Le tecniche del Project Management aiutano nella gestione dei progetti complessi attraverso la definizione di “processi” che, se sviluppati in modo coordinato e logico, ci consentono di determinare gli obiettivi, di pianificare le attività, di realizzare il nostro progetto, di chiuderlo e di controllarlo periodicamente per verificare la corrispondenza tra quanto ipotizzato e quanto venga realizzato. Ma cosa si intende esattamente per progetto? Un progetto viene definito come l’impegno a produrre un risultato specifico entro una certa data e in un certo tempo, con azioni scandite in tappe chiare e gestibili, più in generale un progetto è una gestione sistematica di un’attività complessa, unica, con un inizio e una fine predeterminate, che viene svolta con risorse organizzate, mediante un processo continuo di pianificazione e controllo per raggiungere degli obiettivi predefiniti, rispettando vincoli interdipendenti di costo, qualità e tempo. Seguendo questa definizione è importante comprendere come anche il nostro spettacolo possa essere considerato non solo uno spettacolo ma la parte di una più ampia strategia che è la gestione di progetto.
In termini pratici in che modo la gestione di progetto ci può aiutare nell’organizzazione dei nostri spettacoli? I punti cardine della gestione di progetto a prima vista possono sembrare scontati ma secondo il Project Management ci aiuta gestire al meglio il progetto del nostro spettacolo:
- avere una visione sistematica
- chiarire ruoli e responsabilità
- comunicare e capirsi evitando il conflitto tra tutti coloro che partecipano al progetto
- saper coordinare
- chiudere il progetto e capirne sia gli aspetti positivi che gli aspetti critici
Una volta che abbiamo ben chiara quindi la visione sistematica, a 360 gradi, del nostro progetto di spettacolo (inizio, svolgimento e fine proprio come un tema) saremo anche in grado di pianificare e di valutare con il coordinatore generale e gli eventuali altri coordinatori se la nostra idea possiede un buon grado di fattibilità (riusciamo a realizzare il nostro sogno o non abbiamo le maestranze adatte? oppure non abbiamo il budget sufficiente?) e riusciremo pianificare le azioni previste dalla creazione e relativa organizzazione in modo che le stesse si possano verificare. Per questo risulta fondamentale capire sin dall’inizio chi possa rivestire la figura del coordinatore di progetto che deve sempre cercare di evitare il conflitto ed essere super partes…
Un consiglio: se ti senti troppo coinvolto nella parte ideativa meglio coinvolgere un’altra persona fidata che possa aiutarti nella realizzazione delle azioni previste e in modo che ci sia un continuo controllo rispetto al risultato finale e ai risultati di medio periodo (per esempio responsabile team organizzativo, responsabile team tecnico, etc…). In linea generale se sei tu il coordinatore o deleghi questa funzione tieni sempre alto l’ascolto e con creatività costante immagina e sviluppa soluzioni, cerca di essere elastico ed essere sempre di buon umore: un ottimo coordinamento riuscirà a creare un clima sereno e pieno di collaborazione.
Alla fase di esecuzione occorre poi tenere sempre attiva un’azione di controllo e quando concludo lo spettacolo oltre a ringraziare tutti gli attori coinvolti risulta molto importante capire se ci sono stati dei punti di fragilità così da non ripeterli nella prossima organizzazione e pensare anche a come poter diffondere il nostro progetto artistico per far sì che non rimanga una produzione “senza storia”.
La metodologia del Project Management, in aggiunta alle linee guida, ci fornisce anche diversi strumenti pratici che sono davvero molto utili quando decidiamo di organizzare e gestire il nostro spettacolo per non rischiare di perdere tempo inutile:
- darsi i tempi anche per creare l’idea del nostro progetto artistico e, salvo rare eccezioni, cercare di non cambiare l’idea che sarà il caposaldo della nostra gestione di progetto
- creare una checklist in cui fissare il “to do list” delle cose da fare per organizzare la nostra idea (semplicemente elenchiamo tutte le azioni che pensiamo che dovremo attuare e, come nella lista della spesa, man mano spuntiamo le azioni svolte)
- creata la checklist inseriamola in un sistema temporale così che possiamo visualizzare le azioni in un limite di tempo che possiamo controllare
- creare delle milestones (pietre miliari) per controllare e verificare periodicamente che le nostre azioni siano state realizzate verificando in corso d’opera il rispetto dei tempi, dei costi, delle specifiche e della qualità del progetto (rispondendo a delle domande, come ad esempio: è stato ordinato il costume ed è pronto entro un mese dalla rappresentazione?)
Per rappresentare a livello grafico queste indicazioni nella gestione di progetto ci aiutano molto alcuni modelli che, se correttamente utilizzati, possono diventare dei veri alleati della nostra organizzazione:
Il diagramma di Gantt (così chiamato in ricordo dell'ingegnere statunitense Henry Laurence Gantt) che è costruito partendo da un asse orizzontale, rappresentazione dell'arco temporale totale del progetto, suddiviso in fasi incrementali (ad esempio, giorni, settimane, mesi) e da un asse verticale a rappresentazione delle mansioni o attività che costituiscono il progetto (in quali giorni del calendario compio un’azione?)
Il diagramma di Pert (Project evalutation and review technique) che è invece uno strumento volto alla programmazione delle attività che compongono il progetto e, più in generale, alla gestione degli aspetti temporali di quest'ultimo (quanti giorni ci metto per compiere un’azione?).
Per approfondire:
La gestione dei progetti di spettacolo. Elementi di project management culturale. Nuova edizione di Lucio Argano, Ed. Franco Angeli
© Expression Dance Magazine - Ottobre 2020
Scrivere la danza, descrivere un movimento legandolo indissolubilmente a una musica. Sentire, percepire, comunicare e veicolare col proprio corpo un messaggio.
Ma come nasce una coreografia? Quali sono gli stimoli, le immagini che conducono uno “scrittore” della danza a una nuova composizione? Molto spesso, quando ci ritroviamo davanti a una coreografia viene spontaneo chiedersi quale flusso abbia condotto il coreografo a una determinata costruzione. Spesso rimaniamo rapiti dalla coerenza di ciò che vediamo e ciò che ascoltiamo, tanto che ci sembra di dare un “volto” alle note; la musica sembra “scolpita” su un movimento, tradotta nel perfetto equilibrio tra sonorità e corposità.
In un’intervista fiume a Emanuela Tagliavia e al compositore Giampaolo Testoni — comparsa su "Sipario" — proprio legata a questa tematica, la coreografa e insegnante di danza contemporanea per importanti accademie nazionali, come la Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala e la Scuola Civica Paolo Grassi, ha condiviso con noi un punto di vista molto interessante e completo sulla creazione di una coreografia in relazione alla musica scelta per essa, ma in particolare in relazione al mondo circostante.
Emanuela, sempre alla ricerca di nuovi stimoli, riproduce la sua vera identità nei suoi lavori, unendo coerentemente il suo IO e la sua arte.
Secondo la coreografa, costruire coreografie non vuole e non può essere un lavoro di mero montaggio, ma mira ad essere un incontro tra più elementi, un incontro tra formazione ed esperienze di vita, un incontro tra persone diverse tra loro, protagoniste del percorso di costruzione, con la propria personalità e la propria tecnica.
In ogni lavoro è innegabile il ritorno di gestualità che raccontano lo stile del coreografo, ma come spiega la coreografa, è fondamentale vedere il tipo di danzatore presente, lavorare con lui, su di lui, fondendo lo stile del coreografo alla fisicità del danzatore in questione. Ogni coreografia è un mondo a sé, dove si distingue sempre, in parte, lo stile del coreografo, il quale subisce inevitabilmente l’influenza del contesto e del protagonista della coreografia.
