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Francesco Mariottini, rischia e la vita ti premierà comunque

Venerdì, 14 Febbraio 2025 16:15 Scritto da

Francesco Mariottini, nato a Jesi nel 1985, inizia a studiare danza a undici anni e di certo ha avuto un percorso davvero particolare e interessante.
Lo guida una “tensione evolutiva” che lo porta ad esplorare sempre nuovi mondi e nuove prospettive come si nota dal suo ricco e vario percorso che lo ha portato dal Balletto di Toscana allo Stuttgart Ballet di Stoccarda e da Reggio Emilia attraverso i più famosi teatri europei e internazionali arrivando in televisione con la partecipazione ad Amici per poi approdare a Les Ballets de Monte-Carlo.
Stare fisso in un posto non fa proprio per lui e adagiarsi non è senz’altro la parola che contraddistingue il suo percorso umano e professionale.

Leggendo il tuo profilo e la tua storia mi è venuta in mente quella tensione romantica che consiste nel cercare sempre qualcosa che è altrove rispetto a quello che si ha…
In effetti è così… mi hai capito bene. Questa mia propensione però non so da dove scaturisca. Nella mia comfort zone diciamo che riesco a starci un po’ e poi devo ricrearne una po’ più grande e devo provare a riuscire nel nuovo intento. Questo mi permette di fare passi in avanti e provare cose nuove… Non so, forse è un’energia ancestrale che mi arriva dallo stimolo di una nuova avventura.
Ma non solo nella danza anche nella vita: mi chiedono di scalare una montagna? Si… ci sono… proviamoci!!! Quello che però ho imparato negli anni è che, rispetto a prima, ora non vedo solo l’obiettivo ma anche la strada per arrivarci e la prendo con più calma: mi godo la parte di transito riempendo il mio bagaglio personale con gioia.

Qual’è l’urgenza che ti ha guidato nei momenti in cui hai deciso di cambiare nella tua vita?
In primis la curiosità, il non diventare sedentario: non riesco proprio a stare nella stessa monotonia nella vita come nella danza, cerco sempre stimoli nuovi e la curiosità di affrontare anche un percorso diverso il più delle volte è difficile ma ricco di cose da imparare. Mi piace la conoscenza da poter tenere come un mio bagaglio personale in tutta la vita. Sono sempre stato così sin da piccolo infatti facevo danza, studiavo violino, pattinaggio, ero negli scout… non avevo un pomeriggio libero!

Come è stato il passaggio dal pattinaggio alla danza?
In realtà è andata in modo contrario: sono passato dalla danza al pattinaggio e ho iniziato a fare pattinaggio perché la danza mi stava cominciando a diventare stretta, un po’ monotona dal punto di vista dell’apprendimento e io avevo bisogno di altri stimoli. Come molti, avevo amici che già frequentavano quel mondo e ho cominciato a frequentare quella disciplina e, anzi, verso i tredici anni ho avuto qualche dubbio perché mi piaceva l’agonismo tipico del pattinaggio. Per la danza era un momento diverso non c’era l’offerta formativa che c’è oggi e con il pattinaggio avevo acquisito quello stimolo che mi mancava partecipando a gare, spettacoli e tornei. Poi frequentavo una piccola società dove le famiglie creavano degli eventi, delle cene e per me era molto stimolante nonostante fosse ancora alta la mia passione per la danza.

Poi quando ha prevalso la tua passione per la danza?
Quando ho vinto l’audizione per il Balletto di Toscana. Da quel momento in poi mi sono concentrato solo sulla danza: lì la mia passione per la danza è esplosa e gli stimoli si sono moltiplicati perché quando frequenti un’accademia ti confronti con insegnanti e discipline diverse da cui apprendere.

Qual’ è l’esperienza che ti ha più arricchito ad oggi? Con quale maestro senti di aver avuto un legame indissolubile?
Ogni esperienza mi ha lasciato tantissimo e in maniera diversa rispetto ad un’altra esperienza. Dal punto di vista coreografico come ballerino la persona che ha aperto di più la conoscenza di me stesso e del mio movimento è stato sicuramente il coreografo Mauro Bigonzetti, quando ho lavorato in Aterballetto tra il 2005 e il 2007. Lavorare con lui è stato veramente bello perché la compagnia era meravigliosa e di soli venti ballerini e quindi Mauro lavorava a stretto contatto con ogni ballerino e la creazione di ogni passo veniva condiviso con lui/lei: per lui una coreografia non era da imparare e basta. Con Mauro ho trovato una mia linea psicofisica e poi ho scoperto la sensazione del passo che hai creato tu e questa sensazione te la porti dietro per sempre.

C’è un momento in cui sei riuscito ad interpretare proprio quello che lui ti ha comunicato?
Non c’è una cosa particolare, ma una delle sue creazioni più belle che, a mio avvisoè stata il suo Romeo e Giulietta. In quello spettacolo interpretavo anche il passo a due di chiusura che ha creato con me e Stefania Figliossi. Fino all’ultimo non ce lo creava e avevamo un pò di paura perchè vicinissimi al debutto; ma alla fine, a pochi giorni dalla prima, lo abbiamo creato insieme è ed stato meraviglioso: per Mauro l’importante era creare una tensione quasi inaspettata, non troppo studiata, non in fase di stabilizzizazione, non una linea piatta e così è stato.

E tu eri giovanissimo?
Si avevo solo diciannove anni. Bigonzetti si è divertito perché io sono molto alto e molto forte, e Stefania molto forte e piccola quindi ci sono stati alcuni passaggi anche difficili per noi e che negli anni con altri ballerini sono stati difficili da replicare per le proporzioni così diverse dei nostri corpi. Mauro dava spazio ad ogni ragazzo della compagnia e quando eri nel secondo cast di un assolo o di un passo a due la maggior parte delle volte ricreava il pezzo per i danzatori pur tenendo la linea della coreografia. Questo tipo di lavoro per me è stato interessantissimo.
Ma devo dire che in tanti mi hanno lasciato un bagaglio di conoscenza importante. Anche quando sono stato allievo ad Amici nel 2007, ma anche come professionista, quello che mi sono ritrovato negli anni di quella esperienza è stata la velocità di apprendimento e la rapidità nell’essere pronti in qualsiasi evenienza e in qualsiasi situazione.

A giugno 2024, sempre per non adagiarti, hai lasciato Monte Carlo per proseguire una carriera da freelance?
Si, lì però ci sono stati anche altri motivi, tra cui quello che non ho avuto una carriera lineare e la mia fisicità ne ha senz’altro risentito. Anche Jean-Christophe Maillot, direttore artistico e coreografo di Monte Carlo, è una persona alla continua ricerca di stimoli anche quando prende nuovi ballerini.
A me è andata in modo simile e, infatti, questa connessione artistica ha funzionato facendomi diventare anche ballerino principale. Questa “scalata” tuttavia mi ha costato molta fatica lavorando il triplo e facendo sempre di più. Dopo sette anni in compagnia il fisico ne ha risentito e non mi godevo di più lo spettacolo come prima e avevo bisogno di più rilassamento affrontando molti dolori e a livello psicologico non avevo più la stessa passione di prima, la gioia di stare in scena a ballare e così ho pensato che era il momento di cambiare la strada. Sono stato comunque molto fiero di lasciare prima di aver “tirato troppo a lungo” e a livello visivo ero ancora ad un certo tipo di livello e non avevo ancora iniziato la discesa.

E hai avuto qualche proposta in particolare che ti ha fatto decidere più velocemente?
No è stata una cosa naturale. Quando ero più giovane, sono sincero, ho deciso in modo più repentino come quando lascai lo Stuttgart Ballet invece per in questa occasione ci ho pensato davvero bene complice anche il Covid riflettendo altri due anni, ma poi sono arrivato al punto in cui conoscevo già la risposta e non sapevo al 100% cosa sarebbe successo dopo ma sapevo che sarebbe stato rischioso ma di essere una persona intraprendente, volenterosa e con tanta voglia di fare e adesso lavoro molto forse anche di più di prima.

E sei felice?
Si sono felicissimo e non ho nostalgia. Quando posto ad esempio una foto di vecchie esperienze la penso come una cosa bellissima, non sento la mancanza della vita di compagnia e sono sereno della mia scelta.

Ho visto che ti dedichi anche all’insegnamento e che ti sei specializzato proprio durante la pandemia.
Si ho frequentato il Diploma di Stato Francese che ha una sezione di Professore di danza che è riconosciuto come diploma di Stato. I docenti sono venuti in compagnia a Monte Carlo e io e altri tredici colleghi abbiamo approfittato di quel momento storico per poter avvicinarci all’insegnamento. È stato molto impegnativo perché studiavamo e intanto lavoravamo. Poi abbiamo svolto il tirocinio con i ragazzi all’Accademia di Cannes e il Conservatorio di Nizza che e per me è stata davvero un’esperienza interessante. La parte che mi ha interessato di più è stata quella sulla psicologia che mi ha aiutato a capire meglio che tipo di empatia puoi avere con i ragazzi e che tipo di rigidità che devi avere come insegnante ma allo stesso al modo le possibilità che puoi avere di “arrontondare” a seconda dell’età e delle modalità di reazione degli allievi.

