La scuola di danza è un luogo in cui si coltiva il talento e si alimentano passioni. A questa idea molto romantica, che conduce tanti giovani verso l’insegnamento, fa da contraltare la necessità di affrontare la professione di maestro/a muniti di razionalità e senso pratico.
Condurre i propri allievi attraverso lo studio della tecnica classica impone, infatti, una grande responsabilità.
La danza classica forgia e modifica il corpo in base a dei codici ben precisi, pensati per donare grazia, forza, espressività ed eleganza. Il maestro deve conoscere le caratteristiche e le possibilità di un corpo che si sviluppa e che diventa adulto; deve saper raccontare, mostrare e correggere, guidare i propri allievi attraverso il percorso di apprendimento della tecnica. Esiste un compito più bello ed emozionante? Per condividere con gli allievi le proprie conoscenze, l’insegnante deve essere in primis in possesso di tutte le nozioni che andrà a trasmettere.
Il corso per insegnanti di danza classica dell’IDA rappresenta un momento fondamentale nella formazione dei futuri docenti di danza classica.
Sono attive le iscrizioni al corso di Propedeutica della Danza Classica con il Maestro Marco Batti. Informazioni e iscrizioni a questo link >
Ecco i nomi e i volti delle allieve che hanno superato nel mese di Aprile l’esame finale, ricevendo il plauso del Maestro Marco Batti, docente preparatore affiancato dalla sua assistente Isabella Ruzier e dalla commissione composta dalla Sig.ra Rosita di Firma e la Sig.ra Iride Sauri.
CISTERNINO IVANA
DEIANA SILVIA
GIANCRISTOFARO ELEONORA
LODOLA DENIS
LUGNAN ELEONORA
MAGNI VIRGINIA
NARDELLA ANNA CAROLINA MARIA
TURCHETTI MONICA
© Expression Dance Magazine - Agosto 2018
«Danza e musica sono […] a tutti gli effetti “arti sorelle” e, per usare un’espressione di Jean-Georges Noverre, “si stringono la mano” in tutti i campi: da quello teorico a quello compositivo e scolastico». Così Valerio Basciano nel volume da lui curato, scritto da Marina Gendel e Flavia Pappacena, dal titolo "Lezioni di danza in musica. Teoria e pratica dell’accompagnamento al pianoforte". Vorremmo soffermarci su un aspetto che non sempre viene messo in luce quanto sarebbe necessario, cioè sull’importanza della musica per la lezione di danza classica e in particolare dell’accompagnamento dal vivo della lezione.
Quando si dice che l’accompagnamento del pianista durante la lezione di danza è “al servizio della danza” non si fa riferimento tanto ad un “asservimento” della musica alla lezione di danza, quanto alla capacità del pianista di adeguare le strutture dinamico-ritmiche della musica da lui costruita alle peculiarità delle forme espressive, dinamiche e qualitative del fraseggio (del movimento e del passo) composto dall’insegnante di danza. Quindi è molto importante che l’insegnante di danza conosca gli elementi costitutivi della teoria musicale e componga il proprio esercizio correttamente affinché il pianista possa ri-comporre adeguatamente le strutture dinamico-ritmiche richieste dall’insegnante.
Come racconta Basciano, la musica, a partire da quella che il danzatore Ludwig Theodor Smith, conosciuto anche come Louis Forgeron, compone tra il 1894 e il 1910 per le lezioni di tecnica Bournonville, può «fornire […] un valido supporto alla memorizzazione della struttura e della dinamica dei movimenti». È quindi fondamentale che ad ogni esercizio sia assegnata la musica giusta, cosa che è una parte vitale del processo di insegnamento.
Anche Grazioso Cecchetti, riferendosi al padre Enrico, «sottolinea come lo spartito musicale sia “parte integrante del metodo stesso”, dal momento che ogni brano “si adatta perfettamente per ritmo, durata e accentazione alle esigenze specifiche dell’esercizio che accompagna”».
Solo ad Agrippina Vaganova – conclude Basciano – «si deve» però «l’elaborazione di un meticoloso sistema di scansione ritmico-dinamica». Le improvvisazioni musicali di S. S. Brodskaja, che corredano la lezione esemplificativa inserita nella terza edizione del manuale di Vaganova, «denotano la capacità della musica di descrivere fedelmente la traiettoria, i passaggi fondamentali e la dinamica dei singoli elementi dell’esercizio, dando il giusto ritmo alle fasi di ciascun movimento. […] La musica pertanto «non si limita ad accompagnare semplicemente il movimento ma è dal movimento che essa nasce e si sviluppa».