Da qui, effettivamente possiamo partire nel comprendere il processo di composizione, che può valere nella danza come nella musica: prendere un movimento e saperlo gestire in un insieme unico e armonioso di corpi.
Sicuramente sviluppare una coreografia comporta la connessione di elementi ed esperienze, un viaggio nel viaggio, durante il quale ricercare contenuti, farli propri; Emanuela Tagliavia, infatti, definisce la sua danza come una “danza evocativa”, data dalla sua esperienza come danzatrice e donna che vive.
Ritiene, infatti, fondamentale per un coreografo, così come per un maestro non perdere, nel percorso, la propria identità, il proprio essere nel mondo, le proprie percezioni, il proprio pensiero. La costruzione di una coreografia porta con sé immagini personali tradotte su un piano generale, il lavoro di un danzatore e di un coreografo si pone quindi come ricerca della propria dimensione, del proprio corpo in rapporto col mondo. Noi stessi viviamo in una realtà in divenire, in continua evoluzione e, per creare nuove coreografie, il coreografo non può prescindere da ciò, deve sempre misurarsi con le sfide che la quotidianità pone sul piatto, talvolta sfruttandole per giungere a un’idea nuova, per sviluppare una nuova scrittura.
Emanuela si ispira costantemente all’arte nelle sue diverse forme, come può essere un dipinto o un libro, e ritiene fondamentale la propria sete di conoscenza.
Senza connessioni con altre forme d’arte e senza ricerca nell’esperienza vissuta, la scrittura della coreografia perderebbe senza dubbio parte della sua linfa: limitarsi a un settore, chiudendolo in compartimenti stagni, non solo penalizzerebbe la crescita personale, ma porrebbe in una situazione di enorme svantaggio tutto il movimento della danza.
© Expression Dance Magazine - Ottobre 2020
In un mondo caratterizzato dal classismo nei diversi ambiti, dalla gerarchizzazione dei ruoli e dalla ghettizzazione etnica, piccoli miracoli concedono a noi il privilegio di ricredere, ripensare, ridisegnare. Quotidianamente abbiamo la possibilità di assistere sempre a questi piccoli miracoli, abbiamo la possibilità di comprenderli o no ed è qui che dobbiamo focalizzare l’attenzione. Dobbiamo concentrarci e cominciare a capire che nell’abisso di informazioni condivise sui social, “un battito d’ali” nella nostra vita, potrebbe dare il via ad una serie di eventi unici.
Ogni giorno, ogni persona può essere un miracolo; ogni giorno ogni persona può riscoprire il valore di una parola, di un gesto, di un talento, di un’idea, di un progetto. Sta a noi rendere questo piccolo miracolo fruibile o meno, condividendo un sorriso, un paesaggio, un progetto o una semplice danza. Nella condivisione abbiamo oggi uno strumento davvero potentissimo, un gesto immediato, talvolta banale, molto spesso ben pensato, ma il più delle volte, impulsivo e, quasi sempre, sottovalutato. Un gioco, un’idea, ed eccolo lì, quel piccolo miracolo che, se condiviso, può creare un’onda, ripercussioni, conseguenze ed, in alcuni casi, un futuro.
Il piccolo miracolo, nella condivisione, ha trovato il modo di cambiare non solo una vita, forse addirittura un movimento, quello della danza in Africa.
Parliamo di danza, noi che quotidianamente cerchiamo nuove vie per dare spazio e voce a quest’arte, un’arte che spesso si ritrova nei sogni di giovani provenienti da ogni angolo di questo pianeta. Purtroppo però, anche in quest’arte, ritroviamo le ghettizzazioni caratterizzanti tutte le sfere della società. Oggi più che mai, in questo difficile momento storico, dove la lotta fra poveri e la lotta di classe hanno ripreso piede nelle società occidentali, il punto di vista eurocentrico sul mondo sembra l’unico valorizzato dai media.
Proprio partendo da questo presupposto e in un contesto dove la danza classica, la danza accademica dell’alta borghesia, è collegata a disciplina, ordine e rigore, difficilmente riusciremmo ad immaginarla in un continente come l’Africa, un continente sconosciuto ai più, ancora visto come povero, selvaggio e caratterizzato da danze tribali e ritmi tamburellanti.
Difficile immaginare nel bel mezzo dei palazzi della città più popolosa d’Africa, la nigeriana Lagos, la nascita di un piccolo miracolo o forse sarebbe meglio definirla una piccola “etoilè”.
In una stanza della casa di un insegnante autodidatta, Daniel Owoseni Ayala, nasce nel 2017 un’Accademia, la Leap Of Dance Academy. Daniel, appassionato di danza classica, decide di mettere a disposizione di giovani del quartiere la sua arte, senza chiedere nulla in cambio, se non passione e ambizione. Le difficoltà economiche in Nigeria (come nella maggior parte dei Paesi africani) non mancano, ma un’altra cosa non manca, la voglia di fare. La Nigeria oggi è una culla di start-up, tanti sono i giovani che, anche senza strumenti, si pongono con creatività nei confronti delle proprie sfide, e Daniel è uno di questi. È storia di questi ultimi mesi, la condivisione del suo piccolo miracolo. Un paio di mesi fa ha infatti deciso di utilizzare i social della scuola per mostrare il talento dei suoi piccoli danzatori e, in particolare, ha deciso di mostrare un suo allievo che danzava felice sotto la pioggia. A piedi scalzi, come noi europei continuiamo ad immaginare i poveri del continente nero, ma non in una danza rituale a favor di camera, bensì in splendide pirouettes.
Il video della danza sotto la pioggia di Anthony, giovane ballerino di 11 anni, in pochissimi giorni ha viaggiato virtualmente per tutto il mondo e ha catturato l’attenzione dei più, non solo per il talento, innegabile, ma per le condizioni sfavorevoli, che hanno messo in evidenza la dedizione, la passione e il portamento del ballerino. In quel Paese, sebbene sia ricco di contraddizioni, abbiamo avuto dimostrazione che la disciplina e la danza dell’alta borghesia non possono e non devono essere prerogative di una classe: la danza è per tutti, professionisti o semplici amatori, in Europa, come in Africa.
Questo video ha colpito ed ha fatto il giro di tutti i continenti, ha aperto uno spiraglio per cominciare a ripensare, ridisegnare l’idea di danza nel mondo.
Daniel, grazie alla condivisione, ha dato visibilità a se stesso e alla piccola Accademia, ha portato tante donazioni e borse di studio per Anthony ed i suoi compagni.
Daniel ha condiviso cercando di comunicare al mondo intero “il valore dell’educazione della danza”, ha voluto mostrare anche ai vicini di casa che si domandavano cosa stesse facendo, che la danza non è solamente bella o brutta, tecnica o goffa, ha voluto far capire che per questi giovani interessarsi alla danza può significare molto al di fuori della sala e che avrebbe di certo portato effetti positivi nella loro vita.
Daniel, nella sua condivisione del piccolo miracolo, ha voluto anche sottolineare il grande percorso dei suoi alunni, nonostante spazi e strumenti non propriamente adeguati. Ora il mondo ha aperto gli occhi e grazie alle numerose donazioni Daniel potrà finalmente costruire una scuola adeguata, con condizioni ideali per sviluppare un progetto non per pochi, un progetto che darebbe un futuro alle nuove generazioni, regalando un sogno. Così questo giovane insegnante autodidatta, dopo aver compreso l’impatto del suo ruolo di insegnante nella vita dei suoi allievi, sta ora nutrendo la loro speranza.
"The future belongs to those who believe in the beauty of their dreams"
"Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni”, ma quanti davvero credono fino in fondo nella bellezza dei propri sogni? Quanti, giovani e meno giovani, provano davvero a raggiungere tale bellezza, inseguendo un sogno? Sono convinta che quella bellezza non sia nel sogno in sé, ma nel viaggio per raggiungerlo. Quella strada potrebbe offrire molto di più di quel sogno, lungo il percorso potrebbero arrivare sorprese inaspettate, ma in quanti sono davvero pronti a partire?
