni sulla genesi e l’evoluzione del Popping, House e Waackin&Voguin etc.

Ad oggi sono disponibili online tantissimi approfondimenti interessanti circa questi argomenti ma è evidente che persista il bisogno di fare ulteriore chiarezza a riguardo.

Questo articolo si concentra proprio sui tanti differenti stili che vengono spesso erroneamente definiti Hip Hop, a iniziare dall’Urban Dance.

Quando parliamo di Hip Hop ci riferiamo ad una danza composta di 2 forme: Breaking e Party Dancing. Si tratta di una spiegazione estremamente semplificata ma che ne sintetizza al massimo la sostanza.

Tuttavia, per comprendere realmente questo stile è necessario scavare più a fondo.

L’Hip Hop nasce negli anni settanta del secolo scorso nel Bronx, a New York, come unica alternativa per i giovani di esprimere disagi, dare voce ai sentimenti, guadagnare rispetto e integrarsi divertendosi. L’Hip Hop è una cultura, uno stato mentale, uno stile di vita. Le varie espressioni di danza (Breaking, Freestyle Hip Hop e Litefeet), d’arte (graffiti), verbali (emcee/rap), di musica (DJ, produzioni) e di moda sono tutte manifestazioni di una stessa cultura.

“Il Breaking e il Social/Party Dancing emergono da questo scenario, radicato profondamente in uno specifico tessuto socio-politico”, mi spiega Buddha Stretch, tra i pionieri dell’Hip Hop Freestyle. “L’Hip Hop è come un essere vivente che respira, cresce e si evolve con la sua gente. Nel tempo – continua - la musica Hip Hop è cambiata, la danza Hip Hop si è modificata, mantenendo tuttavia constanti i principi fondamentali legati alle comunità latine e afroamericane”.

E cosa non è l’Hip Hop? Secondo Buddha Stretch “La parola Hip Hop è stata fin troppo abusata dalle scuole di danza per promuovere i propri corsi, sebbene la maggior parte di queste non avesse alcun titolo per farlo né insegnanti in grado di capirne e trasmetterne l’essenza. È così che si è andata creando una situazione in cui gli allievi imitano pedissequamente linguaggi, suoni e movimenti senza comprendere il vero significato del ballo. Questi corsi non insegnano autenticità dell’Hip Hop, non pagano il giusto tributo alle sue radici e alla sua cultura, usano soltanto l’aspettativa creatasi intorno a questo fenomeno come mera strategia di marketing”.

“Se una scuola di danza insegna movimenti dell’Hip Hop che non hanno nulla a che fare con la sua musica e la sua cultura, ciò che sta facendo è minare la reale essenza di questo stile”, incalza Moncell Durden, professore di Hip Hop dell’USC Glorya Kaufman International Dance Center di Los Angeles. “Quando penso all’Hip Hop – continua Durden - non mi viene in mente uno studio coreografico quanto piuttosto jam session, club, circoli, freestyler etc.”.

“Gli show televisivi e la filmografia hanno contribuito a snaturare la vera essenza di questo stile. The Step Up, Franchise, Stomp The Yard, per citarne alcuni, mostrano l’Hip Hop in modo tale da renderlo cool con una prospettiva di lavoro assicurata”, commenta a riguardo l’icona della Break Dance Bgirl Asia One.

Chiarito dunque cos’è l’Hip Hop, la domanda diventa: cosa si intende per Urban Dance?

“Il termine indica un insieme di team, prove, contest e video: l’Urban Dance non è uno stile di danza ma un atto. È una coreografia”, spiega Bgirl Asia One. “L’interpretazione di una performance di Urban Dance è fortemente condizionata dal suo coreografo e assume caratteristiche differenti a seconda del background”. 

Un esempio su tutti è dato dalla diversità evidente nelle coreografie di Franklin Yu’s Popping e Chris Martin. “Il bagaglio artistico e personale del primo porta alle isolazioni tipicamente presenti nelle sue coreografie. L’altro, come Bboy, si differenzia invece per i footwork pazzi e gli atletici floorwork. Entrambi tuttavia – conclude la ballerina – praticano, insegnano e tengono workshop di Urban Dance ma il loro stile è completamente differente proprio perché hanno competenze artistiche, personalità, esperienze e gusti musicali diversi. Tutto questo contribuisce ineluttabilmente al processo di creazione coreografica”.

In conclusione si può affermare che molte coreografie degli Urban Dancer sono una commistione di vari stili, dal Freestyle Hip Hop al Breaking e al Street/Funk style: per questa ragione spesso le persone tendono ad associare l’Urban Dance con l’Hip Hop e per lo stesso motivo talvolta è difficile spiegare che l’Urban Dance non è l’Hip Hop. 

