Scrivere la danza, descrivere un movimento legandolo indissolubilmente a una musica. Sentire, percepire, comunicare e veicolare col proprio corpo un messaggio.
Ma come nasce una coreografia? Quali sono gli stimoli, le immagini che conducono uno “scrittore” della danza a una nuova composizione? Molto spesso, quando ci ritroviamo davanti a una coreografia viene spontaneo chiedersi quale flusso abbia condotto il coreografo a una determinata costruzione. Spesso rimaniamo rapiti dalla coerenza di ciò che vediamo e ciò che ascoltiamo, tanto che ci sembra di dare un “volto” alle note; la musica sembra “scolpita” su un movimento, tradotta nel perfetto equilibrio tra sonorità e corposità.
In un’intervista fiume a Emanuela Tagliavia e al compositore Giampaolo Testoni — comparsa su "Sipario" — proprio legata a questa tematica, la coreografa e insegnante di danza contemporanea per importanti accademie nazionali, come la Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala e la Scuola Civica Paolo Grassi, ha condiviso con noi un punto di vista molto interessante e completo sulla creazione di una coreografia in relazione alla musica scelta per essa, ma in particolare in relazione al mondo circostante.
Emanuela, sempre alla ricerca di nuovi stimoli, riproduce la sua vera identità nei suoi lavori, unendo coerentemente il suo IO e la sua arte.
Secondo la coreografa, costruire coreografie non vuole e non può essere un lavoro di mero montaggio, ma mira ad essere un incontro tra più elementi, un incontro tra formazione ed esperienze di vita, un incontro tra persone diverse tra loro, protagoniste del percorso di costruzione, con la propria personalità e la propria tecnica.
In ogni lavoro è innegabile il ritorno di gestualità che raccontano lo stile del coreografo, ma come spiega la coreografa, è fondamentale vedere il tipo di danzatore presente, lavorare con lui, su di lui, fondendo lo stile del coreografo alla fisicità del danzatore in questione. Ogni coreografia è un mondo a sé, dove si distingue sempre, in parte, lo stile del coreografo, il quale subisce inevitabilmente l’influenza del contesto e del protagonista della coreografia.
Da qui, effettivamente possiamo partire nel comprendere il processo di composizione, che può valere nella danza come nella musica: prendere un movimento e saperlo gestire in un insieme unico e armonioso di corpi.
Sicuramente sviluppare una coreografia comporta la connessione di elementi ed esperienze, un viaggio nel viaggio, durante il quale ricercare contenuti, farli propri; Emanuela Tagliavia, infatti, definisce la sua danza come una “danza evocativa”, data dalla sua esperienza come danzatrice e donna che vive.
Ritiene, infatti, fondamentale per un coreografo, così come per un maestro non perdere, nel percorso, la propria identità, il proprio essere nel mondo, le proprie percezioni, il proprio pensiero. La costruzione di una coreografia porta con sé immagini personali tradotte su un piano generale, il lavoro di un danzatore e di un coreografo si pone quindi come ricerca della propria dimensione, del proprio corpo in rapporto col mondo. Noi stessi viviamo in una realtà in divenire, in continua evoluzione e, per creare nuove coreografie, il coreografo non può prescindere da ciò, deve sempre misurarsi con le sfide che la quotidianità pone sul piatto, talvolta sfruttandole per giungere a un’idea nuova, per sviluppare una nuova scrittura.
Emanuela si ispira costantemente all’arte nelle sue diverse forme, come può essere un dipinto o un libro, e ritiene fondamentale la propria sete di conoscenza.
Senza connessioni con altre forme d’arte e senza ricerca nell’esperienza vissuta, la scrittura della coreografia perderebbe senza dubbio parte della sua linfa: limitarsi a un settore, chiudendolo in compartimenti stagni, non solo penalizzerebbe la crescita personale, ma porrebbe in una situazione di enorme svantaggio tutto il movimento della danza.
© Expression Dance Magazine - Ottobre 2020