Abbiamo fatto una chiacchierata con Riccardo Battaglia, giovane danzatore ed insegnante che, nonostante la giovane età, ha già raccolto importantissime esperienze in compagnie, scuole e teatri, inseguendo un sogno, il suo.
Di dove sei e come hai scoperto il tuo amore per la danza?
Sono nato a Milano, cresciuto a Pescara. Ho sempre amato ballare già dall’età di 2 anni, mi muovevo con qualsiasi stile di musica! Ho però iniziato a prendere lezioni di danza a 8 anni.
Come conciliare danza e scuola, il valore dell'insegnante e dell'educazione alla danza nella vita?
Aspetti importanti della danza sono sicuramente la disciplina e lo spirito di sacrificio. Per questo motivo è sempre stato fondamentale, per me, impegnarmi al massimo a scuola, continuando a seguire più corsi di danza possibile. Non è stato facile, ho dovuto dire di no a qualche uscita con i compagni, a qualche passeggiata in centro con gli amici, a quella vita da teenager che tutti gli altri facevano, ma ne è valsa la pena alla grande. Sono riuscito a ottenere il diploma di liceo scientifico con 100 e lode, frequentando la scuola di danza sei giorni su sette.
A 23 anni mi è stato chiesto di entrare nel corpo docente della Ailey Extension, le lezioni aperte, per adulti, della Alvin Ailey. All’inizio ero molto intimorito dall’idea di non essere all’altezza, di essere troppo giovane, ma il direttore dell’Ailey II, la compagnia junior di cui facevo parte, mi aveva visto insegnare mentre eravamo in tour ed ha creduto in me. Quell’esperienza mi ha donato consapevolezza, ho capito di amare l’insegnamento e ho capito l’amore che provavo nel condividere la mia passione con gli studenti. Da quel momento in poi ho iniziato a fare lezione, da allievo, in maniera più attenta. Avere grandi insegnanti di danza da piccolo, veri maestri di vita, come Americo Di Francesco e Paolo Lancioni, ha sicuramente aiutato nella mia crescita e nello sviluppo di questa mia passione.
Da ballerino ritrovatosi in poco tempo dall’altra parte della sala, mi sento di dire spesso che il valore del maestro di danza è fondamentale, vitale per i futuri danzatori.
Hai partecipato al concorso Expression promosso da IDA: pensi che siano importanti questi concorsi sul piano nazionale ed internazionale?
Se non fosse stato per il concorso Expression, non sarei mai arrivato a raggiungere alcuni traguardi. È stato proprio lì che ricevetti la mia prima borsa di studio per l’Alvin Ailey, da Christopher Huggins, che quell’anno si trovava in giuria. La possibilità di farsi vedere e notare è estremamente importante per i giovani danzatori.
Un altro aspetto molto positivo dei concorsi è l’opportunità che si ha di esibirsi davanti ad un pubblico e di superare l’ansia da palcoscenico. Spesso non c’è tempo o spazio per le prove, tutto scorre molto velocemente ed è una preparazione perfetta per le situazioni che si possono incontrare da professionista.
Ho partecipato a tanti concorsi in Italia da ragazzino e ho visto e giudicato concorsi negli States, la competizione fa parte del nostro mondo, ma deve essere sempre e solo sana. Non si dovrebbe mai arrivare a rivalità tra scuole, ragazzi, genitori, dobbiamo comunque ricordare che si parla di arte e che il fine ultimo di tutti non è quello di portare a casa un premio, ma di creare arte bella e ricca di emozioni.
Quando hai cominciato a pensare all'America? Pensi sia una tappa fondamentale? Perchè proprio Stati Uniti? Parlarci un po’ del tuo percorso.
Ho sempre avuto il mito di New York. Sia per la danza che vedevo nei film e telefilm americani, a Broadway nei suoi musical, ma anche per la città in sé e per sé: nutrivo questo “sogno americano” sin da bambino. A 17 anni, per il Summer intensive all’Alvin Ailey School, fu la mia prima volta in America: ricordo intensamente il mio arrivo, il taxi preso all’aeroporto JFK in direzione Manhattan, lo skyline che si dipinge davanti agli occhi, reale, per la prima volta con le sue mille luci… ammetto che mi emoziona ancora tantissimo il pensiero. Quel corso estivo di sei settimane mi fece ancora di più innamorare, sia della scuola che della città.
Così, finito il liceo, ho provato a fare l’audizione per la scuola e mi hanno preso dandomi una borsa di studio integrale. Dopo due anni di scuola sono stato preso nella mia prima compagnia, Elisa Monte Dance, dove sono rimasto per una stagione. Facendo l’audizione poi sono entrato nell’Ailey II, la compagnia junior dell’Alvin Ailey, con cui ho lavorato e ballato in giro per il mondo per due anni. Una delle esperienze più belle della mia vita.
Non essendo stato preso subito per la prima compagnia mi sono rimboccato le maniche ed ho iniziato a fare tutti i lavori possibili che trovavo. Ho iniziato ad insegnare in quel momento ed in più lavoravo come host in un ristorante per arrotondare. Poi ho cominciato a ballare in diversi progetti con compagnie classiche e contemporanee, riuscendo anche ad essere scritturato da una grande agenzia per talenti, grazie alla quale ho preso parte a video e pubblicità, nell’ambito commercial, tra cui Swarovski, Kenzo, H&M e Monclair. Nel frattempo non smettevo di fare audizioni e casting, ne facevo 4-5 a settimana, ricevendo anche moltissimi “no”.
Dopo quasi due anni di questa vita, mi scrisse un messaggio il direttore di una compagnia di Chicago, Visceral Dance. Una mia amica ballava già nella compagnia e me ne aveva parlato bene. Mi offrì un contratto, che mi portò a lasciare New York e trasferirmi in un’altra città. Lo feci un po’ a malincuore, ma sentivo il bisogno di cambiare energia. A Chicago oltre a ballare in compagnia e in altri progetti, insegnavo anche a tempo pieno in due scuole tra cui la Joffrey Ballet Academy. Nei due anni di vita a Chicago non ho potuto sostenere l’audizione dell’Ailey, ma ho sempre cercato di tenermi in contatto e di fare lezione con loro quando erano in tour a Chicago. Questo fino a Novembre 2019, quando mi contattarono proprio dalla prima compagnia Alvin Ailey, avevano bisogno di un ballerino uomo per la stagione. È stato un sogno, danzare con loro, viaggiare per gli Stati Uniti, esibirsi con le loro stupende coreografie proprio per il 60esimo anniversario della compagnia. A fine contratto sono ritornato in Italia in cerca di lavoro, ed è arrivata un’opportunità dalla Germania, come artista ospite di un teatro stabile in Baviera, dove ho trascorso questi ultimi mesi.
Il sogno americano… cosa ha significato per te ballare nei teatri americani?
A volte faccio fatica a credere di aver ballato in così tanti teatri. Tra quelli che ricordo con più emozione ci sono il Joyce ed il Lincoln Center di New York, il Kennedy Center di Washington DC, il Fox Theater di Atlanta e l’Auditorium e l’Harris Theater di Chicago. Ma la cosa più bella in America è che i grandi teatri non sono solo nelle grandi città, ma anche in alcuni piccoli paesi e in alcuni campus universitari: hanno palchi enormi, platee da più di 3000 posti e crews tecniche preparatissime.
Poi il pubblico, sempre caloroso, sempre partecipe, non ha mai timore di applaudire ed emozionarsi con gli artisti sul palco, ti fanno sentire una vera e propria star!