 

 

Note sull'autore:

Jay Asolo, originario della Nigeria , si avvicina al mondo della danza fin dalla tenera età. Ballerino, coreografo e insegnante, oggi è protagonista di primo piano sulla scena internazionale dell’Hip Hop.

Jay Asolo sarà tra i giurati del Concorso Expression a Firenze presso Danzainfiera dal 22 al 24 febbraio 2019. Presenza gradita e costante all’evento, il famoso coreografo assegnerà ai più talentuosi borse di studio per il "Retro Kings & Queens Summer Intensive", con la Retro Kings & Queens Company, a Dublino (Irlanda) in programma per la prossima estate. Maggiori informazioni su www.concorsoexpression.com

E non solo...! A luglio 2019 Jay Asolo sarà presente in qualità di insegnante a Campus Summer School al Centro Studi La Torre di Ravenna. 

 

 

 

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Matt Mattox, Free Style Jazz Dance

Giovedì, 20 Dicembre 2018 15:47 Scritto da

 

Nato nel 1921 in Oklahoma, Matt Mattox iniziò a danzare all’età di undici anni. Dapprima si accostò alle claquettes incominciando a padroneggiare tecnica e ritmo; in seguito scoprì la danza classica, che gli conferì fluidità, bellezza, rigore e precisione.

Un background importante che diede a Matt, appena ventiduenne, gli strumenti necessari per muovere i primi passi nel mondo dorato dell’industria cinematografica come “danzatore di riserva”. Negli anni che seguirono lavorò con professionisti e coreografi di elevata caratura ma la vera svolta fu l’incontro con Jack Cole che lo introdusse a forme nuove di danza a lui allora sconosciute. E grazie agli insegnamenti di Cole in danza moderna, danza popolare russa, danza indiana e flamenco, Matt Mattox intraprese un lungo percorso che lo portò a diventare il famoso coreografo che oggi apprezziamo.

Lo stile di Matt Mattox era basato su quello “fluido e animale” di Jack Cole. Una danza dettagliata, precisa, nella quale si trovava l’equilibrio, la flessibilità, la rapidità, la potenza, la purezza delle linee. Era una danza di controllo e scultorea. La padronanza della tecnica era condizione necessaria per approcciarla.

Mattox fu anche un grande insegnante. La sua carriera di docente iniziò nel 1956 quando, forte dell’approvazione del suo maestro, intraprese l’insegnamento della tecnica di Jack Cole. Qualche anno dopo, egli creò un proprio metodo interamente ispirato al precedente. “Tutto ciò che so circa la dinamica, la composizione e la trasmissione della danza jazz viene da Jack Cole e della conoscenza che ho acquisito osservando i grandi artisti come Marta Graham e di molti suoi allievi” (Mattox 2002).

Piuttosto che di “Danza Jazz”, Matt Mattox preferiva parlare di “Free Style” (Stile Libero), poiché  più rappresentativo del suo bisogno di totale libertà d’espressione. “Io preferisco pensare a questo particolare tipo di movimento come uno stile libero. La parola “libero” perché io posso scegliere, indipendentemente dal tipo di movimento che io voglia fare, un’inclinazione della testa, un flick del polso o una contrazione del corpo. La parola “stile” perché posso scegliere il movimento che desidero: indiano, flamenco, contemporaneo del XIX secolo, moderno, vaudeville, danze popolari, etniche, una miscela di tutto questo” (Mattox 2002).

Costruita su una progressione di esercizi che lui chiamava “la Barre”, il metodo di Matt Mattox mette l’accento sull’isolazione, la segmentazione, la coordinazione, la poliritmia delle differenti parti del corpo, il rilassamento – le mani sono “naturali” e senza tensione –, la concentrazione e l’intelligenza cinestetica. “Ho essenzialmente due obiettivi: insegnare a concentrarsi e trasmettere la conoscenza della tecnica… Vorrei sviluppare l’intelligenza del corpo evitando gli automatismi. La conoscenza del vocabolario classico e la padronanza delle difficoltà sono assolutamente necessarie... Nei miei corsi avanzati, la difficoltà principale è quella di seguire un ritmo sempre più rapido” (Mattox 2002).

Il corpo come strumento perfetto di cui avere la totale padronanza è un altro elemento fondamentale nella concezione di Mattox: se il corpo non è in condizione, la danza non può essere bella. Egli esigeva che i suoi studenti si superassero, obbligandoli “ad abbandonare se stessi”; nessun gesto è mai gratuito: si conosce il perché lo si fa, le conseguenze visive che ha, i riferimenti pittorici e scultori che sono alla base, per ottenere così una differente qualità di dinamica nella sua esecuzione.