Quali sono le doti che ti senti di regalare in maniera naturale ai tuoi allievi? Cosa da Francesco Mariottini ai suoi ragazzi?
Dalla mia parte sento di ricevere molto: ogni lezione, ogni livello e ogni sessione mi lascia un’energia diversa. Conducendo molti stage cerco di vedere le reazioni, i visi, le espressioni e portarli ad arrivare a non volere andare a casa e in questo modo ricevo sempre qualcosa in più dai partecipanti quando finisco una lezione.

Ho visto che insegni anche ai bambini? Non è da tutti i professionisti…
Da un lato ad oggi trovo più facilità con i bambini più piccoli, specie dopo il Covid perché capisco che le età degli adolescenti stanno subendo ancora gli strascichi di questa situazione. A me i bambini piacciono molto e trovo che sia un bello scambio e questa energia a volte, anzi, mi “sovrasta”.

Ti piace proprio insegnare?
Decisamente si. La prima lezione, inesperto da morire, l’ho tenuta a diciannove anni e ho continuato ancora perchè ho capito che mi mancavano delle basi. In tanti poi mi hanno detto che sarei potuto diventare Maestro perché riuscivo a comunicare bene e io ne sono onorato. Anche oggi per me è fondamentale ricevere un feedback da tutti per migliorarmi sempre come insegnante.

Sei tanto seguito sui social come li vivi?
I social per me sono un gioco a livello strutturale, posso guardarli un po’, poi non guardarli per mesi, non sono un patito dell’idea del social nel creare contenuti appositamente per la creazione di un “personaggio”. Il lato dei social che mi piace, così come mi piaceva seguire i fan club e i forum, è quello dell’interazione. Ancora oggi con molti dei miei “seguaci” ho un rapporto di stima e, talvolta, anche di amicizia. Per me è importante che dietro ogni numero ci siano delle persone, con nome e cognome: virtuale è virtuale ma non ritengo dei numeri i miei follower. I social poi li gestisco da solo, anche se accetto qualche suggerimento specie ora che mi occupo anche di moda.

In tal senso come hai gestito la tua bellezza del tuo percorso professionale? Ti ha aiutato o ti ha fermato? O come l’hai vissuta tu? Ci racconti anche solo un episodio in cui tuo “essere bello” ti ha aiutato nel tuo lavoro?
Quando ero piccolo la vivevo così: volevo essere una persona “normale”. Poi senz’altro nella mia vita ho sfruttato la mia immagine e mi hanno dato anche l’appellativo del “principe” per le mie doti fisiche, ma questo non ha mai prevalso sul mio lavoro. Potrebbe essere successo qualche volta che vedendo la mia fisicità mi abbiano scelto ma io sapevo di essere preparato per arrivare al mio obiettivo. Il mio percorso di lavoro l’ho fatto al duemila per cento. La bellezza ti può aiutare ma da sola non basta. Bisogna avere uno studio dietro: l’improvvisazione l’adoro nella danza ma non nella vita e tanto meno nel lavoro perché non ti porta a nulla anche se sei bello.

Adesso allora hai fatto pace con la bellezza?
Si, assolutamente (n.r. ride!). In realtà mi sono sempre considerato normale e ho sempre cercato complimenti sulla bravura, però sono davvero contento del mio percorso. Anche nella moda la bellezza tout court non basta a sé stessa, l’espressione non costruita è importante e anche lì tanti aspetti vanno studiati.

Mi sembra di capire che sia soddisfatto di questa nuova avventura?
Da morire… e l’espressione anche nella danza la adoro.

Mi sembra che questo lato sia un po’ il tallone di Achille degli studi non accademici, cosa ne pensi?
Sono d’accordo. Infatti come tesi per il Diploma di Professore di danza/Sezione di danza classica che ho frequentato ho parlato come argomento a piacere proprio della parte artistica della danza e di quanto manchi nel percorso formativo: il discorso di insegnare come interpreti il personaggio, cosa rappresenta il balletto, come esprimere la parte emotiva, come si muovono le mani, la pantomina, la pratica dell’espressione facciale. Anche nella variazione di danza classica c’è una tensione emotiva molto importante e un’espressione decisiva per ogni ruolo. Credo sarebbe utile inserire classi di teoria della danza, di pratica della pantomina e dell’espressione facciale.

Quando hai capito di essere riuscito ad ottenere la carriera che pensavi?
La volta che ho capito che volevo affrontare questo percorso e lì dove ho scoperto davvero la danza è quando mi sono spostato a Firenze a quattordici anni. Ho capito che questa era la mia strada e che dovevo recuperare la tecnica classica e ho svolto lezioni di classico anche con le bambine piccole. Invece la volta che ho capito che la danza sarebbe diventato il mio lavoro è stato il primo contratto a Stoccarda, dove andai da solo senza sapere una parola di inglese. Da quel momento è cambiata la mia vita e ce l’ho fatta dopo quattro anni e mezzo di studio intenso ma da lì ho capito che era solo l’inizio e avrei dovuto studiare, studiare e studiare e che la danza classica non fosse il mio unico terreno d’elezione.

E la coreografia ti interessa?
Mi piace ma non è la mia priorità, la parte che mi interessa di più è la parte della messa in scena, della creazione in generale di una coreografia.

Ti piace fare il regista?
Mi piace farlo e mi piace molto la regia teatrale in generale perché riesce a creare un’emozione più forte: in teatro è tutto lento fino alla tensione che esplode alla fine dello spettacolo.

Hai qualche sogno ad occhi aperti che ti piacerebbe realizzare?
Sogni fino adesso ne ho realizzati tanti. Un sogno sarebbe quello di poter insegnare anche in una accademia più grande e riconosciuta a livello mondiale, anche se ho già fatto qualche esperienza e si sono aperte diverse strade ad Avignone, Basilea e a Zurigo. Poi sogno di essere appagato da quello che faccio ogni giorno e avere gli stimoli giusti per ogni cosa che faccio in ogni momento… questo è davvero importante per me.

Come ti muoverai nei prossimi mesi, hai qualche progetto che puoi anticiparci?
In questo anno e mezzo sto ripianificando la mia vita e sto mettendo le radici, ho ripreso ad insegnare e sto riprendendo tanto l’organizzazione di eventi che mi soddisfa molto. Poi diversi progetti “bollono in pentola” ma non ne posso parlare e poi, chissà, domani mi succederà ancora qualcosa che oggi non so.

Pensi che la tua tendenza al rischio possa essere un esempio per ragazzi che talvolta hanno paura di azzardare e rimangono chiusi nella loro comfort zone?
Il tuo stimolo può essere quello di poter azzardare perché in qualche modo la vita vi ripaga e se non è quella la cosa giusta, puoi avere tutto il tempo e tutto il mondo di rifarti, in questo tipo di vita ci vuole tanta umiltà verso se stessi e sei non si è in grado di superare un ostacolo bisogna ovviarlo e trovare una soluzione per andare avanti chiedendosi che altra direzione posso prendere?
Ragazzi rischiate perchè verrete appagati dalla vita e non potete sapere se quel rischio che avete intrapreso vi possa portare a qualcosa di ancora più grande di quello che avevate pensato.

Tap Dance

Venerdì, 14 Febbraio 2025 16:06 Scritto da

Tommaso Maria Parazzoli ci racconta la danza che usa i piedi come uno strumento musicale

In Italia la disciplina della tap dance è conosciuta come tip-tap, parola onomatopeica utilizzata nel nostro Paese perchè in italiano rende il suono che emettono le scarpe con i tacchi delle scarpe (claquettes). Il nome italiano di questa disciplina tuttavia non rende senz’altro giustizia al suo vero nome, di origine americana, che ha insito sia il concetto di suono nella parola tap, che il concetto di danza e movimento nella parola dance; spiegando nel suo insieme quel legame indissolubile tra il suono che produce il corpo e il movimento del corpo che è tipico della danza, racchiudendo i due elementi fondamentali di questa forma d’arte.