Per saperne di più:
Massimiliano Scardacchi e Francesco Ragni saranno presenti allo stage Expression che si terrà a Ravenna l'8 e il 9 dicembre 2018 per le lezioni di classico e per condurre un incontro del Percorso di Analisi Microteaching "Danza, Musica e Movimento" incentrata sulla lezione con accompagnamento musicale. Maggiori informazioni a questo link >
Infatti, si afferma che la musicalità (un corpo musicale) è un’abilità vitale per un danzatore e si acquisisce attraverso una corretta esecuzione ritmico-dinamica dei movimenti e dei passi soprattutto nei primi corsi accademici. Affinché la musica possa nascere dal movimento non sarà più sufficiente sceglierne una preesistente, quand’anche essa sia funzionale all’esercizio, ma sarà necessaria la presenza del pianista che, traducendo in musica le scansioni ritmico-dinamiche elaborate dal docente di danza secondo il sistema di Vaganova, potrà costruire la musica sul movimento tramite l’improvvisazione. Questo non significa che in assoluto non si debbano usare nella lezione di danza musiche preesistenti, pratica testimoniata almeno fin dalla prima metà dell’Ottocento: l’improvvisazione è però a nostro avviso più funzionale per questo aspetto.
Inoltre, il sistema improvvisativo per la composizione della musica per gli esercizi di danza comporta notevoli vantaggi pedagogici nella gestione della classe da parte del pianista rispetto all’uso di musica preesistente:
1. il pianista e l’insegnante non perderanno tempo durante la lezione a trovare la musica giusta dallo spartito;
2. il pianista non dovrà pensare alla memorizzazione visiva dello spartito, evitando di distrarsi; potrà in questo modo occuparsi con attenzione (mente-sguardo) di ciò che l’insegnante compone, sviluppando così una interazione armonica e una collaborazione tra lui, l’insegnante e l’intera classe;
3. il pianista potrà seguire la classe insieme all’insegnante senza guardare lo spartito e collaborare così alla crescita motivazionale, allo sviluppo dell’energia in classe (climax); non sarà un semplice soggetto asettico: ecco perché si definisce maestro collaboratore.
Dal canto loro le musiche preesistenti potranno essere molto utili in funzione dell’educazione musicale degli allievi, di cui – secondo quanto scriveva Zarko Prebil nella prefazione al volume "Musica e danza" di Antonio Sorgi – sono responsabili i pianisti accompagnatori. In questo modo l’educazione musicale non consisterà solo in un’educazione all’ascolto, ma si configurerà come una vera e propria formazione culturale. Tali musiche già esistenti, se proposte e ripetute in più lezioni in un certo periodo di tempo, si imprimeranno nella memoria degli alunni, costituendo un repertorio che potrà accompagnarli tutta la vita. Il pianista tra un esercizio e l’altro potrà brevemente dire agli allievi quello che sta suonando e successivamente, dopo aver suonato e presentato il brano per un certo numero di volte in più lezioni, potrà chiedere loro di individuare il brano che ha eseguito. Questa richiesta del pianista li costringerà ad “aguzzare le orecchie” per riconoscere la musica di repertorio da lui proposta: essa, lungi dal distrarli – come sosteneva il Maestro Tarasov – a nostro avviso contribuirà in maniera determinante a formare negli allievi quella che sopra abbiamo definito musicalità, perché essi avranno un motivo in più per ascoltare con attenzione la musica, che a volte rischia di diventare un sottofondo. Con questo non si intende certo affermare che la musica improvvisata non sia interessante, ma che le musiche già esistenti a nostro avviso stimolano in maniera forse più spiccata la curiosità musicale dell’allievo, che può impegnarsi a riconoscerle.
La presenza del pianista comporta – come nota giustamente Sorgi – la «collaborazione» nella lezione «tra due figure che operano nel settore artistico», un insegnante di danza e un musicista, «in cui si parlano due lingue diverse». Tale collaborazione consiste in una determinata prassi osmotica tra le due figure, pedagogica e didattica (metodologia didattica): l’insegnante, con la sua voce, il canto, suoni onomatopeici, le sue conoscenze metodologiche della musica, crea l’esercizio; il pianista di conseguenza compone e rispecchia fedelmente le qualità (dinamiche, ritmiche, melodiche e timbriche) del dettato-movimento composto dall’insegnante, contribuendo a definire il carattere dell’esercizio, anche con proprie variazioni che scaturiscono dalla propria creatività.