La musica è vista come fonte di ispirazione: “Quando inizio ad ascoltare una melodia – dichiarava Mattox nel 2002 - è lei a dettare i movimenti che devo trovare in tutto il mio bagaglio tecnico” . Il rapporto tra danza e musica era per lui essenzialmente ritmico, la pulsazione forte e regolare era la caratteristica preponderante ai fini della scelta in quanto riteneva fosse fondamentale per lo sviluppo della conoscenza armonica dell’allievo. La maggior parte dei coreografi, danzatori e insegnanti americani hanno frequentato dei corsi di claquettes durante l’infanzia, una disciplina che è assolutamente oscura a molti danzatori italiani e che potrebbe essere di grande aiuto nella comprensione di ciò che gli americani chiamano il “ritmo jazz”.

Ho compreso il ritmo jazz grazie all’ascolto della musica jazz. Esso è, per dare una definizione semplice, il ritmo che contrasta con una base ritmica regolare, che deve apparire elegantemente nella coreografia, che voi chiamate beat o groove nella musica, con degli accenti che vengono portati volontariamente contro la regolarità di quello di base. Il danzatore come il musicista segue la pulsazione, si allontana e ritorna” (Siegenfeld 2002).

Il sistema di esercizi precisi, chiari ed estremamente stimolanti di Matt Mattox trascendono la danza jazz e formano un ballerino multidisciplinare. “Poco importa che voi siate un danzatore classico, un danzatore di claquettes o di danza moderna, più flessibili sarete nella conoscenza di queste tecniche maggiormente specialisti sarete” (Mattox 2002).

La capacità di comprendere e trasmettere le emozioni profonde che ci animano - come la rabbia, la felicità, la gioia, la sessualità, la sensualità, l’egoismo, la volgarità (ma senza essere volgari), la follia e tutto quello che risiede in noi – è per Mattox un insegnamento necessario da trasmettere ai propri allievi. Egli sosteneva fosse indispensabile farlo senza essere inibiti da sentimenti di colpa o di autocoscienza: provava a dimostrare che per divenire un danzatore completo bisognava anche essere un attore o un’attrice... Fatto ciò, il ballerino avrebbe provato una tale libertà, una tale gioia di esprimersi, che sarebbe diventata una passione da sperimentare il più spesso possibile. Tentava di far capire loro come si può guardare senza vedere, ascoltare senza sentire, pensare senza concentrarsi, danzare con la tecnica senza cercare di trovare l’emozione necessaria alla realizzazione del movimento. Si può ascoltare la musica senza associare il movimento che si fa. Il suo ruolo era quello di renderli coscienti di questa mancanza di relazione. Si sforzava di mostrare che nulla è impossibile. Tutto è possibile. Tutto dipende dalla capacità dei professori di sperimentare cose nuove cercando all’interno della propria tecnica affinché gli studenti facciano progressi di volta in volta sempre più grandi.

La danza jazz per Matt era animale, violenta, romantica, sensuale e sessuale. Porta alla liberazione e, contemporaneamente, al controllo di tutti i riflessi emozionali e di tutte le passioni. Dà la vita!

 

 

 


 

Bibliografia

 

Seguin E. (2003), Histoire de la danse jazz, Paris, Ed. Chiron

Goodman K. M., Pryor E. (2005), Jump into Jazz, New York, Ed. Mac Graw Hill

 

Nell'immagine: Matt Mattox nei pannni di Caleb Pontipee durante la lavorazione del musical "Sette spose per sette fratelli" (1954)

 

Autore:

Gianni Mancini: Docente di Tecnica della Danza Moderna e Classica presso il Liceo Coreutico e Teatrale “G. Erba" di Torino. Docente Formatore IDA.

 

 

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Vito Mazzeo, primo ballerino del Dutch National Ballet

Giovedì, 20 Dicembre 2018 15:30 Scritto da

Nato a Vibo Valentia nel 1987, Vito Mazzeo è attualmente il primo ballerino del Dutch National Ballet, ultima tappa di una carriera internazionale iniziata dopo il diploma in danza classica e contemporanea ottenuto con il massimo dei voti alla Scuola di Ballo del Teatro La Scala, risultato unico dai tempi dell'istituzione del doppio percorso disciplinare. Un esito che Vito Mazzeo commenta con innata modestia all’inizio di una lunga e interessante intervista rilasciata a Expression Dance Magazine: “Avendo un fisico atipico, ma anche un carattere atipico, ho dovuto per cause di forza maggiore essere un ballerino eclettico. Credo che mi annoierei ad avere un etichetta come danzatore: ho spaziato da Basilio a Gamache a Dawson e Macmillan per finire con il Teatro Danza di Sasha Waltz, sono stato fortunato ma l’ho anche desiderato tanto: lavorare il più possibile con i coreografi in una creazione era il mio primo obiettivo, e questo generalmente è molto apprezzato”. 