 

Abbiamo parlato di questa disciplina con Tommaso Maria Parazzoli, sorprendente giovane artista di appena vent’anni che si è dedicato anima e corpo alla tap dance, di recente protagonista del programma Dalla Strada al Palco e ospite di Roberto Bolle per rappresentare la tap dance in Italia nel programma Viva la danza. Tommaso, a suo dire, usa il suo corpo come uno strumento musicale. Per lui, infatti, proprio come suggerisce l’etimologia del termine, il tap è 50% danza e movimento e dance 50% musica perché, ci spiega, i tap dancers hanno si uno strumento nei loro piedi ma utilizzano tutto il corpo per contribuire a creare il suono e l’aspetto più visivo legato alla danza.
La tap dance in Italia non è particolarmente praticata, tu come hai conosciuto e ti sei avvicinato a questa disciplina? “In realtà ho cominciato con la musica suonando prima il pianoforte e in seguito la batteria, poi ho scoperto il tap attraverso il musical e per me è stata un’unione del ritmo grazie alla sensazione dello sbattere i piedi.” La musica quindi ti ha aiutato nel tuo lavoro? “Assolutamente si perché il tap è uno strumento ritmico a percussione e mi ha aiutato moltissimo aver studiato batteria e conoscere la teoria musicale”.
Mi chiedo se ci sia una parte più prettamente sportiva in questa disciplina rispetto ad altri tipi di danza e Tommaso mi spiega che si c’è una parte più competitiva ma che anche la parte artistica e visiva è altrettanto fondamentale. Ci ha raccontato che all’inizio ha partecipato al Campionato mondiale di Tap Dance sin da piccolo assieme alla squadra di Trieste diretta da Michela Bianco. In seguito ha proseguito la sua carriera agonistica studiando a Roma con i tap dancers D’Angelo Brothers, 8 volte campioni del mondo. Le gare lo hanno spinto ad impegnarsi tantissimo nella tecnica perché, mi spiega, in quei campionati ci deve essere una tecnica eccelsa e l’aspetto sportivo prevale proprio in tal senso. Diversamente ci racconta che in questo momento preciso della sua vita ciò che gli interessa di più è creare anche delle performance che non abbiano necessariamente una difficoltà tecnica così elevata come quelle da campionato ma che siano ad un alto livello artistico. Quindi ora crei da solo le tue coreografie? “Molto spesso si, anche se non in modo esclusivo. Ad esempio la coreografia che ho presentato a Viva la danza l’ho creata da solo e ne sono molto orgoglioso.”
Una curiosità: mi sono sempre chiesta quale sia il ruolo dell’espressività nella tap dance. Nel tuo caso Tommaso è studio o talento naturale? O entrambe le cose? “Sin da piccolo sono estroverso in scena anche se non mi sento così nella vita e questa è senz’altro un talento naturale ma mi hanno aiutato molto gli studi di recitazione. Poi ballare senza la parte superiore e senza espressività è come non godersi la performance in generale quindi credo assolutamente che anche nella tap dance occorra essere estremamente coinvolti emotivamente per ballare in modo totale.”
E come è stato il tuo primo approccio con la danza accademica? “Mi sono avvicinato al musical quasi per caso, studiando subito danza, canto e recitazione, poi in quel momento non mi sono soffermato molto sulla danza perché poco dopo che avevo iniziato il corso di musical cercavano il bimbo protagonista del musical Priscilla. La regina del deserto e senza aspettarmelo per nulla ho vinto l’audizione. Poi ho cominciato a studiare sempre di più e in occasione dello spettacolo Ragtime ho conosciuto la coreografa Gillian Bruce che sarebbe poi diventata la mia prima maestra”.
Mi sono interrogata se fosse possibile oggi per un giovane tap dancer vivere di questo lavoro. Tommaso mi racconta che ora sta cominciando ad avere degli ingaggi, molti dei quali in teatro dove è orgoglioso di portare la sua arte, che gli permettono di vivere della sua passione ma che in questo momento della sua vita sta ancora spendendo molto del suo tempo a studiare anche altre discipline di danza in un’accademia di hip hop e sta studiando canto.
Cosa ti auguri per il tuo futuro anche per far conoscere maggiormente la tap dance in Italia? “Considero la Tap dance una forma d’arte e per questo mi piacerebbe iniziare a creare prima miei progetti di one man show e successivamente cercare di creare progetti d’insieme per creare opportunità anche per altri ballerini. Sto lavorando anche per cercare di contaminare il più possibile la mia danza creando coreografie che uniscano l’hip hop e la tap dance”.

Siamo certi che l’Italia avrà un degno rappresentante di questa disciplina che forse ci farà scordare il tip tap e ci farà sognare con la tap dance di nuova generazione. In bocca al lupo Tommaso!

 

Celebriamo 20 Anni di Passione e Talento: il Concorso Internazionale di Danza Expression

Venerdì, 14 Febbraio 2025 16:03 Scritto da

Il 2025 segna un traguardo straordinario: il 20° anniversario del Concorso Internazionale di Danza Expression, un evento che ha segnato un’importante tappa nella storia della danza e ha ispirato migliaia di giovani talenti a perseguire la loro passione. In questi due decenni, Expression è diventato un punto di riferimento per danzatori, coreografi e appassionati, promuovendo la bellezza della danza nelle sue molteplici forme e dando vita a una comunità che celebra la creatività e l’espressione artistica.
Il Concorso, da sempre organizzato da IDA International Dance Association, ente specializzato nella formazione e nell’organizzazione di concorsi ed eventi, ha sempre voluto portare sul palco valori di vita fondamentali, valori che ne hanno da sempre contraddistinto anche l’operato, come la trasparenza e l’imparzialità. Proprio questi valori e il lavoro svolto negli anni, hanno portato a Expression più di 300 giurati da tutto il mondo, pronti a giudicare senza pregiudizi, ma sempre mossi dalla passione e dall’amore per la danza e per i danzatori. Hanno collaborato con IDA per Expression alcune delle istituzioni più prestigiose a livello internazionale, come: Greenwich Conservatory Ballet, National Opera Of Zagreb, IADMS, Akram Khan Comany, Centro Cultural de Belém, SEAD - Salzburg Experimental Academy of Dance, Joffrey Ballet School e molte altre. L’elenco completo dei giurati è disponibile a questa pagina: https://www.concorsoexpression.com/giuria-borse-premi/


Un viaggio lungo 20 anni

Nato con l’intento di offrire una vetrina internazionale per i giovani danzatori, Expression ha visto crescere la propria partecipazione in modo esponenziale, accogliendo talenti provenienti da tutto il mondo. Il concorso ha avuto il merito di dare spazio a ogni disciplina della danza: dal balletto classico alla composizione coreografica, dalla danza contemporanea alla danza urbana e quella jazz fino ad abbracciare le evoluzioni più moderne. In questo arco di tempo numerosi danzatori hanno visto il proprio sogno di palcoscenico realizzarsi proprio grazie ad Expression ottenendo prestigiose borse di studio in tutto il mondo.
La forza del concorso non risiede solo nella competizione, ma anche e soprattutto nell’opportunità che offre a ogni partecipante di crescere, imparare e confrontarsi con alcuni dei più prestigiosi maestri di danza, direttori e coreografi a livello mondiale. Da 20 anni i partecipanti hanno l’occasione di essere giudicati da una giuria di esperti, molti dei quali sono diventati figure chiave nella carriera dei danzatori più promettenti.
Ogni edizione ha rappresentato una nuova sfida, una nuova opportunità per i giovani talenti di mettersi alla prova, di arricchirsi e di farsi conoscere dal pubblico, oltre ad entrare in contatto con professionisti che, con i loro consigli e la loro esperienza, li hanno accompagnati in un nuovo percorso verso la vita da professionisti.
Il concorso, che continua a essere un trampolino di lancio per le nuove generazioni di danzatori, non si ferma ai successi passati. Il suo obiettivo, rinnovato in ogni edizione, è di offrire sempre nuove esperienze formative e opportunità concrete per chi ama la danza.
Quest’anniversario è l’occasione perfetta per ripercorrere i successi di questi anni, senza dimenticare chi ha preso parte, anche solo per un momento, a questo grande momento di danza. Dalle prime edizioni fino ai giorni nostri, dai primi passi, fino ad affermarsi come uno dei concorsi più prestigiosi a livello internazionale, ogni edizione ha contribuito a costruire un legame forte tra la danza e il pubblico.


Il Futuro del Concorso di danza Expression

Con 20 anni di esperienza alle spalle, il Concorso Internazionale di danza Expression guarda al futuro con rinnovato entusiasmo e progetti ambiziosi. L’edizione speciale del 2025 non sarà solo un momento di celebrazione, ma un’opportunità per fare un bilancio delle conquiste raggiunte e tracciare una nuova strada per i talenti di domani. L’impegno è quello di continuare a crescere, rafforzando il legame con le scuole di danza e aprendo sempre di più le porte del concorso a danzatori di ogni parte del mondo.
L’anno del 20° anniversario sarà ricco di emozioni, con eventi speciali, uno spettacolo di gala e una serie di attività pensate per celebrare il percorso straordinario di Expression. Un’occasione unica per tutti coloro che hanno partecipato, che hanno vissuto le emozioni di questo concorso e per i nuovi danzatori che desiderano fare il loro ingresso in un mondo dove la danza è protagonista assoluta.
Nel celebrare questi 20 anni, il Concorso di danza Expression continuerà ad essere un simbolo di speranza e ispirazione per chi crede nella potenza dell’espressione artistica e nella bellezza del movimento. A chiunque sogni di danzare Expression è un invito a non smettere mai di credere nei propri sogni. 
E poi “chissà” i prossimi 20 anni potrebbero essere ancora più incredibili!