Pensi sia una tappa fondamentale per la carriera di un danzatore fare un’esperienza negli States?
Non penso sia una tappa fondamentale per tutti, di opportunità per i danzatori ce ne sono tantissime anche in Europa e ne ho avuto la conferma con questa mia ultima esperienza, però un viaggio di studi a New York lo consiglio davvero.
Pensi sia importante per un ballerino italiano decidere di continuare la propria formazione all'estero?
In questo momento mi sento di dire di sì. In Italia ci sono scuole ed insegnanti fenomenali, che artisticamente formano molto bene, ma se ci sono le possibilità consiglio sempre di fare un’esperienza fuori. Aiuta a maturare e confrontarsi con una realtà diversa, una lingua diversa, culture diverse. Come si dice in America, “step out of your comfort zone”.
Hai mai pensato di continuare il tuo percorso in un "ambiente non convenzionale"? Parlo di Asia o Africa?
Non mi pongo dei limiti, mai dire mai. Dopo 9 anni in America, un’esperienza di 7 mesi in un teatro in Germania e qualche lavoro in Italia, il mondo della danza in Asia ed Africa mi affascina molto e mi piacerebbe conoscerne di più. Se si dovesse presentare l’occasione di imparare da persone di altri continenti lontani e di connettersi tra artisti, sicuramente potersi esibire per un altro pubblico sarebbe stupendo.
Progetti per il futuro?
Purtroppo mi è un po’ difficile rispondere a questa domanda. Non mi è possibile, per ora, tornare negli States, quindi sto vedendo come muovermi in Italia. Spero di poter insegnare in scuole italiane in queste prossime settimane, per poter condividere le mie esperienze all’estero con i giovani danzatori in Italia.
Sono riuscito a raggiungere molti obiettivi che mi ero prefissato, ma me ne pongo sempre altri, nuovi. So che voglio tornare a New York, di questo ne sono certo. Ora sto prendendo anche lezioni di canto per poter partecipare ad un musical perché uno dei miei sogni è sicuramente Broadway.
Sono mesi particolari, abbiamo chiuso nel cassetto i passaporti, limitato gli spostamenti ed i viaggi. Siamo stati costretti a mettere in “stand by” alcuni progetti e, in alcune circostanze, a riprendere totalmente in mano la nostra vita, cambiandole direzione. Come Riccardo, molti di noi avrebbero voluto proseguire un percorso, in una realtà che fino a poco tempo fa si mostrava ben diversa da ciò che stiamo vivendo. Inseguire sogni non è mai facile, ma con la consapevolezza di oggi, sappiamo che era forse un pochino più semplice. A volte però le sfide ci aiutano a cambiare prospettiva, trovando opportunità diverse, ma altrettanto stimolanti… in attesa del prossimo volo.
Attualmente impegnato nella preparazione della tournèe de Le quattro stagioni, spettacolo messo in scena dal corpo di ballo dell’Opera di Roma, e reduce dal successo di Love appena andato in scena al Teatro Greco di Taormina, parlo al telefono con Giuliano Peparini durante uno dei pochi momenti liberi che ha in questi giorni infuocati dal lavoro. Quello che non ti aspetti è sentire una voce che riporta nei confronti del suo mestiere ancora la “meraviglia” di un ragazzo alle prime armi.
Partito dalla periferia romana perché non è stato accettato dalla scuola di ballo della sua città entra all’American Ballet Theatre New York a soli 16 anni e da allora ha girato tutto il mondo come ballerino, coreografo e regista non staccandosi mai dal mondo del teatro e dello spettacolo. Sull’onda della sua esperienza personale cominciamo a parlare del rapporto speciale che ha Giuliano con i giovani.
Giuliano da dove viene questa tua forte attenzione nei confronti dei giovani e perché ci tieni così tanto a promuoverli e valorizzarli?
Per me è fondamentale fare un transfert di passaggio e di esperienze, non mi sembra affatto giusto rimanere focalizzati su noi stessi, per me lavorare e preparare le persone più giovani è un bel modo di far conoscere le mie esperienze acquisite in tanti anni di studio e di lavoro. Secondo me i giovani oggi hanno molte più capacità e un livello tecnico molto più alto ma credo abbiano meno informazioni di base e un modo totalmente diverso di porsi. Tantissime cose importanti per me e per la mia generazione come il rigore, la disciplina e la gerarchia li hanno un po’ persi quindi quando incontri i ragazzi spesso diventa molto più complicato poter imporre il tuo metodo e le tue idee e per questo si arriva più facilmente allo scontro.
Secondo te perché c’è stato questo cambiamento di rotta nei giovani di oggi?
Il problema è sempre lo stesso purtroppo: in Italia manca una regolamentazione unitaria riguardo al mestiere dell’insegnante di danza, il problema è che tutti quelli che danzano sembrano avere una capacità anche per l’insegnamento ma la realtà e che anche l’insegnamento va imparato, come ogni mestiere: se non so è perché non ho le basi e se non le si hanno bisogna studiare perché si opera su dei corpi che, seppur non si aprono con dei bisturi, hanno ugualmente una grande importanza.
Cosa consigli quindi ad un giovane che vuole seguire la propria strada nel mondo della danza?
Ai giovani, ma soprattutto ai genitori, consiglio di verificare con chi studia il proprio figlio, consiglio di valutare gli studi e le esperienze perché a nessuno verrebbe in mente di lasciare i propri figli in mano a un chirurgo che non abbia studiato e non abbia acquisito le certificazioni necessarie; e poi consiglio di non pensare che un insegnante sia tale solo perchè sia “figo” sui social e perché è stato protagonista in qualche programma televisivo. Se un insegnante insegna male la disciplina può procurare disturbi fisici ai ragazzi proprio come un dottore che fa una diagnosi sbagliata dovuta all’inesperienza o al poco studio… e di ragazzi così ne ho visti davvero troppi durante la mia carriera.
La danza poi non è solo uno sport, un’attività fisica ma un’arte e altrimenti rimane altro, alla base ci deve essere l’etica, è importante e fondamentale. C’è un fatto di responsabilità: ogni insegnante spesso pensa a se stesso invece dovrebbe coltivare le individualità in modo che ognuno si senta importante nel gruppo. Per me è fondamentale lo spirito di gruppo, in ogni produzione, come l’ultima de Le quattro stagioni, danzare insieme per me vuol dire stare insieme non solo sul palco ma anche fuori in tournèe condividendo giornate di lavoro e di compagnia una volta usciti dal teatro.
Bisogna quindi studiare, studiare e studiare?
Non si smette mai di studiare, di comprendere, di informarsi. Anche a me è capitato diverse volte, come ad esempio quando mi hanno chiamato per tenere un workshop di teatro e, anche se avevo avuto diverse esperienze come attore e regista, in quel frangente ho sentito il forte bisogno di studiare e di capire da dove venissero le basi teoriche che avevo acquisito con l’esperienza. E’ importante costruire il proprio bagaglio di studi oltre che di esperienze perché non nasciamo sapendo tutto e per imparare bisogna studiare se no sarebbe troppo facile; è come se ci fossero architetti che non abbiano fatto gli studi appositi per costruire. Poi certo come in tutti i mestieri ci sono quelli che fanno le cose per bene e quelli che “si spacciano” per altro ma di una cosa sono convinto: il talento è certamente una dote innata ma va sempre coltivato con lo studio.
E per diventare un grande danzatore cosa è imprescindibile secondo te?