Non ricorda esattamente come e quando si sia avvicinato alla danza, ma sa esattamente cosa lo abbia spinto ad intraprendere seriamente questa professione, ovvero “una Manon con Guillem e Murru”.

Ripercorrendo insieme i momenti più importanti del suo percorso artistico Vito ha dichiarato: “Non ho scelto di ballare all'estero ma è stata una bellissima forzatura: in Italia non c'erano audizioni fino al diploma e non mi volevo trovare senza lavoro, soprattutto perché raggiungevo l’agognato traguardo con un anno di anticipo, quindi ancora minorenne, e questo complicava le cose. Il nostro Paese – continua - mi offriva contratti a singhiozzo, e sinceramente non ho nemmeno mai visto un reale interesse da parte del Teatro della mia Scuola di Ballo (allora erano due istituzioni molto distaccate). Ho incominciato così a fare audizioni: a novembre allo Stuttgart Ballet e, agli inizi del maggio successivo, al Royal Ballet di Londra”.

E proprio quest’ultima occasione si è rivelata quella giusta, il vero trampolino di lancio di una carriera in continua ascesa. Un’esperienza che Vito ricorda con commozione e profonda gratitudine: “Anche se per i primi due mesi ho tenuto i candelabri sul fondo della scena, stiamo parlando del Royal Ballet del 2005, il che significa trovarsi improvvisamente di fronte a Guillem, Cope, Cojocaru, Kobborg, Bussel, Galeazzi, Acosta e posso andare avanti per ore. È naturale che sia stato difficile ma a 13 anni di distanza posso affermare con certezza che ho fatto la scelta giusta andando al Royal. Dopo la fine della Scuola ero pronto tecnicamente, tuttavia avevo bisogno di trovare un’identità stilistica, un Marchio, e quello della danza inglese mi è piaciuto immediatamente. Sono stato anche molto fortunato: a 18 anni mi sono ritrovato a lavorare alla creazione di Chroma con McGregor, balletto che ad oggi è nelle compagnie di mezzo mondo, e poi le prove di Stravinsky Violin Concerto con Darcey… insomma valeva la pena reggere il candelabro!”.

Come ballerino dalla comprovata esperienza internazionale – dal citato Royal Ballet di Londra al San Francisco Ballet fino alle performance all’Hong Kong Ballet e all’attuale  ruolo al Dutch National Ballet di Amsterdam – Mazzeo ha un’idea ben precisa su come appaia il nostro Paese oltre confine: “L’Italia è un Paese complicato – confida -, la prima cosa che affascina lo straniero è la sua stratosferica bellezza, poi però entrano in gioco i luoghi comuni, talvolta tristemente veri. La realtà è che, almeno nel nostro settore,c'è un’eccessiva presenza di burocrazia. Sul lato pratico il guadagno percepito da un ballerino professionista è circa lo stesso, poi, in genere, quando si diventa Primi Ballerini si negozia con il manager della compagnia lo stipendio annuale. Un punto a favore dell’Italia – aggiunge Mazzeo - è l’attuale buona possibilità di entrare a far parte in pianta stabile di un Teatro, questo comporta un buon stipendio e la pensione prima dei 50 anni; situazione completamente differente dalla mia in quanto il mio diritto alla pensione partirà dai 67anni come tutti i lavoratori”.

Realista e pragmatico, Vito Mazzeo si mostra concreto anche quando si abbandona alle emozioni e ai ricordi professionali legati alla sfera personale.