Dal cinema al palcoscenico, una nuova tendenza tutta da scoprire

Venerdì, 14 Febbraio 2025 15:51 Scritto da

Secondo un’inchiesta svolta dal New York Times (riportata da Francesco de Feo in un suo recente articolo su Rolling Stone) in tutto il mondo si sta assistendo ad una tendenza che ha portato ad un cambiamento notevole nella storia dell’entertainment del musical theatre: negli anni ’60 si stimava infatti che solamente il 5% degli spettacoli di Broadway provenissero da successi cinematografici, mentre già dal 2010 è stata registrata una controtendenza che ha registrato un incremento dei numeri fino a raggiungere il 41% della produzione totale.
Controtendenza che ancora oggi perdura amplificata dall’effetto pandemia e dalle chiusure forzate dei teatri, oltre al lavoro del compositore americano Lin-Manuel Miranda, straordinario deus ex machina del cambiamento, che ha saputo interpretare i linguaggi musicali odierni ricordando al pubblico globale quale fosse il fine naturale di un musical, sia dal punto di vista artistico che sociale; ovvero una messa in scena di un mondo fantastico che riesce a restituire allo spettatore equilibrio, armonia e ordine partendo, solitamente, da una situazione di difficile e conflittuale.
Tra i film di grande successo che hanno ispirato successivamente ai musical possiamo ricordare Singing in the rain, basato sul film della Metro-Goldwyn-Mayer diretto Stanley Donen e Gene Kelly che è andato in scena per la prima volta a Broadway nel 1985 e chiuso dopo essere andato in scena con oltre 360 rappresentazioni solo in America; Sweet Charity il musical diretto e coreografato da Bob Fosse che ha debuttato nel 1966 che si basa sulla sceneggiatura di Federico Fellini con palesi riferimenti al film da lui diretto Le notti di Cabiria; Footloose, basato sull’omonimo film del 1984 con la musica di Tom Snow  diretto da Walter Bobbie e le coreografie di AC Ciulla, che è andato in scena Broadway dal 1998 al 2000 con ben 709 repliche; Some Like it Hot/A qualcuno piace caldo, musical ispirato all’omonimo film di Billy Wilder girato nel 1959 che racconta la storia di due musicisti jazz che lottano durante il proibizionismo, è andato in scena per la prima volta a Broadway nel 2022 raccogliendo ben tredici nominations nel edizione di quell’anno dei Tony Awards e Billy Elliot il musical è basato sull’omonimo film del 2000 diretto da Stephen Daldry, prodotto e musicato da Elton John che ha debuttato qualche anno dopo al Victoria Palace Theatre di Londra.
Questa tendenza di trasposizione dal cinema al palcoscenico è sempre più evidente anche in Italia dove sono diversi i titoli che la confermano sia nelle scorse stagioni che nella stagione in corso. Una tendenza che, credo, si sta rilevando una preziosa opportunità per far conoscere anche ai giovani pellicole cinematografiche diventate punti cardine della storia del cinema.

Rochy è una storia che parla del trionfo dello spirito, della forza e dell’amore, basato sull’ononimo film del 1976 scritto e prodotto da Sylvester Stallone, che ne fu indimenticabile protagonista nella versione pellicola, ha debuttato a New York nel 2014 e ha chiuso dopo 188 repliche. Ora è in tour la versione italiana prodotta da Fabrizio Fiore Entertaiment con la musica e le liriche originali di Lynn Ahrens e Stephen Flaherty e con le coreografie e la regia di Luciano Cannito.

Tootsie, a quarant’anni anni dal successo del film del 1982 di Sydney Pollack, con un indimenticabile Dustin Hoffman accanto a Bill Murray, arriva per la prima volta in Europa in versione musical che ha debuttato a Chicago nel 2018. Mentre il film ruotava attorno al mondo delle soap opera, nella versione teatrale coinvolge un musical di Broadway ed è stato adattato in italiano da Massimo Romeo Piparo, su musica e testi di David Yazbek e libretto di Robert Horn. Nella prima versione italiana prodotta dalla PeepArrow e da Il Sistina, con coreografie di Roberto Croce, protagonisti in scena l’inedita coppia Paolo Conticini ed Enzo Iacchetti. Lo spettacolo ha debuttato a novembre al Lyrick di Assisi e girerà in tutta l’Italia fino a fine marzo.

Dirty Dancing torna in scena tra dicembre e gennaio al Teatro Carcano di Milano per festeggiare il decennale del suo debutto in Italia. Trasposizione teatrale dell’omonimo successo cinematografico del 1987 con Patrick Swayze e Jennifer Grey, lo spettacolo racconta la storia di Baby e Johnny con un’esplosione di musica travolgente e le originali coreografie sensuali e spettacolari di Kenny Ortega. Lo spettacolo è andato in scena per la prima volta in Italia nel 2006. La regia è affidata a Chiara Vecchi e Federico Bellone, che ha già diretto lo spettacolo nelle edizioni passate e l’ha portato in scena nei teatri esteri, tra cui il West End di Londra dove ha ottenuto un successo record nel 2022 e nel 2023. 

Anastasia è basato sull’omonimo film d’animazione del 1997 distribuito dalla 20th Century Fox, basato a sua volta all’omonimo film che valse l’Oscar ad Ingrid Bergman nel 1957. Il musical che include sedici canzoni nuove, oltre a sei scritte per il film, è stato rappresentato per la prima volta nel 2016 in Connecticut e l’anno seguente a Broadway. In Italia il musical verrà presentato per la prima volta tra dicembre e gennaio al Teatro degli Arcimboldi di Milano con le musiche e i testi di Lynn Ahrens e Stephen Flaherty e il libretto di Terrence McNally.

Saranno famosi/Fame è basato sul film di successo del 1980 ideato e prodotto da Davide De Silva e diretto da Alan Parker ed è andato in scena per la prima volta a Miami nel 1988 e poi in più di trenta paesi. Ora è in tour nell’adattamento di Luciano Cannito con protagonisti come Barbara Cola, Garrison Rochelle e Lorenza Maio.

Prova a prendermi approda a Broadway nel 2012 e ripropone in scena l’omonimo film campione d’incassi diretto da Steven Spielberg che racconta con star del calibro di Leonardo di Caprio e Tom Hanks la storia vera di Frank Abagnale Junior e di come, negli anni ’60, riuscì a imbrogliare banche, compagnie aeree, ospedali e alberghi per creare il proprio sogno americano. Alessandro Longobardi per Viola Produzioni ha prodotto la versione italiana che verrà presentata tra fine febbraio e metà marzo al Teatro Nazionale di Milano con protagonisti Claudio Castrogiovanni, Tommaso Cassissa e Simone Montedoro e le coreografie di Rita Pivano (Grease, Sister Act, Peter Pan, Rapunzel).

Sapore di mare il musical è un esempio di matrice tutta italiana e riporta in scena l’omonimo film diretto da Carlo Vanzina nel 1983. Il riadattamento teatrale, a cura di Fausto Brizzi ed Enrico Vanzina, debutterà a febbraio a Montecatini Terme e poi girerà fino a maggio riportando in vita, sempre con le coreografie di Rita Pivano, ben cinquantaquattro canzoni che raccontano le atmosfere scanzonate delle vacanze al mare negli anni ‘60.

Impossibile poi non ci citare il più iconico dei musical, il primo che ha raccontato di questioni sociali: West Side Story. Del 1957 il musical di Arthur Laurents, Stephen Sondheim e Jerome Robbins con le indimenticabili musiche di Leonard Bernstein, ispirato al Romeo e Giulietta di William Shakespeare, racconta una relazione combattuta da due fazioni della New York degli anni ’50. In tour nella prossima stagione a dicembre ha debuttato la nuova produzione di PeepArrow Entertainment che è stata adattata in italiano da Massimo Romeo Piparo, che ne firma anche la regia. Le musiche sono eseguite dal vivo con l’orchestra diretta da Emanuele Friello e le coreografie di Billy Mitchell (Cats, Matilda, Billy Elliot).


Curiosità

Jacopo Pelliccia, attore, cantante, regista e performer è proprio ora in scena nel ruolo del Tenente Shrank in West Side Story e suo fu anche il ruolo di George, maestro di pugilato nel musical Billy Elliot.
Per il terzo anno consecutivo Jacopo Pelliccia sarà docente per la sezione musical del tradizionale stage estivo di danza Campus organizzato a Ravenna da Ida. Jacopo Pelliccia lavora con i più importanti registi della prosa e del musical italiano tra cui Antonio Latella, Roberto Guicciardini, Massimo Romeo Piparo, Saverio Marconi, Maurizio Colombi, Massimo Natale, Bruno Fornasari, Alessandro Sena e Daniele Muratore. Dal 2007 affianca al mestiere di attore quello di regista con la creazione della compagnia Histryo teatro.