A mio avviso la cosa più importante è cercare e andare a conoscere il più possibile quello che c’è in giro, cercare un orizzonte più lontano, non rimanere nella propria zona di confort: provate a darvi dei compiti più difficili, cercate di avere idee più chiare possibili anche se irraggiungibili, bisogna avere chiare le idee su dove si vuole arrivare e appena hai aperto una porta meglio allontanarsene e cercare di aprirne subito un'altra. Anche io la mattina mi svegliavo con un obiettivo anche se avevo solo 12 anni e anche oggi che ho passato i 40 sono continuamente alla ricerca di un nuovo sogno… se sei un giovane che vuole fare la professione lascia gli “spettacolini” che pur ti danno tante soddisfazioni e guarda “oltre”.
Agli insegnanti chiedo invece se vedete un talento non sprecatelo, è un peccato tenerlo con voi, spronatelo ad andare più lontano, aiutatelo ad andare lontano, anche a me è capitato e non gli taglierei mai le ali, altrimenti possiamo bloccare ragazzi con carriere internazionali: bisogna mandarli fuori. Una volta fuori dall’Italia, posso dirlo con estremo orgoglio, si difendono anche meglio degli altri e non è un caso che all’estero molte etoile che si distinguono siano italiane: abbiamo la capacità di costruire tutto dal nulla, siamo un popolo di artisti e di artigiani e per noi il lavoro manuale e artigianale della danza e del teatro sono cose che appartengono alla nostra storia, alla nostra cultura e alla nostra tradizione.
Riesci ad aiutare i giovani dopo averli conosciuti durante il programma televisivo in cui sei direttore artistico?
Da Amici sono usciti tanti ragazzi che stanno facendo carriere diverse. Per quanto mi riguarda se uno vale, le opportunità ci sono e gliele si danno, collaboro ad esempio con Alezio Gaudino, Javier Rojas, Andreas Muller perché ho capito che avevano ben chiaro il loro sogno. Se vedo ragazzi che hanno sogni grandi e si buttano a capofitto nello studio e nel lavoro, appena ho un progetto cerco di dargli una possibilità in teatro; spesso infatti i ballerini una volta spente le luci televisive hanno meno occasioni di emergere rispetto ai colleghi cantanti. Proprio per questo continuo con grande piacere a lavorare anche in televisione perché mi fa scoprire tanti ragazzi e lavorando con loro a ritmi serratissimi riesco a capire in poco tempo se possono fare della danza la loro professione; carpisco i loro ideali e capisco se hanno il carattere e la personalità adatta per poter andare oltre: io sento moltissimo se un giovane è solo spinto dal desiderio di farsi vedere e a me questo desiderio non colpisce affatto… voglio “investire” solo su giovani che vedono lontano.
Da cosa deriva la visione coreografica che proponi nei tuoi famosi quadri?
Ho una visione dello danza e dello spettacolo a tutto tondo, per me tutto è teatro. Non ho una percentuale sulla cose, per me nel teatro ogni azione artistica, le luci, la scenografia, le interpretazioni hanno lo stesso valore, per me lo spettacolo è un insieme di tutto; così come una bellezza di un quadro deriva da un mix di tanti elementi e il tutto crea quell’impatto d’ insieme che crea l’emozione che rende unico uno spettacolo piuttosto che un altro.
Nei tuoi quadri coreografici è molto apprezzato dai giovani che parli di tematiche sociali, come mai questa scelta?
Il teatro sin dalle sue origini ha avuto un’importanza politica molto grande e se uno ha la possibilità di creare su un tema per farlo emergere con una coreografia perché non farlo… l’importante è non farlo per strumentalizzarlo. I temi legati ai giovani fanno parte di un insegnamento di un artista, le emozioni le vivo diversamente se riesco a fare emozionare. Se mandiamo messaggi giusti poi anche i social sono un ottimo strumento per far conoscere tematiche sociali ma se i social diventano uno strumento di cattiveria e di rivolta diventano un canale decisamente inutile e fuori luogo.
Pensi che la tua partecipazione televisiva abbia fatto conoscere meglio e a più persone il mondo della danza?
Io credo che la televisione sia un mezzo di trasporto per andare più veloci, se però hai la visibilità ma non hai le chiavi giuste il tutto può diventare pericoloso. Tutto dipende dalla persona e dalla conoscenza che hai per poter aiutare: io sento una responsabilità grandissima perché rappresento tante altre persone e per questo sono cosciente di quello che dico e faccio.
© Expression Dance Magazine - Ottobre 2020
Un nuovo anno di danza è iniziato: come predisporre il corpo ad accogliere nuovi stimoli e soprattutto evitare spiacevoli infortuni?
Il mio primo consiglio è dedicare almeno 45/50 minuti, almeno due volte a settimana, alla mobilità articolare (capacità di massima escursione articolare), coinvolgendo tutte le articolazioni (capo, spalle, gomiti, polsi, dita delle mani, bacino, ginocchia, caviglie, dita dei piedi), strutturando allenamenti programmati con equilibrio di volumi e intensità.
Anche la flessibilità muscolare (capacità di allungamento dei muscoli e del tessuto connettivo) ha la stessa importanza per un danzatore, pertanto allenare mobilità e flessibilità è fondamentale, cercando di essere "gentili" con il corpo, rispettando i raggi di movimento e ricercando miglioramenti graduali: "Tutto e subito" spesso non dona reali strumenti per un lungo percorso.
Per i danzatori è davvero importante il lavoro dedicato ai muscoli posturali, un lavoro finalizzato al potenziamento del core, alternando fasi isometriche (Core Stability) a fasi dinamiche (Core Training).
In un programma completo di mobilità articolare è necessario ovviamente coinvolgere tutto il distretto superiore (tronco e braccia): è fondamentale non dimenticare di coinvolgere spalle e scapole, eseguendo dei plank su braccia e gomiti (con giusti input correttivi). Un core forte equivale a un migliore equilibrio, a una postura corretta e, proprio grazie ad un allenamento costante del core, si evita l’accumulo di stress. Lavorare sull’equilibrio e sulla postura corretta porta a enormi benefici e a un miglioramento della qualità della vita, poiché aiuta ad evitare dolore alla colonna vertebrale, alle anche e alle ginocchia.
Fondamentale è ascoltare il proprio corpo, cercare di percepire ogni singola voce proveniente da dentro, poiché il corpo ha sempre qualcosa da "raccontare": chiudere gli occhi, concentrare l'attenzione sulla respirazione, cercando di essere accolti dal suolo; fonte di ENERGIA a ogni coreografia.
Partendo dalla pura essenza della danza, che vede il corpo come il mezzo attraverso il quale esprimere le proprie emozioni, vi invito a utilizzare il corpo libero nelle vostre sedute di allenamento, visualizzando il corpo come nella danza, esattamente come un insieme di sinergie del gesto, cercando di programmare bene le sedute, con esercizi funzionali al miglioramento delle vostre performance da danzatore e/o insegnante di danza, senza limitare la vostra attenzione al solo fattore estetico.
Vi auguro un anno colmo di soddisfazioni: cercate di avere tanta cura del vostro corpo (mente): avere la possibilità di comunicare senza parlare resta un privilegio di pochi.
Di seguito un esempio di routine di "Ginnastica Funzionale per la Danza", la descrizione dei singoli esercizi e un video con la loro esecuzione.
Obiettivi: Mobilità, Core training e stability, consapevolezza del gesto (equilibrio Corpo&Mente).
Buon lavoro!
Le Linee guida per l’attività sportiva di base e l’attività motoria in genere sono state le prime ad essere emanate, il 19 maggio, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed elaborate dall’Ufficio per lo Sport, per indicare le misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-Cov2 con tempi strettamente legati all’emergenza e sono il primo riferimento normativo per chi pratica la danza in palestra.
In linea generale questo testo emanato dal Governo illustra le misure di prevenzione e protezione finalizzate alla gestione del rischio di contagio all’interno del sito sportivo utili per capire meglio i termini e i protagonisti coinvolti, oltre alla messa in atto delle misure di contrasto, assicurando la massima informazione dei lavoratori e di tutti gli operatori dei siti sportivi, predisponendo tutti gli elementi necessari per assicurare il rispetto delle presenti disposizioni e la tutela della salute pubblica.
