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Matt Mattox, Free Style Jazz Dance

Matt Mattox, Free Style Jazz Dance

 

Nato nel 1921 in Oklahoma, Matt Mattox iniziò a danzare all’età di undici anni. Dapprima si accostò alle claquettes incominciando a padroneggiare tecnica e ritmo; in seguito scoprì la danza classica, che gli conferì fluidità, bellezza, rigore e precisione.

Un background importante che diede a Matt, appena ventiduenne, gli strumenti necessari per muovere i primi passi nel mondo dorato dell’industria cinematografica come “danzatore di riserva”. Negli anni che seguirono lavorò con professionisti e coreografi di elevata caratura ma la vera svolta fu l’incontro con Jack Cole che lo introdusse a forme nuove di danza a lui allora sconosciute. E grazie agli insegnamenti di Cole in danza moderna, danza popolare russa, danza indiana e flamenco, Matt Mattox intraprese un lungo percorso che lo portò a diventare il famoso coreografo che oggi apprezziamo.

Lo stile di Matt Mattox era basato su quello “fluido e animale” di Jack Cole. Una danza dettagliata, precisa, nella quale si trovava l’equilibrio, la flessibilità, la rapidità, la potenza, la purezza delle linee. Era una danza di controllo e scultorea. La padronanza della tecnica era condizione necessaria per approcciarla.

Mattox fu anche un grande insegnante. La sua carriera di docente iniziò nel 1956 quando, forte dell’approvazione del suo maestro, intraprese l’insegnamento della tecnica di Jack Cole. Qualche anno dopo, egli creò un proprio metodo interamente ispirato al precedente. “Tutto ciò che so circa la dinamica, la composizione e la trasmissione della danza jazz viene da Jack Cole e della conoscenza che ho acquisito osservando i grandi artisti come Marta Graham e di molti suoi allievi” (Mattox 2002).

Piuttosto che di “Danza Jazz”, Matt Mattox preferiva parlare di “Free Style” (Stile Libero), poiché  più rappresentativo del suo bisogno di totale libertà d’espressione. “Io preferisco pensare a questo particolare tipo di movimento come uno stile libero. La parola “libero” perché io posso scegliere, indipendentemente dal tipo di movimento che io voglia fare, un’inclinazione della testa, un flick del polso o una contrazione del corpo. La parola “stile” perché posso scegliere il movimento che desidero: indiano, flamenco, contemporaneo del XIX secolo, moderno, vaudeville, danze popolari, etniche, una miscela di tutto questo” (Mattox 2002).

Costruita su una progressione di esercizi che lui chiamava “la Barre”, il metodo di Matt Mattox mette l’accento sull’isolazione, la segmentazione, la coordinazione, la poliritmia delle differenti parti del corpo, il rilassamento – le mani sono “naturali” e senza tensione –, la concentrazione e l’intelligenza cinestetica. “Ho essenzialmente due obiettivi: insegnare a concentrarsi e trasmettere la conoscenza della tecnica… Vorrei sviluppare l’intelligenza del corpo evitando gli automatismi. La conoscenza del vocabolario classico e la padronanza delle difficoltà sono assolutamente necessarie... Nei miei corsi avanzati, la difficoltà principale è quella di seguire un ritmo sempre più rapido” (Mattox 2002).

Il corpo come strumento perfetto di cui avere la totale padronanza è un altro elemento fondamentale nella concezione di Mattox: se il corpo non è in condizione, la danza non può essere bella. Egli esigeva che i suoi studenti si superassero, obbligandoli “ad abbandonare se stessi”; nessun gesto è mai gratuito: si conosce il perché lo si fa, le conseguenze visive che ha, i riferimenti pittorici e scultori che sono alla base, per ottenere così una differente qualità di dinamica nella sua esecuzione.

La musica è vista come fonte di ispirazione: “Quando inizio ad ascoltare una melodia – dichiarava Mattox nel 2002 - è lei a dettare i movimenti che devo trovare in tutto il mio bagaglio tecnico” . Il rapporto tra danza e musica era per lui essenzialmente ritmico, la pulsazione forte e regolare era la caratteristica preponderante ai fini della scelta in quanto riteneva fosse fondamentale per lo sviluppo della conoscenza armonica dell’allievo. La maggior parte dei coreografi, danzatori e insegnanti americani hanno frequentato dei corsi di claquettes durante l’infanzia, una disciplina che è assolutamente oscura a molti danzatori italiani e che potrebbe essere di grande aiuto nella comprensione di ciò che gli americani chiamano il “ritmo jazz”.

Ho compreso il ritmo jazz grazie all’ascolto della musica jazz. Esso è, per dare una definizione semplice, il ritmo che contrasta con una base ritmica regolare, che deve apparire elegantemente nella coreografia, che voi chiamate beat o groove nella musica, con degli accenti che vengono portati volontariamente contro la regolarità di quello di base. Il danzatore come il musicista segue la pulsazione, si allontana e ritorna” (Siegenfeld 2002).

Il sistema di esercizi precisi, chiari ed estremamente stimolanti di Matt Mattox trascendono la danza jazz e formano un ballerino multidisciplinare. “Poco importa che voi siate un danzatore classico, un danzatore di claquettes o di danza moderna, più flessibili sarete nella conoscenza di queste tecniche maggiormente specialisti sarete” (Mattox 2002).

La capacità di comprendere e trasmettere le emozioni profonde che ci animano - come la rabbia, la felicità, la gioia, la sessualità, la sensualità, l’egoismo, la volgarità (ma senza essere volgari), la follia e tutto quello che risiede in noi – è per Mattox un insegnamento necessario da trasmettere ai propri allievi. Egli sosteneva fosse indispensabile farlo senza essere inibiti da sentimenti di colpa o di autocoscienza: provava a dimostrare che per divenire un danzatore completo bisognava anche essere un attore o un’attrice... Fatto ciò, il ballerino avrebbe provato una tale libertà, una tale gioia di esprimersi, che sarebbe diventata una passione da sperimentare il più spesso possibile. Tentava di far capire loro come si può guardare senza vedere, ascoltare senza sentire, pensare senza concentrarsi, danzare con la tecnica senza cercare di trovare l’emozione necessaria alla realizzazione del movimento. Si può ascoltare la musica senza associare il movimento che si fa. Il suo ruolo era quello di renderli coscienti di questa mancanza di relazione. Si sforzava di mostrare che nulla è impossibile. Tutto è possibile. Tutto dipende dalla capacità dei professori di sperimentare cose nuove cercando all’interno della propria tecnica affinché gli studenti facciano progressi di volta in volta sempre più grandi.

La danza jazz per Matt era animale, violenta, romantica, sensuale e sessuale. Porta alla liberazione e, contemporaneamente, al controllo di tutti i riflessi emozionali e di tutte le passioni. Dà la vita!

 

 

 


 

Bibliografia

 

Seguin E. (2003), Histoire de la danse jazz, Paris, Ed. Chiron

Goodman K. M., Pryor E. (2005), Jump into Jazz, New York, Ed. Mac Graw Hill

 

Nell'immagine: Matt Mattox nei pannni di Caleb Pontipee durante la lavorazione del musical "Sette spose per sette fratelli" (1954)

 

Autore:

Gianni Mancini: Docente di Tecnica della Danza Moderna e Classica presso il Liceo Coreutico e Teatrale “G. Erba" di Torino. Docente Formatore IDA.

 

 

© Expression Dance Magazine - Dicembre 2018

 

 

 

 

 

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