Danza, Pilates e il filo rosso che li unisce

Venerdì, 14 Febbraio 2025 15:42 Scritto da

Akai ito (赤い糸) è il nome della popolare leggenda giapponese “del filo rosso”. Questa leggenda racconta dell’esistenza di un filo rosso invisibile che collega destini indipendentemente dal tempo, dalle circostanze e dalle distanze. Il filo è simbolo di un legame predestinato, di un incontro che deve avvenire e rappresenta il concetto di unione e connessione. La Danza (nata prima) il Pilates (nato poi) sono discipline da sempre unite da un filo rosso. Entrambe sono discipline che necessitano di studio e ripetizione per riuscire a esperirle in maniera consapevole così da trarne il maggior beneficio possibile e la miglior performance individuale. Se dovessimo trovare delle parole descriventi e definenti la danza e il pilates potremo dire che:
✔ la danza è ARMONIA in movimento: l’armonia presuppone equilibrio, flessibilità, stabilità, fluidità, forza e coordinazione.
✔ il Pilates è FLESSIBILITÀ/ADATTABILITÁ psicocorporea: la flessibilità si raggiunge grazie alla sinergia muscolare, postura, economia di movimento, consapevolezza del movimento, percezione del proprio corpo, controllo.

La lettura attenta delle parole chiave, e ciò che sottendono, fa intuire quanto il Pilates possa essere d’ausilio a tutto ciò che riguarda il mondo Danza e quanto la danza possa interfacciarsi bene con il Pilates.
Il metodo Pilates (originariamente chiamato “Contrology”) nasce negli anni ‘20 grazie a Joseph Hubertus Pilates (1883–1967). Joseph Pilates sviluppò il suo sistema di allenamento con l’obiettivo di creare un metodo che unisse corpo e mente per migliorare forza, flessibilità, equilibrio e postura.
Il metodo è basato su una precisa programmazione di esercizi, definiti e codificati, che sviluppano il corpo in modo equilibrato lavorando sui muscoli profondi con una forte attenzione alla respirazione, alla precisione e all’allineamento. Il metodo fonda la sua tecnica su precisi principi (detti tradizionali del metodo): concentrazione, controllo, respirazione, centralizzazione, precisione, fluidità ed isolamento.
Gli schemi motori degli esercizi e i suoi principi rendono il Pilates adatto a tutti e indipendentemente dall’età o dal livello di forma fisica di partenza degli allievi.
Possono essere inoltre elaborati in modo da soddisfare esigenze personali specifiche, adeguando il tipo di difficoltà al livello di preparazione degli allievi (dai principianti ai professionisti) o alle necessità fisiche della persona, con particolare attenzione alla riabilitazione post infortunio.
Già dai suoi esordi il metodo di Joseph Pilates riscosse molti consensi tra ballerini e coreografi in Europa ed ebbe ancora più successo e diffusione nel mondo della danza all’apertura del suo primo studio a New York. Tra i suoi clienti si annoverano ballerini della caratura di Martha Graham, George Balanchine, Jerome Robbins e Alwin Nikolais.
La sua metodologia divenne molto popolare nel mondo della danza in quanto gli esercizi proposti avevano enormi benefici nel miglioramento della forza del core (centro del corpo), della stabilità, della mobilità, della postura (elementi essenziali per la tecnica esecutiva dei ballerini). Inoltre i ballerini che lo praticavano abitualmente notavano un migliore benessere fisico generale, una migliore performance e una riduzione degli infortuni da sovraccarico biomeccanico.
Oggi il Pilates viene inserito come materia integrante nei percorsi professionali e nelle scuole amatoriali proprio perché è riconosciuto come strumento fondamentale per i ballerini di tutti i livelli, non solo per migliorare la tecnica ma anche per prevenirne gli infortuni e coltivare il benessere generale.
Il Pilates rappresenta anche la naturale evoluzione nell’attività motoria di chi ha praticato danza a livello agonistico e non. Dall’osservazione dei partecipanti alle lezioni di pilates (che siano negli studi o nelle palestre) si riscontra un’elevata partecipazione di ex professionisti o appassionati che, una volta smesse le lezioni di danza, passano per “mantenersi” quasi fisiologicamente a praticare Pilates perché è una disciplina ad essa molto affine, soprattutto nelle sensazioni corporee che lascia alla fine della pratica.
Interessante notare come, anche nei percorsi formativi per diventare insegnati di Pilates, ci siano moltissimi insegnanti di danza spinti a essere loro stessi promotori di questo metodo così esaustivo per i loro allievi.
L’insegnante di danza è bene che si avvalga di un bagaglio di conoscenze ampio, che gli permetta di poter scegliere tra vari strumenti di supporto e non si limiti esclusivamente alla pura tecnica dello stile di danza che insegna.
Formarsi rispetto a tecniche posturali, di preparazione muscolare e di diversi tipi di approcci all’allungamento muscolo-fasciale, permette una pianificazione più approfondita del lavoro, un’attenta osservazione delle caratteristiche e peculiarità fisiche di ogni allievo, così da essere un utile mezzo di prevenzione e di massimizzazione del rendimento tecnico/artistico degli allievi.
Il metodo Pilates concepisce l’insieme degli esercizi non come semplice rinforzo o massificazione di un singolo muscolo ma come una sinergia muscolare dove l’attivazione dei muscoli è studiata in modo tale da promuovere l’equilibrio, l’economia e la flessibilità corporea.
Questo è molto utile nell’ambito danza perché spesso i ballerini tendono a sviluppare maggiormente determinati gruppi muscolari utili all’esecuzione di specifici gesti tecnici sottostimando così il vantaggio di avere una muscolatura uniformemente sviluppata e globalmente equilibrata. Tutto ciò si traduce in una muscolatura meno predisposta al sovraccarico e maggiormente incline all’infortunio. La tecnica della danza richiede spesso ampie escursioni articolari che vanno oltre i limiti fisiologici del corpo e ciò può portare a infortuni traumatici o da over-lavoro. Il metodo Pilates si concentra invece sulla flessibilità raggiunta non tramite stretching esasperati e prolungati ma attraverso l’esercizio e l’attivazione, principi in linea con la letteratura scientifica di oggi.

La conoscenza degli esercizi del pilates deve essere vista come la possibilità di avere tra le mani il filo rosso che unisce questi due fantastici mondi che sembrano paralleli. La parola “connessione” deriva dal verbo latino “connectĕre” che significa “legare insieme”… Pilates e Danza sono connessi insieme dal filo rosso della conoscenza.

Judith Jamison, un mondo interpretato attraverso la danza

Venerdì, 14 Febbraio 2025 15:36 Scritto da

Judith Jamison è una figura di quelle difficili da dimenticare, artista poliedrica, persona culturalmente stimolante, un’innovatrice nel mondo della danza moderna. Nata il 10 maggio 1943 a Philadelphia, Pennsylvania, Jamison è nota per le sue performance e per il suo lavoro innovativo con l’Alvin Ailey American Dance Theater (AAADT), per il quale è stata direttore artistico per più di vent’anni. Il suo viaggio nel mondo della danza e dell’arte in generale inizia nella sua città natale, grazie ad una famiglia di artisti e grazie alle prime lezioni di danza classica. Prosegue poi a New York City, dove si trasferisce per portare avanti il suo percorso di crescita artistica formandosi in istituzioni come la scuola dell’Alvin Ailey American Dance Theater. Proprio lì Judith trova la sua strada nella danza moderna, guidata e accompagnata proprio da Ailey.
Nel 1965 Judith Jamison si unì all’Alvin Ailey American Dance Theater dove raggiunse rapidamente il successo, grazie alla sua potente presenza scenica e alle sue capacità tecniche. In compagnia Jamison divenne particolarmente famosa per l’interpretazione dell’iconica opera Revelations, uno dei pezzi più famosi del repertorio di Ailey e una delle opere più eseguite nella storia della danza moderna.
Nel 1989, a conclusione di una carriera eccellente da ballerina, Jamison passò al ruolo di direttore artistico dell’Alvin Ailey American Dance Theater e in questa veste contribuì ad ampliare il repertorio della compagnia portando sul palco nuove opere pur seguendo l’eredità di Ailey.
Il lavoro di Jamison come direttore artistico ha garantito alla compagnia una visibilità più ampia a livello internazionale consentendole di raggiungere un pubblico più vasto e coltivando al contempo artisti emergenti. Nella sua arte coreografica ha unito danza moderna e cultura afroamericana.
La carriera e il lavoro di Jamison sono stati strettamente legati alla cultura e alla storia afroamericana. Ha sempre utilizzato la danza come veicolo per esprimere e celebrare l’identità afroamericana, in particolare attraverso il suo lavoro presso l’AAADT, dove ha messo in luce le esperienze, le lotte e le gioie delle comunità afroamericane. Sotto la sua direzione la compagnia, oltre a ottenere riconoscimenti artistici, è diventata anche un’importante istituzione culturale, valorizzando diversità, emancipazione e inclusione.
I contributi di Jamison alla danza moderna sono stati riconosciuti attraverso numerosi premi e riconoscimenti ed è stata celebrata per la sua straordinaria influenza sul mondo della danza. Oltre al suo lavoro con AAADT ha insegnato, coreografato e si è esibita per varie compagnie e festival in tutto il mondo. La sua eredità vive attraverso i ballerini che ha guidato, le opere che ha creato e il suo impatto sul panorama culturale.
Attraverso il suo lavoro Jamison non ha solo ridefinito il ruolo della ballerina, ma ha anche contribuito a una più ampia comprensione di come la danza possa servire sia come espressione artistica che come commento sociale. Jamison ha rappresentato intelligenza e avanguardia nel mondo della danza oltre a rappresentare una continua fonte di ispirazione anche per altri artisti… la sua influenza continuerà senza dubbio a ispirare generazioni di ballerini e coreografi negli anni a venire.