Le misure previste da questo documento devono essere adottate sulla base delle specificità emerse dalla fase di analisi del rischio, a seconda della disciplina che viene svolta e a seconda delle linee guida emanate a corollario da ogni singola regione.
Per quanto concerne le associazioni e le società sportive che praticano la danza e che seguono le classificazioni del Coni, oltre alle Linee guida sopra citate, valide a livello nazionale, occorre far riferimento al Protocollo applicativo di sicurezza emanato dalla Federazione Italiana Danza Sportiva e aggiornato il 3 settembre anche per le discipline di contatto e, se esistenti, ai protocolli emessi dagli Enti di promozione sportiva di riferimento.
In questi ultimi protocolli si va a specificare meglio quanto descritto dalle linee guida in merito alla disciplina della danza:
- definizioni degli attori coinvolti nella pratica sportiva
- l’informazione da rivolgere a tutti gli attori coinvolti nella pratica sportiva
- criteri della valutazione del rischio con particolare riferimento all’ambiente sportivo
- la sicurezza sul lavoro nelle associazioni sportive: in questo capitolo si segnala che non è richiesto il DVR (documento valutazione dei rischi infortunistici) per chi “abbia in forza solamente dei collaboratori ex art.67, co.1, lett. m) Tuir e/o volontari (o meglio lavoratori gratuiti)
- misure di prevenzione e protezione
- pratiche di igiene
- disposizioni tecnico/operative che sono quelle specifiche riguardanti la danza e in cui si parla dell’allenamento della disciplina di contatto in cui specifica che “per l’attività propriamente definita “amatoriale” o di avviamento allo sport… è richiesto il possesso del certificato medico sportivo non agonistico… e, in deroga a quanto sopra previsto alla luce dei movimenti tecnici tipicamente stazionari, una superficie minima per unità competitiva coppia/duo di almeno 10 mq”
In appendice sono inseriti inoltre l’Autodichiarazione preliminare all’ammissione ai locali e l’Autodichiarazione preliminare all’ammissione ai locali minorenni, fac simile che devono compilare atleti, accompagnatori, ove presenti, e operatori sportivi (insegnanti, personale di segreteria, etc…) con le relative indicazioni di modalità di somministrazione e di conservazione.
RIFERIMENTI NORMATIVI
Linee guida per l’attività sportiva di base e l’attività motoria in genere: http://www.idadance.com/images/2020/linee-guida-sport-di-base-e-attivita-motoria.pdf
Protocollo applicativo di sicurezza emanato dalla Federazione Italiana Danza Sportiva_rev. 3 settembre: https://www.federdanza.it/documenti-fids/1780-linee-guida-allenamenti-3settembre2020/file
Protocollo Asi per gli affiliati IDA/Asi: http://www.asinazionale.it/news/le-linee-guida-per-la-ripartenza
Da settimane oramai ci siamo abituati all’idea di non poter uscire di casa se non per convalidati motivi, così come ci siamo abituati all’idea di dover chiudere palestre, scuole di danza, centri di aggregazione sportiva in generale.
Per tutti gli sportivi questo è stato un grosso scoglio da superare, sia fisico che psicologico.
È indubbio infatti il ruolo dell’esercizio per il benessere psicofisico, soprattutto se svolta ad alta intensità e periodicamente. Mi viene da pensare, da perenne ottimista, che non tutto venga per nuocere, e che forse questo stop obbligato possa portare ad alcuni benefici da non sottovalutare.
Nell’ ambito della danza, siamo consapevoli che la capacità di performance connessa ad uno stop così lungo dalle attività artistiche possa avere effetti deleteri in termini di forza fisica, resistenza, trofia muscolare, elasticità, propriocezione.
Ritengo però che con qualche piccolo accorgimento potremmo sfruttare questa pausa obbligata per mantenere o addirittura migliorare il nostro approccio alla danza.
Proseguendo per punti:
1) Nulla vien per nuocere: lo diceva la mia nonna… e ne ho sempre fatto tesoro! Questo periodo di stop dalle attività sportive abituali ci viene incontro per gestire le ripercussioni negative che lo sport (e la danza) svolta ad alto livello, con alta intensità e frequenza settimanale, ha sul nostro corpo. In pratica il riposo funzionale aiuta a sanare le lesioni fisiche e bioumorali da overuse/overlavoro. Importante quindi correggere l’alimentazione, e dopo un periodo di fermo dalla danza riprendere con gradualità alcuni esercizi e alcune lezioni di sbarra a terra e sbarra (anche improvvisata… appoggiando la mano ad un tavolo, ad una sedia, in cucina, in giardino). Se avete la fortuna di possedere un terrazzo o un giardino privato (attenzione alle norme di protezioni individuale per evitare il contagio!) ricordatevi che la luce solare è importantissima per l’attivazione della vitamina D. Riposare sul balcone, farsi riscaldare dal sole, e magari leggere un libro, sono attività che sembrano inutili, ed invece sono molto utili. Per chi ne è capace, anche ascoltare la musica delle proprie coreografie e mentalmente ripassarne i movimenti e i momenti ha un ruolo “pro-danza”, come ampiamente dimostrato scientificamente. Studi di neurofisiologia infatti dimostrano che la performance legata al movimento e la musica arrivano agli stessi neuroni cerebrali. Secondo alcuni ricercatori vedere e sentire una coreografia attiverebbe alcuni neuroni, definiti “specchio”, che sarebbero in grado di stimolare altri centri nervosi. In sostanza il ballerino osservando una coreografia e ascoltandone la musica può trarne beneficio come se la stesse eseguendo e, cosa interessante, non solo da un punto di vista motorio, ma anche da un punto di vista emotivo, empatico, emozionale. Pertanto, studiate! Approfittate del momento per studiare le coreografie, per vedere video, per ripetere la musica, per allenare il cervello!
2) Tutti i nodi vengono al pettine: anche questo proverbio me lo diceva sempre mia nonna. È un periodo di stop, vale a dire non si può andare in classe a far lezione, ma nel bene o nel male, tutti possono “danzare” in casa, sul balcone, in giardino (sempre rispettando le regole!). Vediamo quindi cosa fare:
a. Regolarità: alzatevi sempre allo stesso orario, come se niente fosse successo alla vostra routine, e rispettate il più possibile gli orari di colazione pranzo e cena. Attenzione ovviamente all’alimentazione, approfittate del momento per fare una spesa più oculata (frutta e verdura fresca, cibi cucinati ed evitare eccessivo “scatolame” o pasti veloci…il classico panino insomma!). Internet è pieno di risorse, cercate ricette nuove e mettetevi alla prova.
b. Allenatevi: con regolarità, alternando le tipologie di allenamento: sbarra a terra, yoga, pilates, funzionale, ecc. Quello che il covid ci ha dato è anche lo smart working. Io in questo caso vi suggerirei di praticare anche lo smart fitness! Tramite le note piattaforme, potreste curiosare e scoprire che in Italia come all’estero ci sono molti sportivi e molti ballerini che mettono gratuitamente online o in diretta i loro workout.
Sul sito www.dancemedicine.it ho cercato di suggerirvene alcuni. È una pagina in continuo aggiornamento, anche se potete capire il difficile momento storico che noi medici stiamo passando all’interno degli ospedali.
Secondo me sarebbe opportuno praticare lezioni di stretching, yoga e/o sbarra a terra la mattina e nel pomeriggio invece una lezione più intensa di danza o di allenamento funzionale.
