La musica che è alla base della cultura hip hop italiana è relativamente giovane perché nasce tra la metà degli anni ’80 e gli inizi degli anni ’90, con dieci anni di ritardo rispetto all’America, dove è nata la cultura e la musica hip hop. Già a partire da quegli anni il rap italiano ha risentito di diversi correnti: il rap così detto commerciale, con esponenti conosciuti anche da un ampio pubblico come Jovanotti (che fece da apripista utilizzando la tecnica vocale del rap ma discostandosi dallo stile hip hop “tout court”), Sottotono e Articolo 31; la così detta cultura antagonista dove il rap si concentrava su testi di protesta sociale con artisti come 99 Posse e Assalti Frontali e il rap underground, molto più vicino allo stile del rap americano, con esponenti come i Radical Stuff, gruppo italiano che utilizzava la lingua inglese per i versi dei loro testi.
Ancora oggi questi diversi “modi” di interpretare il rap sono presenti nella cultura musicale hip hop italiana e sempre con queste diverse declinazioni il rap è interpretato sia da artisti mainstream che underground, discostandosi l’uno dall’altro sia per le sonorità che per i contenuti dei testi. Queste differenze portano i veri puristi dell’hip hop a non considerare degno di questa cultura il rap proposto, ad esempio, da Fedez e lo stesso Fabri Fibra, considerato uno dei pionieri della cultura hip hop italiana contemporanea, intitolò il suo primo disco uscito per una major discografica “Tradimento”, facendo riferimento al fatto che si era “commercializzato” e che avrebbe “tradito” i detrattori del rap commerciale.
Nel solco di questa querelle si instaura la musica hip hop di recentissima generazione con il genere musicale più ascoltato tra giovani e giovanissimi: la trap.
La trap, che è un sottogenere dell’hip hop sviluppatosi in America dal Southern hip-hop, recupera a sorpresa (o almeno a mia sorpresa) l’Electro Funk anni ’80 nato con l’introduzione di drum machine (macchine progettate per eseguire e comporre ritmi imitando il suono di strumenti a percussione) come la Roland tr 808, grazie alla quale si portò lo sviluppo della Miami bass ed in seguito al Southern hip hop. Questo genere dedica infatti uno studio molto attento al sound proponendo un uso massiccio dell’elettronica con beat-boxer, sintetizzatori oltre che di drum machine, tantissimi bassi e basi, che arrivano intorno ai 140 bpm (misura del tempo/le battute al minuto), e virtuosismi che raramente si possono trovare nelle produzioni di hip hop music più classiche.
Per conoscere meglio questo nuovo genere, e per proporre ad una classe di hip hop l’ evoluzione di questo tipo di musica in Italia, si può fare riferimento ad uno dei primi e tra i più conosciuti dal grande pubblico, come Gué Pequeno, già componente dei Club Dogo, che è stato il più famoso tra gli importatori italiani e poi a diversi nomi che forse sono più conosciuti da giovani e giovanissimi, ma magari meno dalle generazioni di insegnanti e ballerini che hanno tra i 30 e i 40 anni. Tra i più noti, ognuno con caratteristiche proprie molto diverse tra loro, si possono senz’altro citare Sfera Ebbasta, Capo Plaza, Tedua, Marracash, il collettivo Dark Polo Gang, composto da Tony Effe, Wayne Santana e Pyrex, Izi, Dark Side, Rkomi, Achille Lauro, Enzo Dong e Drefgold ma anche tanti altri nomi di spessore meno noti e seguiti della scena underground che hanno deciso di utilizzare produzioni trap per i loro pezzi.
Fondamentale punto di riferimento per la trap sono i produttori musicali e i beatmaker tra cui, in Italia, si possono citare sicuramente Sick Luke, figlio del rapper romano Duke Montana e componente della Dark Polo Gang, Charlie Charles che è considerato una delle figure più innovative della scena trap italiana e i tanti giovani produttori di talento più o meno underground. Anche Ghali è un’artista trap molto conosciuto che però si inserisce in questo genere con una narrazione più personale che incrocia i temi classici del rap e con il vissuto di un ragazzo arrivato dalla Tunisia, quando in generale la trap si occupa maggiormente di tematiche più crude e con sonorità più ipnotiche e dark.
Utilizzare a lezione di hip hop pezzi trap o con sonorità che si avvicinano al genere può sicuramente sensibilizzare gli allievi nella conoscenza della storia dell’hip hop, partendo dagli inizi degli anni settanta, oltre che far conoscere gli artisti che hanno contribuito all’evoluzione del genere negli Stati Uniti. Utilizzare la trap può essere quindi un buon primo approccio per far avvicinare i teenagers all’hip hop music senza relegare la loro conoscenza musicale ad un’unica sonorità legata alla moda del momento. Con questa modalità l’insegnante si avvicinerà in maniera positiva alle classi di ragazzi più giovani e potrà favorire l’educazione all’ascolto.
Certo, la trap porta con sé, oltre alle radici musicali, anche tematiche che risultano scomode e che inneggiano ad eccessi in diversi ambiti (magari attenzione a proporre la trap a bambini o ragazzini); ma poi non è anche vero che ogni epoca ha il suo genere musicale eversivo, esagerato, senza freni e basato sul divertimento e sul consumismo? E non è vero poi che questo sia sistematicamente amato dalle giovani generazioni?
E se facessimo un salto temporale negli anni ’50 e scoprissimo come fu accolto il rock’n roll? Esattamente allo stesso modo della trap oggi e questo non mi sorprende affatto!
Note sugli autori:
Monica Morleo
Elia del Nin Ballerino e insegnante. Per IDA è al Corso di Insegnante di Hip Hop Dance per Bambini
© Expression Dance Magazine - Settembre 2019