Alimentazione e movimento nei bambini di oggi, un equilibrio da ricercare quotidianamente

Venerdì, 14 Febbraio 2025 15:31 Scritto da

Mentre fino a qualche anno fa, come insegnante e ballerina, avrei affermato che la magrezza fosse l’unico sinonimo di bellezza; oggi, da nutrizionista, posso affermare, con maggiore cognizione di causa, che per essere belli occorre stare in salute, avere un BMI (Body Mass Index) ideale normopeso, uno stile di vita corretto e una alimentazione corretta, varia e bilanciata.
Questa dicotomia investe, purtroppo, ancora problematiche sociali e con dati decisamente allarmanti specie sui bambini: da una parte si riscontra l’aumento dei disturbi alimentari per difetto legati ad un malessere psicofisico di varia natura; dall’altra l’aumento ponderale per l’aumento di sedentarietà e insufficienza di attività motoria. Quest’ultima problematica l’ho proprio riscontrata di persona quando un mese fa sono stata nella scuola di uno dei miei figli per un progetto di promozione al movimento e alla mia domanda “che sport fate?” c’è stato il gelo in aula: solo 4 bambini su 10 svolgono un’attività sportiva costante… davvero un numero esiguo! Inoltre un buon 20% di loro non solo è sovrappeso ma, purtroppo, è obeso.
Nel panorama danza abbiamo affrontato di frequente il tema del sottopeso attraverso problematiche come anoressia e bulimia, ma il vero dramma di oggi, salvo i casi di disturbi alimentari sopra citati, non è la magrezza quanto l’eccesso di peso, deleterio per la salute dei bambini di oggi e gli adulti di domani. Purtroppo i bambini di oggi infatti…

Non si alimentano in modo bilanciato perchè: 
• non sono educati a mangiare in modo corretto a casa: spesso la routine frenetica non permette ai genitori di avere maggior attenzione su cosa dare da mangiare ai propri “cuccioli”;
• la ristorazione scolastica non propone menù accattivanti per i bambini, quindi spesso consumano solo quello che li ingolosisce di più;
• il non alimentarsi in modo bilanciato fa sì che i bambini abbiano appetito in orari di fuori pasto;
• l’alimentazione è spesso uguale, non varia e insufficiente a livello nutrizionale;
• spesso si accontenta la golosità del bambino per evitare i capricci.

Non si muovono e di conseguenza:
• aumenta la sedentarietà e la voglia di impegnarsi in uno sport;
• aumenta la paura che il bambino si ammali nel fare attività fisica e quindi spesso si opta per non far frequentare un’attività sportiva;
• i loro corpi crescono fragili e immunodepressi, pertanto meno sport porta a un rischio più alto di ammalarsi;
• la calcificazione delle ossa è ridotta al minimo, pertanto, soprattutto per le donne, aumenta il rischio di osteoporosi in età adulta;
• aumento ponderale e conseguente aumento dei fattori di rischio per le malattie cardiache e oncologiche.

I miei buoni consigli per alimentare i bambini in modo corretto e per uno stile di vita sano? 
1. il pasto principale deve essere completo di carboidrati, proteine e fibre
2. mai saltare il pasto principale 
3. la merenda deve integrare e mai sostituire il pasto principale 
4. bere acqua sempre almeno 1,5L
5. fare attività fisica giornaliera tutti i giorni
6. dormire bene nel proprio letto 9-11 ore 

Nello specifico poi la colazione è il pasto più importante: i pancake ad esempio sono il piatto che i miei bambini preferiscono e anche io perché li prepariamo insieme. Non manca mai sulla nostra tavola una confezione di probiotici, frutta secca e frutta fresca. A pranzo e a cena i bambini amano la pasta o il riso, finiamo con formaggino e insalata oppure carne, preferibilmente bianca, cucinata con diverse modalità, e carote. La frutta in inverno che preferiscono è l’uva! Ma qualsiasi frutta va bene! 
Lo so, avere bambini a cui piace frutta e verdura è un miracolo. Anche i miei figli non consumavano nulla di verde… ma il miglior esempio siamo noi genitori e tutto verrà di conseguenza. Anche come insegnanti di danza il nostro ruolo può essere fondamentale e si può agire in tal senso proponendo, ad esempio, incontri di educazione alimentare condotti da esperti per sensibilizzare genitori e bambini.
Ma attenzione… parliamo sempre con i genitori con estrema delicatezza, perché è molto facile passare dalla coach responsabile alla strega cattiva!!!

Le danze ibride, il mondo da forma all’arte

Venerdì, 14 Febbraio 2025 15:26 Scritto da

La globalizzazione ha avuto un impatto profondo su molteplici aspetti della cultura mondiale e la danza non è esclusa da questo fenomeno. Le danze ibride, che nascono dall’incontro e dalla fusione di tradizioni coreutiche provenienti da diverse culture, sono uno dei principali risultati di questo processo. La globalizzazione, facilitata dai mezzi di comunicazione e dalla mobilità internazionale, ha permesso la mescolanza di stili di danza dando vita a nuove forme artistiche che sfidano le categorie tradizionali e promuovono nuove modalità di espressione corporea.

Le radici del fenomeno sono da ricercarsi nell’incontro di stili tradizionali con influenze moderne o da scambi interculturali che, a volte, riducono i contesti originari delle danze, ma al contempo favoriscono la creazione di nuove forme. Questo fenomeno è il risultato di numerosi fattori legati alla globalizzazione: la migrazione delle persone, l’accesso globale alle informazioni e la crescente mobilità artistica. Il fenomeno delle danze ibride può essere osservato in vari contesti, dalle metropoli cosmopolite alle scene locali di danze contemporanee.

Ad esempio l’hip hop ha radici nella cultura afroamericana di New York ma la sua diffusione in tutto il mondo ha portato alla nascita di molteplici varianti influenzate da tradizioni locali e altre forme di danza creando nuove espressioni a livello mondiale, dall’India alla Francia, passando per il Giappone e l’Africa.

La mescolanza di movimenti provenienti da tradizioni e stili diversi caratterizza sicuramente questo processo umano portando così a includere, in stili codificati a livello internazionale, anche le danze popolari. Questa mescolanza di stili, tecniche, ritmi e linguaggi corporei produce forme uniche che portano la danza a superare le diatribe culturali e le varie convenzioni arrivando a creare stili comprensibili a un livello artistico più ampio e profondo con linguaggi che vanno a integrare stili in apparenza diametralmente opposti ma che, con un’osservazione più attenta, sono sicuramente espressione della stessa anima.

Nonostante ciò, il dibattito internazionale porta alcuni interrogativi nella valutazione culturale di queste danze all’interno delle quali troviamo espressioni identitarie di più culture, dove la somma degli elementi è sicuramente una forma artistica nuova con una sua propria identità. Tutto questo porta ad un arricchimento di più culture ma, come abbiamo imparato in questi ultimi decenni, la globalizzazione ha spesso appiattito le caratteristiche peculiari di alcune tradizioni e culture vedendo sfumare o alleggerire alcune peculiarità identitarie proprie di alcuni stili.

Personalmente sono per cogliere le opportunità che queste unioni e queste mescolanze possono offrire a una società sempre più multiculturale: dialogo e apertura.
Queste sono le parole chiave che è fondamentale evidenziare in questo particolare momento storico dove ci scontriamo quotidianamente con episodi di intolleranza e mancanza di comprensione tra culture. Il dialogo tra forme artistiche provenienti da contesti culturali differenti può aiutare ad abbattere le barriere culturali creando uno spazio comune in cui diverse tradizioni si incontrano e si arricchiscono a vicenda.
La danza può diventare così un mezzo per superare le differenze promuovendo la comprensione reciproca e la cooperazione, come spesso accade nei festival di danza internazionale dove si esibiscono ballerini provenienti da tutto il mondo creando performance collettive che fondono stili e tradizioni diverse.