Per quest’ultima pratica basta una stanza, un tappetino, un elastico, un asciugamano e delle bottiglie di plastica! La sbarra a terra, lo stretching tradizionale e lo yoga avranno ripercussioni positive su alcuni punti cardine della danza: flessibilità articolare, elasticità e distensibilità muscolare, controllo propriocettivo, respirazione, meditazione.
L’allenamento funzionale deve invece incentivare lo sviluppo delle doti tecniche e atletiche, quindi occorrerà costruire una lezione, sommariamente, considerando una parte iniziale di riscaldamento (corsa sul posto, corda, squat jumps, jumping jacks, high knees, butt kicks, lateral shuffles, forward lunges, lateral lunges, ecc…). Seguiranno esercizi funzionali (piegamenti, plunk, push-up with row – una bottiglia di plastica -, push up and rotate, bridge, triceps dips con la sedia o una spalliera, step-up su una sedia, wall sit, burpee, ecc.)
Se avete lo spazio, si potrà poi improvvisare una sbarra vera e propria, una piccola lezione di danza in casa.
Per l’allenamento cardiovascolare invece sarà ottimo praticare cyclette, spinbike, vogatore, ellittica e esercizi similari.
Quindi cari ballerini, forza, costanza e coraggio! Ce la faremo!
Lezioni on line, in streaming, webinar, conversazioni con i compagni su Skype, dirette online, lezioni tramite Zoom. Tutto questo è la conseguenza dell’impossibilità di contatto umano a causa della pandemia di COVID-19 che sta devastando l’intero globo terrestre. Com’è possibile proseguire? Come si può mantenere un contatto?
Per molti giovani allievi, che nei primi giorni hanno trovato magari stimolante, forse addirittura “simpatico”, provare forme nuove e approcci differenti, dopo aver portato la loro passione all’interno delle mura domestiche sentendosi protetti e felici, il passare dei giorni ed il persistere del lockdown ha significato un crescente stato emotivo di sconforto, spesso innescando sistemi di depressione e riflessioni sul proprio futuro guidate, quindi, da una condizione umorale non del tutto obiettiva e/o razionale. È accaduto tutto improvvisamente, tutto si è fermato, e i ragazzi si trovano come se qualcuno, o qualcosa, li avesse obbligati a riflettere su chi siano, dove vadano e cosa si aspettino da un futuro ora incerto e pieno di debolezze. Si possono innescare così forti frustrazioni, alimentate dalla reale impossibilità di individuarne un colpevole. La nostra psiche ragiona infatti istintivamente nella ricerca immediata dell’elemento che detiene la colpa di un avvenimento funesto o irragionevole che scombussola le nostre aspettative e la rabbia spesso si manifesta con attacchi o invettive contro qualcuno oppure, dopo una fase di riflessione che porta ad una di presa di coscienza, qualora l’errore sia imputabile a se stessi, con un processo di rabbia interna difficilmente canalizzabile che può, in casi gravi sfociare perfino in eventi di autolesionismo, restrizioni insensate, scaramanzia compulsiva.
Lo psicologo e psicoterapeuta Dr. Armando De Vincentiis, in un suo articolo su Medicitalia, afferma: “L’attribuzione di una colpa ci da una profonda illusione di aver fatto qualcosa. Se un’alluvione distrugge interi raccolti, se un terremoto devasta una città, non si prende in considerazione che la natura può, casualmente, uccidere innocenti, ma se lo fa è perché qualcuno non ha avuto il genio di prevedere l’evento o non ha avuto quelle capacità ingegneristiche innovative che non hanno saputo far reggere un palazzo ad una scossa devastante di elevato magnitudo. Insomma nella nostra mente, per qualsiasi evento che possa accadere, relazionale o naturale, è sempre colpa di qualcuno!”.
In questo momento storico nessun paragone calza meglio di questo. Il problema primario è che i giovani, non avendo sviluppato un adeguato livello di razionalità, come molti adulti sopraffatti da uno stato di apatia, depressione e paura dell’ignoto, non riescono ad accettare come la “colpa” spesso non possa essere attribuita ad un unico elemento e questo porta ad un senso di inadeguatezza, di incapacità ancora più profonda della concreta impossibilità di uscita o di proseguimento delle attività che regolarmente creavano la propria routine.
La mancanza del contatto visivo, fisico ed empatico che solo la realtà ci può dare, per molti ragazzi e studenti di danza è un ostacolo insormontabile che non riesce ad evolvere in una condizione propositiva. La mancanza delle relazioni interpersonali con amici e compagni, il rapporto di rispetto e amore con i professori ed il Maestro, coltivare la passione che era alla base di molti sacrifici, sta portando a rallentare e dubitare anche ragazzi con un precedente grado motivazionale alto, improvvisamente sgretolatosi tra le loro mani.
Parliamo di un meccanismo di difesa innescato dalla percezione di un incondizionato abbandono. I meccanismi di difesa servono a ridurre l’ansia e l’angoscia derivanti da conflitti inconsci intollerabili per la coscienza influenzando, anzi determinando, il comportamento del soggetto. In questo caso specifico, i ragazzi tendono a non seguire con lo stesso interesse le lezioni, ad esempio, chiudendosi in un mood di difesa per ridurre l’ansia che si crea davanti alla percezione dell’instabilità del futuro. Nascono così numerosi interrogativi in molti studenti: voglio veramente fare questo nella vita? Anche se è la mia vera passione, vedendo in uno stato di emergenza come la figura del ballerino e dell’insegnante di danza venga dimenticato, considerato non indispensabile, veramente voglio percorrere una strada che dimostra molte impervietà? La risposta diventa unica, inevitabile e scontata.
Dobbiamo riflettere su come metabolizzare l’abbandono, non per forza attribuibile ad una persona fisica ma comunque accusato con la perdita della quotidianità, della propria passione, del contatto sociale o, semplicemente, ci si sente abbandonati dalla vita nel senso più figurativo della parola. L’essere umano si sente perso, senza riuscire a rientrare nel proprio sentiero. La nostra psicologia reagisce con dei meccanismi destabilizzanti, creando difficoltà nel riuscire a mantenere relazioni sane e a sviluppare il senso di fiducia. Questa paura paralizzante può portare a creare dei muri, per evitare di venir feriti, oppure a “sabotare”, inconsapevolmente, il proprio futuro.
Come possiamo aiutare i nostri allievi per superare questa difficile situazione, che ferisce e destabilizza anche noi?
Torniamo ad uno dei concetti alla base delle teorie dello sviluppo: per sentirsi sicuri, i bambini hanno bisogno di essere visti, compresi e accuditi, specie quando sono arrabbiati. Le molte attenzioni che possiamo dimostrare a distanza e le parole di conforto, anche per via telematica, possono suscitare ugualmente una reazione positiva, di risveglio da un torpore, da un “letargo” indotto; allo stesso tempo, per chi presenta carattere e personalità più vulnerabili, bassi livelli di autostima e difficoltà comunicative, stati di introversione, tutto questo non basta. Occorre forse lasciare tempo alle cose, facendo in modo che, tornati alla nuova normalità che ci attende, loro stessi possano trovare comprensione da parte dell’insegnante, il quale non potrà assolutamente trasmettere cali di interesse o farsi percepire privo di speranze.
La difficoltà nella fase di ripresa sarà, tra le altre, la “resistenza” di molti ragazzi combattuti tra il forte desiderio di tornare alla normalità ed il terrore di contrarre il virus, indipendentemente dal rispetto di tutte le varie precauzioni igienico-sanitarie. Questo porterà ad un conflitto che l’insegnante si troverà a combattere quotidianamente e che non sarà semplice da far ammettere, sia da parte degli allievi che da parte delle famiglie. L’obiettivo primario delle scuole di danza diventerà, probabilmente, ricostruire in una nuova forma i rapporti sociali, ma dovrà basarsi sulle capacità individuali di resilienza.