“Come spiegavo prima, l’esperienza al Royal Ballet penso sia stata la più formativa nel mio percorso poiché ha suscitato in me il giusto atteggiamento, rivelatosi utile in molte altre occasioni, a cominciare dalla successiva esperienza al San Francisco Ballet. La professionista che invece più di ogni altra persona ha avuto un ruolo decisivo nella mia carriera è Carla Fracci. Sono stato sotto la sua direzione per due anni e mezzo e mi ha lasciato un’enormità di insegnamenti che custodisco e mi accompagnano ogni giorno, in sala e sulla scena. In merito al ruolo più bello da me interpretato non posso fare una scelta univoca: indossare i panni di Romeo è stato emozionante, non solo per il personaggio ma anche per l’estrema bellezza della musica, allo stesso tempo ho amato moltissimo anche  interpretare Mercuzio. È veramente difficile scegliere sia il balletto che la ballerina preferita, cambia dal momento che si sta attraversando e dal tipo di rapporto che si è instaurato con la danzatrice. Sul fronte dei rapporti interpersonali tra colleghi non ho mai portato avanti amicizie nate dietro le quinte. Sono sempre stato legato a persone che non fanno questo mestiere; mentre con gli altri ballerini ho un rapporto distaccato, gioviale ma niente di più. Poi è naturale che ci siano delle persone conosciute nelle varie esperienze che sono rimaste nella mia vita aldilà della danza. La mia è stata una scelta precisa: una compagnia di danza è come una piccola società  in cui c'è ‘il buono’, ‘il cattivo’, ‘il simpatico’, ‘l'antipatico’ e via dicendo, esattamente come in tutti gli ambienti di lavoro… Il fatto di essere straniero è pesato molto in alcuni periodi, ma l’ho presa con filosofia senza farne un problema, e credo che in un certo senso mi abbia tutelato da certe dinamiche interne”.

Il cuore di Vito si scioglie parlando della vita privata: “L' unico vero sacrificio legato a questa splendida professione che amo tantissimo è non avere il mio compagno accanto a me; per il resto sono stato davvero fortunato: non ho mai seguito una dieta, anche se cerco di mangiare bene, e non mi sono mai pesati i ritmi incalzanti della compagnia”. Davanti a questa risposta la domanda sorge spontanea: come è scandita la quotidianità di un Primo Ballerino del Duch National Ballet? “Durante una mia giornata tipo – risponde gentilmente Mazzeo – trascorro la maggior parte del tempo in sala, le lezioni sono dalle 10 del mattino fino alle 6 del pomeriggio; se ho spettacolo la sera finisco di lavorare alle 4, poi nel mezzo ci sono gli aerei, gli hotel, le città da visitare… Faccio un lavoro faticoso ma talmente bello che ne vale la pena!”.

Parlando del futuro Vito Mazzeo non si sbilancia: “Non lo so, non dico nulla. Non vorrei trovarmi nella spiacevole situazione che qualcuno mi accusasse di non aver rispettato quanto dichiarato in precedenza circa il mio ritiro dalle scene”; ma sul sogno nel cassetto è preciso: “Ciò che vorrei è possedere una statua di un ‘Cavallo e Cavalieri’ di Marino Marini.

E se non avesse fatto il ballerino? “Avrei fatto il giocatore di basket anche se il mio compagno, di professione coach di pallacanestro, non è molto d'accordo con la mia dichiarazione!”, conclude scherzoso Mazzeo. 

 

Nell'immagine: Vito Mazzeo in "Shape". © Dutch National Ballet. Foto di Angela Sterling

 

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Nuove norme CONI: valuta il tuo Diploma allo stand IDA a Danzainfiera

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Sei un'insegnante e hai conseguito diplomi con altre federazioni o associazioni?

Grazie ad IDA puoi ricevere una valutazione gratuita della validità dei titoli in base alla Legge di Bilancio 2018 e le nuove norme CONI, entrate in vigore dal 1° gennaio 2018.

Come da convenzione nazionale con ASI/CONI, infatti, l’International Dance Association permette ai suoi Soci di convertire i propri documenti ed ottenere il Diploma ASI/CONI e il Tesserino di Tecnico Nazionale di Danza Sportiva ASI/CONI in conformità alle nuove normative.

Tale possibilità viene resa ancora più immediata in occasione della partecipazione a DanzainFiera di Firenze! Porta con te il diploma conseguito (o una sua copia) e a fronte della quota associativa ti verrà immediatamente trasformato in Diploma ASI/CONI e ti sarà rilasciato il relativo Tesserino Tecnico così da essere in regola con le attuali disposizioni.

IDA International Dance Association sarà presente al Padiglione "Spadolini", piano Attico, spazio Q17, nell’ambito della storica manifestazione DanzainFiera in programma all’interno dell’impianto fieristico di Fortezza da Basso di Firenze dal 21 al 24 febbraio 2019.

Vieni a trovarci e ricevi una copia gratuita di Expression Dance Magazine!

Non potrai essere presente in fiera? Nessun problema, compila questo form sul sito e inviaci i tuoi diplomi per usufruire del servizio di convalida.

 

 

 

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