Questi ultimi decenni sono stati e lo sono ancora oggi decenni di enormi mutamenti storico-sociali dove le parole inclusione e multietnicità hanno acquisito significato e grazie ai quali, pian piano e a piccoli passi, anche le persone stanno acquisendo consapevolezza di un mondo che non c’era e adesso c’è: un mondo di cui la danza ibrida è naturale espressione.

Balletcore, la “moda mania” che porta il balletto nei nostri armadi

Venerdì, 14 Febbraio 2025 15:21 Scritto da

Un trend contemporaneo e in continua ascesa è il balletcore ovvero la tendenza a portare in passerella e nel quotidiano l’abbigliamento tipico della danza classica.

Una tendenza esplosa con la collezione Autunno/Inverno 2022/2023 di Miu Miu quando Miuccia Prada reinterpretò nuovamente le iconiche ballerine con nastri e fibbie presentante nella collezione primavera/estate 2016 ma in nappa e in raso rosa fermate da una fascetta loggata abbinate a calzettoni che richiamavano le classiche forme degli scaldamuscoli, tutto sui toni morbidi e neutri tra il grigio e il rosa aggiungendo però combinazioni non proprio convenzionali: calze a coste spesse, accessori in chiffon, minigonne e bomber di pelle. Ne emerse una nuova versione del balletcore che andava ad aggiungere un twist brioso e frizzante e che andava a “svecchiare” la rigidità stilistica del trend in una veste molto più sensuale richiamando i “favolosi” anni ’80… chi non si ricorda il leggings e il tulle di una allora sconosciuta Madonna?

Nella collezione Haute Couture primavera/estate 2024 di Chanel, Virginie Viard, direttrice creativa della maison, in passerella ha portato gli elementi tipici del balletto cercando “di riunire la potenza e la finezza dei corpi e degli abiti in una collezione molto eterea, composta da tulle, volant, plissettature e pizzi” inserendo nel mondo del balletto e della danza anche tipici inserti della maison come il bottone caratterizzato dalla doppia C, da sempre simbolo di emancipazione degli abiti creati dalla maison. La collezione si declina in gonne corte e dritte trasparenti, abiti lunghi, tute e mantelline impreziosite da ricami che raffigurano drappeggi, fiocchetti, tasche di tulle illusorio, cinture di pizzo, paillettes, trecce e fiorellini regalando una collezione dominata da colori tenui come rosa, bianco, avorio, panna ispirati ai balletti russi. Proprio dai quei Ballets Russes che stregarono Coco Chanel nella visione dello spettacolo Serge of Spring presentato da Serge Diaghilev nei primi decenni del ‘900 che poi la condussero, nel 1924, a firmare gli abiti di Le Train Bleu. Lo spettacolo, che presentava in scena oltre a coreografie di danza classica, acrobazie e protagonisti inusuali per un balletto, come un nuotatore o un tennista, il contributo della stilista fu proprio quello di avere creato costumi comodi come tutine intere in jersey che permisero ai performer di eseguire i movimenti senza difficoltà, regalando agli artisti in scena la medesima libertà che Chanel regalava ad ogni donna con i suoi iconici abiti.

Il balletcore non si è fermato neanche nelle collezioni autunno/inverno dove questo trend, tra strade e passerelle, ha riproposto in particolare il tutù in una nuova versione 2024 che vuol far dimenticare le versioni con delicate tinte pastello per far spazio al nero e alla sua connotazione dark con più strati di tulle di Simone Rocha e alle gonne-tutù in pelle semirigide ideate da JW Anderson.
Ma finisce qui? Tutt’altro! Durante la Milano Fashion Week si sono già potute vedere le anticipazioni per la bella stagione e con la collezione primavera/estate 2025 presentata da Ferragamo il direttore creativo della Maison, Maximilian Davis, ha portato in passerella la grazia tipiche delle ballerine in scena dandone un’interpretazione che può però soddisfare la donna contemporanea traslando i codici estetici della danza e facendoli diventare parte di un guardaroba contemporaneo.

Davis ha portato in passerella il tipico abbigliamento da sala danza aggiungendo però un tocco di eleganza con sandali infradito e pumps con il tacco che richiamano esplicitamente le scarpette con il gesso e i lacci di raso con nuances che vanno dal mattone al rosa carne ai marroni neutri per poi passare dal blu elettrico al rosso. Il legame con la danza del “Ciabattino delle stelle”, così venne rinominato Salvatore Ferragamo negli anni ’20 del 900 quando aprì il suo negozio a Hollywood, non è del tutto nuovo. Fu importante il suo rapporto con Rudolf Nureyev e con Katherine Dunham, ballerina, coreografa e antropologa e, si racconta, che Ferragamo lavorasse alla progettazione delle ballerine fin dagli anni Venti studiando l’anatomia del piede per creare forme innovative.

In diversi si sono interrogati sul successo di questo trend. Patricia Mears, curatrice del libro Ballerina: Fashion’s Modern Muse, ha dichiarato che “l’uso dei social media da parte delle compagnie di danza classica e delle loro étoile sta contribuendo a rendere la forma d’arte più accessibile” mentre la giornalista statunitense Dale Arden Chong quando ha dichiarato che questa tendenza abbia “a che fare non solo con la danza ma con il comfort e con tutti quei capi che ci permettono di muoverci liberamente” rendendo fashion i tipici outfit dell’allenamento di un ballerino: scaldamuscoli, cardigan, scarpette, scaldacuore e top a portafoglio. Con la voglia di libertà che i giovani continuano a rivendicare anche attraverso la moda (Coco Chanel insegna) ecco che il balletcore continua a diffondersi in maniera capillare specie nella Generazione Z attraverso i social più seguiti dai giovani.

Credo che sentiremo parlare ancora a lungo di questa “moda mania” che connette il mondo della moda e quello del balletto in maniera esemplare.

GiocoLab, il gioco come strumento per l'insegnamento della danza contemporanea

Venerdì, 14 Febbraio 2025 13:15 Scritto da

 

Introduzione

Da sempre il gioco ha accompagnato l’uomo. Possiamo dire che è antico quanto l’uomo (come hanno datato alcuni archeologi la sua nascita sembra risalire al 9000 a.C)1, lo ha accompagnato nel corso di tutta la storia; quindi, giocare fa parte della natura umana, guida l’uomo ad apprendere, sperimentare, conoscere e conoscersi. Il filosofo Bernard Suits (1925 – 2007) afferma: “Giocare un gioco è il tentativo volontario di superare ostacoli non necessari. I giochi ci mettono alla prova con ostacoli volontari e ci aiutano a mettere meglio a frutto i nostri personali punti di forza.”
L’elemento introdotto da questa definizione è l’interpretazione del gioco come una palestra evolutiva, in quanto offre la possibilità di sperimentazione dei limiti e dei punti di forza di ciascuno, in una prospettiva di costruzione di competenze e abilità.