La resilienza è un concetto che indica la capacità di far fronte in maniera positiva ad eventi traumatici, la forza di volontà di riorganizzare positivamente la propria vita di fronte alle difficoltà, di rialzarsi rigenerandosi restando sensibili alle opportunità positive che la vita ci può offrire, senza alienare la propria identità. Il Maestro dovrà quindi fortificarsi e porsi come obiettivo quello di far reagire i propri allievi, stimolare la loro capacità di tenere testa agli ostacoli imprevisti, aiutarli nel dare nuovo slancio alla propria esistenza e a raggiungere mete nuove, importanti, che prima potrebbero non essere state nemmeno prese in considerazione seppur consapevole che la danza a distanza, pur essendo una nuova sfida, non potrà sostituire del tutto l’insegnamento della danza in aula sia dal punto di vista psicologico che in ambito didattico (come far comprendere con questa metodologia gli errori e le relative correzioni a distanza?).
In generale dovremo comunque imparare tutti, nessuno escluso, a trarre da questa catastrofe una nuova energia vitale per ricominciare con rinnovata grinta e positività.
Da molti considerata una delle più grandi danzatrici statunitensi del XX secolo, Martha Graham viene riconosciuta come la madre della Modern Dance Americana. Dopo aver assistito nel 1911 ad una rappresentazione teatrale della compagnia di Ruth St. Denis, capì che quel momento avrebbe segnato il suo futuro e fu così che capì di voler danzare: “a dispetto di quello che la gente ha detto su di me e su come sono stata cresciuta, i miei genitori non hanno mai obiettato alla mia decisione di diventare una danzatrice... potevo fare tutto quello che volevo. Scoprii di avere questa inclinazione - l’inclinazione ad essere bella e selvaggia, forse una creatura di un altro mondo. In questo senso sono sempre stata me stessa”.
Nel 1916 si iscrisse alla Scuola Denishawn fondata da Ruth St. Denis e Ted Shawn, ma nonostante le prime difficoltà, dimostrò che aveva un grande potenziale, iniziò a dare dimostrazioni agli allievi e dopo poco ebbe l’opportunità di apparire in pubblico nel suo primo spettacolo professionale: “A Dance Pageant Of Egypt, Greece and India” prodotto dall’omonima compagnia.
Non essendo però in grado di pagare la tassa che era stata stabilita dalla St. Denis per insegnare secondo le regole della Denishawn iniziò a impartire lezioni di danza in modo autonomo e secondo una tecnica originale elaborata da sola. Attraverso il lavoro quotidiano con i suoi allievi sviluppò così un nuovo e rivoluzionario linguaggio caratterizzato da un tema fondamentale: la liberazione del corpo.
Nel 1926 creò la sua prima coreografia, che insieme a tre delle sue migliori allieve della “Eastman” presentò allo 48th Street Theatre di New York. Fondò la Martha Graham School of Contemporary Dance alla quale venne annessa una compagnia composta da sole donne. Il suo stile e la sua tecnica divennero famose solo nel 1929, quando presentò “Heretic”, la sua prima grande coreografia di gruppo.
La Tecnica Graham è ora insegnata in tutto il mondo e il principio sul quale si basa è quello del centro del corpo. Secondo l’idea delle discipline orientali, il centro è molto più che la sede del baricentro e dunque dell’equilibrio, è la fonte da cui si propaga l’energia e l’emozione, è l’origine del movimento inteso come flusso vitale. Il corpo del danzatore, dunque, si fa strumento di interpretazione nel modo più diretto e onesto possibile.
A differenza del ballerino classico, che descrive linee con le gambe e le braccia, mantenendo la colonna vertebrale verticale e il bacino allineato alla schiena, la tecnica Graham si struttura intorno a due concetti fondamentali: Contraction e Release. La Contraction (contrazione) è un forte movimento del bacino in avanti, durante il quale i muscoli addominali, contraendosi, spingono all’indietro la colonna vertebrale all’altezza delle lombari, lasciando che si venga a creare una forma arrotondata simile ad una C. Questo movimento, netto e forte, avviene insieme a una profonda e breve espirazione. È infatti frequente che, imparando questo movimento, ci si avvalga dell’uso della voce per sentire con più efficacia la forza necessaria per compierlo o si faccia uso della risata perché è impossibile ridere senza contrarre il ventre: “l’utilizzo dell’allegria crea la contrazione per via dello sforzo fisico necessario a emettere il suono”. Alla contrazione segue il Release (rilascio) durante il quale il bacino ritorna in una posizione neutra e, di conseguenza, anche la colonna vertebrale si riassesta: l’energia questa volta fluttua dal centro verso la periferia del corpo più dolcemente, rilasciandolo, appunto, dall’estrema tensione della contrazione.
Il respiro, la contrazione, lo spostamento nei fianchi e le spirali influenzano e dirigono l’estremità del corpo. Accade di rado che nelle coreografie della Graham gli arti non siano guidati da un impulso che viene dal baricentro, anche quando non è in relazione al bacino o al busto: si comincia dalla sbarra a terra iniziale e si sviluppa per tutta la lezione fino ai grandi salti finali.
Altro grande cambiamento rispetto alla danza accademica sta nel diverso uso del pavimento. Nella Tecnica Graham non è solo l’ovvio supporto sul quale si posano i piedi. La sua funzione è anche quella di sostenere il corpo del danzatore durante le cadute. La danza non si svolge più soltanto verticalmente, ma è ricca di cambiamenti di livello.
“Lamentation” si svolge su una panca, la ballerina seduta è avvolta in un vestito tubolare di maglia; in quasi tutte le danze di questa coreografia i danzatori cadono per terra e si rialzano, esprimendo così momenti di intensa drammaticità. Le modalità secondo le quali tutto ciò avviene sono sempre caratterizzate dalla semplicità e dall’eleganza della tecnica. In questo senso il pavimento si trasforma in una specie di pedana sulla quale viene sfruttata non solo la forza peso ma anche il rimbalzo e l’attrito. L’effetto straordinario che ne deriva è una parità di energia e di dinamica nella quale il danzatore si butta per terra per poi rialzarsi senza sforzo apparente.
Nel 1970 la Graham prese la difficile decisione di ritirarsi dalle scene ma continuò a credere e a lavorare per la sua compagnia fino alla morte nel 1984. Perfino dopo la sua lunghissima carriera disse: “sono preoccupata perché penso a quello che voglio fare: ne avrò il tempo? Non penso a quello che ho fatto; penso solo alle cose che voglio fare e che non ho fatto”.
A Marta Graham va riconosciuto il merito di aver creato una tecnica specifica, che con le sue caratteristiche fondamentali, i movimenti di contraction and release, ha contribuito allo sviluppo della Modern Dance Americana e alla creazione di uno stile coreografico fatto di scatti, asimmetrie, spirali, sospensioni, opposizioni e spasmi.
Bibliografia:
Joshua Legg, (2011), Introduction To Modern Dance Techniques, Pennington, Princeton Book Co Pub
Autore:
Gianni Mancini
Docente di Tecnica della Danza Moderna e della Danza Classica presso il Liceo Coreutico e Teatrale “Germana Erba” di Torino Docente Formatore IDA.
Gianni Mancini sarà a Campus Dance Summer School il 12 luglio a Ravenna con il laboratorio TURN PROGRESSION NEL MODERN JAZZ
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
RICEVI GLI AGGIORNAMENTI E
EXPRESSION DANCE MAGAZINE
Segreteria didattica:
CENTRO STUDI LA TORRE Srl
Organismo di formazione accreditato ai sensi della delibera di cui alla D.G.R. N. 461 / 2014.
Ente accreditato alla formazione Azienda Certificata ISO 9001-2015
Scarica gratis contenuti sempre nuovi sul mondo della danza