Raymond è nato in Nigeria ma vive in Italia da quando ha compiuto cinque anni. Oggi ha 23 anni e ci parliamo durante una giornata densa di numerosi impegni.
Come è iniziata la tua passione per l’hip hop?
Già da piccolo ascoltavo musica hip hop e mi piaceva quella danza e quella cultura, poi a 14 anni ho cominciato ad apprezzarne anche lo stile, l’abbigliamento e ho iniziato a frequentare una piccola scuola di danza in provincia di Roma, per poi continuare alla Bounce Factory Dance Studio di Roma.
Perché a un certo punto hai deciso di andare in America?
Sono andato in America verso i 19 anni alla ricerca del vero hip hop e per creare legami e collaborazioni, ma senza essere per niente conscio di quello che volevo veramente: all’epoca non pensavo affatto che la danza sarebbe potuta diventare un lavoro… il mio lavoro. Sono rimasto in America per un paio di mesi dove ho studiato molto e, avendo vissuto questa esperienza in modo molto positivo, sono tornato diverse altre volte per approfondire nuovamente lo studio dell’hip hop americano, fondamentale per capire a fondo questo stile.
E nel tuo modo di danzare cosa c’è della cultura hip hop americana?
E’ stata una fortuna studiare in America con insegnanti come Ian Eastwood, Brian Puspos, Jun Quemado, Bam Martin, Anthony Lee, Vinh Nguyen e Shit Kings perché mi hanno aiutato a stare al passo con i tempi e mi hanno fatto pensare all’hip hop con vedute più larghe senza più limitarmi a quello che avevo imparato altrove.
Passo dopo passo ho cominciato poi a prendere più fiducia in me stesso creando il mio personale stile, che poi altro non è che un’elaborazione personale di tutte le mie esperienze.
Che cosa stai progettando per il tuo futuro e cosa stai portando avanti nel tuo presente?
In diverse scuole di Roma ho progetti con crew composte da ragazzi tra i 15 e i 23 anni, che sto cercando di portare in giro tra l’Italia e l’Europa.
Oltre a creare le coreografie spesso danzo con loro, ma essenzialmente cerco di creare per i ragazzi che “ci vogliono provare” nuove occasioni.
E cosa consigli ai ragazzi che, come dici tu, “ci vogliono provare”?
Utilizzo queste occasioni di esibizione per dare tanti consigli ai ragazzi coinvolti, li sensibilizzo al creare e ad essere artisti attraverso il proprio corpo, le proprie mani, la propria personalità e credo che l’esperienza di stare insieme e avere maggiori spazi in cui condividere li possa ispirare maggiormente.
Secondo te quali sono le tendenze interessanti che stanno emergendo in Italia per quanto riguarda l’hip hop?
Purtroppo credo in Italia l’hip hop sia sempre un po’ di rimando dalle tendenze americane e che quindi qui, anche se assistiamo a nuove tendenze, credo che non ce ne siano destinate a rimanere nella storia. Sono piuttosto mode passeggere: mi sembra che tutto torni.
Per questo ogni giorno sempre di più, cerco di seguire la mia strada. Ed è anche quello che cerco di consigliare ai ragazzi a cui insegno: essere sempre se stessi per dar vita ad uno stile unico che sia la somma delle proprie esperienze.
Salutiamoci con qualche consiglio che ti senti di dare ai ragazzi che frequentano lezioni di hip hop?
Aprire la mente, non fossilizzarsi su uno stile, condividere un pensiero proprio, aprirsi ad altri progetti, altre situazioni, non coltivare il proprio orticello nella propria scuola ma aprirsi ad ogni nuova frontiera.