Importanza del gioco

Il ruolo che il gioco assume nell’apprendimento è fondamentale: aiuta a sviluppare la creatività e la curiosità, permette di migliorare l’integrazione sociale e l’acquisizione di regole, è inoltre un’ottima palestra per abituarsi a far fronte a situazioni imprevedibili sviluppando così la flessibilità del pensiero. È tramite il gioco che possiamo sviluppare la nostra capacità di “pensiero laterale” che ci ha proposto lo psicologo e saggista E. De Bono (1933 – 2021) parlando della creatività; modalità di pensiero che ci aiuta a cercare alternative quando ci si trova di fronte ad un problema che ci sembra irrisolvibile. Dobbiamo ricordare comunque che il gioco non è un fenomeno esclusivo della specie umana. Se teniamo in isolamento totale dei ratti dal momento della nascita fino all’età di 23 giorni (momento in cui i ratti allevati in ambito sociale iniziano a giocare) messi insieme ad un altro ratto, dopo poco iniziano a giocare con entusiasmo. Anche nei primati e negli altri mammiferi l’impulso a trattenersi in giochi in presenza dei conspecifici emerge in modo spontaneo.
Ma cosa è così importante nel gioco tanto da mantenerlo presente nel nostro sistema organizzativo? Sappiamo che l’evoluzione ha premiato con la gratificazione i comportamenti importanti per la sopravvivenza. Qual è dunque la funzione adattiva importante per la sopravvivenza che il gioco svolge?
Le strutture cerebrali del circuito del gioco sono fortemente connesse a quelle del sistema di ricompensa cerebrale ed il gioco provoca sensazioni fortemente gratificanti. Le sostanze chimiche cerebrali secrete durante il gioco che hanno un ruolo più importante nel generare la gratificazione sono: gli oppioidi endogeni; la dopamina (responsabile dell’euforia del gioco); gli endocannabinoidi. Nel 2012 Sam Wang e Sandra Aamodt (neuroscienziati) hanno pubblicato su Pub Med Central2 un articolo dal titolo “Play, Stress, and the Learning Brain” (“Gioco, Stress e cervello che apprende”). In questo studio viene indagato un aspetto particolare del cervello che genera alcuni segnali chimici che codificano una componente chiave del movimento: la ricompensa. Questa qualità viene trasportata nel cervello dalla dopamina, il principale neurotrasmettitore che ha diverse funzioni a seconda di dove e quando viene rilasciato3. Dunque, quando sperimentiamo una ricompensa, come il nutrimento, l’attività motoria o il gioco, il cervello rilascia dopamina. Durante l’atto del gioco e dell’attività fisica, la dopamina viene liberata nelle aree del cervello associate al piacere, all’apprendimento e alla motivazione. Oltre alle attività appena esplicitate, la dopamina svolge anche altre importanti funzioni nel cervello, come il controllo dei movimenti e del livello di attenzione, la regolazione dell’umore e la partecipazione ai processi di apprendimento e di memorizzazione4. Questo articolo può essere utile per comprendere gli effetti della dopamina sul comportamento e sulla motivazione, questo a sua volta può aiutare a promuovere stili di vita attivi e sani, incoraggiando lo svolgimento di giochi e dell’attività motoria.
Sempre dalle neuroscienze è stato dimostrato come il gioco sia importante per lo sviluppo epigenetico e la maturazione della neocorteccia. Lo psicologo e neuroscienziato Jaak Panksepp (1943-2017) ha scoperto che il gioco stimola la produzione di una proteina, nota come fattore neurotrofico derivato dal cervello (BDNF), nell’amigdala e nella corteccia prefrontale che sono responsabili dell’organizzazione, del monitoraggio e della pianificazione per il futuro”5. Panksepp dimostra così che il gioco stimola la produzione di BDNF, la quale favorisce la crescita neuronale e sostiene che il gioco aiuta a migliorare la plasticità cerebrale, ovvero la capacità del cervello di cambiare e di adattarsi6.
Si può concludere dicendo che gli studi neuroscientifici hanno evidenziato l’importanza del gioco e i suoi effetti positivi sulla formazione del cervello, sull’apprendimento e sullo sviluppo sociale ed emotivo dei bambini. Le neuroscienze hanno sottolineato anche l’importanza di incoraggiare le attività che prevedono lo svolgimento di giochi per promuovere una crescita sana ed equilibrata.


Laboratorio GiocoLab

Giochi realizzati per l’apprendimento dei fattori del movimento: Spazio, Tempo, Peso e Flusso.
Crescendo l’uomo perde la capacità e l’abitudine di giocare. Questo può essere attribuito a tanti fattori: responsabilità e impegni, aspettative sociali, stress e fatica, evoluzioni degli interessi ma anche dall’ambiente e dalla cultura. Tutto ciò porta a promuovere l’idea che gli adulti debbano comportarsi in modo serio e responsabile facendoli sentire inibiti all’idea di giocare e quindi giocare viene considerato un comportamento infantile. Obiettivo del laboratorio è stato quello di far assimilare in modo divertente ed efficace gli elementi fondamentali del movimento attraverso una metodologia improntata sul gioco e utilizzando dei materiali per ricreare dei giochi già esistenti.
Il gioco ricopre un ruolo fondamentale per la realizzazione di questo obiettivo che oltre a creare un ambiente favorevole all’apprendimento stimola la creatività e libera la mente dal pensiero razionale agevolando la spontaneità del movimento. Sono stati così realizzati e personalizzati tre giochi: uno sull’esplorazione delle qualità di movimento, uno sull’esplorazione dello spazio personale (Kinesfera) e dello spazio generale e un terzo gioco improntato sui quattro fattori attraverso la personalizzazione del gioco da tavola Twister.

Gioco 1 “Esplorare le qualità del movimento”
Obiettivo del gioco: esplorare tutte le qualità di movimento, stimolare la creatività ed acquisire la capacità di osservare, analizzare e riconoscere i fattori di movimento (spazio, tempo, peso, flusso) nel proprio corpo e nei compagni.
Materiali: Carte realizzate in cartoncino con immagini della natura (fango, lava del vulcano, vapore, vento, nuvole, ruscello ecc…) e carte già esistenti del gioco Dixit®.
Il gioco si svolge estraendo casualmente una carta ogni allievo deve improvvisare e interiorizzare la propria carta, realizzando nel corpo l’immagine (o ciò che essa suscitava) con libertà e creatività rendendola tridimensionale e viva attraverso il movimento.

paesaggi

Carte con immagini della natura


Gioco 2 “Costruire lo spazio”

Obiettivo del gioco: conoscenza dei solidi platonici utilizzati anche da Rudolf Laban nelle sue teorie dello spazio, consapevolezza dello spazio e l’orientamento delle parti del corpo nello spazio durante il movimento.
Materiali: costruzioni magnetiche costituite da sfere di metallo e bastoncini colorati.

solidi

Solidi platonici costruiti con bastoncini e sfere di metallo

Una volta realizzati, osservati e toccati i solidi sono stati disposti nello spazio, per aver sempre presente tale forma in 3D. Il gioco si è svolto con l’idea che l’allievo stesse all’interno di questi solidi e che con le singole parti del corpo disegnava gli spigoli dei solidi (ottaedro=12 spigoli; cubo=12 spigoli; icosaedro=30 spigoli) o raggiungendo i vertici con una o più parti del corpo (ottaedro=6 vertici; cubo=8 vertici; icosaedro=12 vertici). Giocando con i livelli del corpo nello spazio e attraversando lo spazio con traiettorie libere. Inizialmente con movimento libero dopo inserendo lo SPAZIO, il PESO, il TEMPO e il FLUSSO con le loro rispettive polarità:
• SPAZIO: diretto – indiretto
• PESO: leggero –pesante
• TEMPO: sostenuto – improvviso
• FLUSSO: libero – controllato


Gioco 3 “Esplorare i fattori spazio, peso, tempo, flusso”

Obiettivo del gioco: consapevolezza e conoscenza delle parti del corpo, il rapporto con lo spazio (esplorando le traiettorie e i livelli del corpo nello spazio), gestire il flusso di energia attraverso le diverse qualità date dalle densità che esistono in natura e la relazione con gli altri.
Materiali: due orologi realizzati in base agli obiettivi e scopi e marcatori colorati circolari adesivi per pavimento.

marcatori

I marcatori colorati collocati sul pavimento della sala

Per poter estrarre casualmente le possibilità di movimento sono stati realizzati due orologi: uno con le parti del corpo, i livelli spaziali e le qualità di movimento;
Rosso: livello medio; Giallo: livello basso; Azzurro: livello alto; Verde: livello libero.

orologio

Orologio con indicate le parti del corpo

il secondo orologio con il fattore tempo con quattro polarità: lento, veloce, veloce e lento alternati e tempo costante con pause.

orologio bis

Orologio indicante le quattro polarità

Questi sono i giochi che sono stati realizzati per il laboratorio in danza contemporanea, denominato GiocoLab, indirizzato a dei ragazzi di età compresa tra i 19 e i 25 anni.


Conclusioni

Proporre un laboratorio sul gioco, in ambito coreutico di danza contemporanea, a dei ragazzi adulti ha dato dei risultati positivi e ha contribuito significativamente al loro apprendimento in modo inconsapevole, profondo ed efficace. Questo approccio ha dato i suoi frutti migliorando la capacità creatività degli allievi, aumentando la loro motivazione durante le attività, riducendo lo stress, la fatica e rafforzando le relazioni sociali.
Il gioco crea un’atmosfera che permette di porsi in uno stato di accoglienza generale nei confronti di tutto quello che può accadere e così predispone in maniera spontanea ad uno stato di ricerca. I concetti proposti sotto forma di gioco con l’utilizzo di immagini, oggetti e materiali costruiti secondo gli obiettivi da raggiungere hanno stimolato maggiormente gli allievi poiché hanno facilitato l’incorporazione di principi anche complessi.
Possiamo dire che anche il compito dell’insegnante, cioè riuscire a creare un ambiente sereno, piacevole e stimolante, viene sicuramente facilitato dall’utilizzo del gioco aiutandolo a sviluppare questa atmosfera che sicuramente permette una acquisizione molto più rapida di tutti quegli elementi che possono concorrere a sviluppare delle migliori capacità artistiche e ad avere una maggiore conoscenza teorica degli elementi di base.


1. SCIARRA E. “L’arte del gioco”, Ugo Mursia Editore, Milano, 2010
2. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/. PubMed è una banca dati biomedica accessibile gratuitamente online, sviluppata dal National Center for Biotechnology Information (NCBI) presso la NationalLibrary of Medicine (NLM).
3. Cfr. Articolo “Play, Stress, and the Learning Brain” di Wang S. e Aamodt S.
4. Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Dopamina.
5. Cfr. OLIVIERI, D., Mente-corpo, cervello, educazione: L’educazione fisica nell’ottica delle neuroscienze, in “Formazione & Insegnamento”, XIV (1), 2016, p. 94
6. Ivi, pp. 94-95.

 

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