Affinché l’interazione tra le due figure sia proficua, è necessario che l’insegnante possa comunicare con il maestro accompagnatore «attraverso un linguaggio musicale appropriato e non […] approssimativo»: “quell’accennare” o “declamare” l’esatto carattere e le giuste dinamiche dell’esercizio cui facevamo riferimento poc’anzi «può essere riportato graficamente attraverso […] la notazione musicale». È pertanto indispensabile che l’insegnante di danza conosca e sappia padroneggiare i fondamenti della musica: i principali elementi di una linea melodica, il battere e il levare, gli andamenti musicali, i tempi musicali, i ritmi iniziali e finali di un brano musicale, i segni dinamici e di espressione, le danze e le forme musicali inserite nella lezione. In questo modo l’insegnante sarà in grado di «elaborare un corretto dettato ritmico»: ciò «consentirà […] di formulare un esercizio o una legazione, non soltanto dal punto di vista metodologico, ma anche sotto il profilo musicale. Così facendo», conclude Sorgi, «riuscirà ad ottenere una fusione completa tra musica e danza, obiettivo essenziale per raggiungere positivi risultati in campo didattico». Sorgi pone qui l’attenzione sull’importanza di una corretta messa in musica degli esercizi, della quale occorre aver cura anche quando si usa una base registrata. Infine una buona dimestichezza con i fondamenti della musica sarà molto utile al docente di danza per fornire indicazioni precise al pianista, che in questo modo sarà sicuro che quello che suona sia corrispondente a quanto l’insegnante ha pensato.
Sappiamo bene che non è facile avvalersi della collaborazione del pianista in maniera continuativa perché rappresenta un costo: invitiamo comunque a considerare la possibilità di farlo a cadenza regolare, anche se saltuariamente, in maniera tale da offrire ai propri allievi l’opportunità di lavorare al meglio anche dal punto di vista musicale.
Note sugli autori:
Francesco Ragni Laureato in Maestro Collaboratore per la Danza presso il Conservatorio di musica "A. Casella" dell'Aquila e l'Accademia Nazionale di Danza di Roma. Docente di Tecniche di accompagnamento alla danza e teoria e pratica musicale per la danza presso il Liceo Coreutico "Piero della Francesca" di Arezzo.
Massimiliano Scardacchi Insegnante diplomato all’Accademia Nazionale di Danza di Roma e alla Scuola del Teatro alla Scala di Milano
Bibliografia:
"Lezioni di danza in musica. Teoria e pratica dell’accompagnamento al pianoforte", Marina Gendel e Flavia Pappacena, a cura di Valerio Basciano - Massimiliano Piretti Editore,2013.
"Le basi della danza classica", A. Alberti e Flavia Pappacena - Gremese Editore, 2007.
"Musica e danza", Antonio Sorgi (con prefazione di Zarko Prebil) - ed. Youcanprint, 2012, e riedito da NeP Edizioni, 2017.
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Ripensando alle molteplici esperienze che hanno fatto parte della mia vita professionale, cerco di capire quali di queste necessitano di una chiave di lettura differente, rispetto a quando le ho vissute.
L’inesperienza iniziale mi ha portato a seguire numerose scuole e artisti, senza documentarmi troppo sulle loro effettive capacità. Ai tempi della mia gioventù, chi si “nutriva di danza” dalla mattina alla sera, aveva una grande sete di sapere e conoscenza e tendeva a non essere selettivo e a provare tutti gli stili, dal classico, al modern, al contemporaneo, alle danze di carattere nella convinzione che tutto sarebbe potuto tornare utile, se non subito, in futuro. Per certi versi, questo ci apriva le porte verso maggiori possibilità professionali, e anche se ora mi rendo conto che non tutte le scelte formative che ho fatto sono state adeguate, ognuna è servita a formare l’insegnante che sono oggi.
L’impegno richiesto era notevole: non ci si spaventava di attraversare la città anche in orari improponibili, anche dopo aver svolto turni di lavoro, perché molti di noi arrivavano da famiglie disagiate, e dovevano fare i conti con soldi mancanti e lezioni costosissime.
La mole di lavoro, la costanza, la competitività, spesso fonte di frustrazione, la mancanza di tatto di alcuni insegnanti in alcuni casi troppo rigidi, si scontravano con le naturali debolezze e molti interrompevano il percorso intrapreso. Eravamo abituati al dolore fisico e alla pressione psicologica, pur non sapendo dove saremmo finiti. Ore ed ore di interminabili esercizi affrontati con molta umiltà, caratteristica che oggi manca a molti ballerini della scena odierna.
Qualcuno da ragazzo mi disse che la danza è sofferenza, e così ho creduto per molto tempo. Chissà perché, alcuni insegnanti tendevano a farci percepire questo settore come qualcosa di autodistruttivo, dove solo i più resistenti proseguivano.
Solo da adulto ho compreso che la sofferenza è in realtà lo sforzo di imporsi un impegno costante, una totale dedizione richiesta da una disciplina che aspira alla perfezione. Oggi con maggior cognizione di causa preferisco dire che la danza è soprattutto bellezza, e deve essere vissuta con gioia e piacere. L’obiettivo di un buon insegnante deve essere quello di fortificare i talentuosi, e non mortificare i più deboli.
Personalmente giudico un buon ballerino chi ha costruito la propria competenza tecnica confrontandosi con molte scuole e diversi maestri, chi è ricco di competenze su anatomia, fisiologia e bio-meccanica, così come sulla storia della danza e del palcoscenico. Il corpo è lo strumento che va utilizzato e preservato con cura nel tempo, quindi conoscerlo e saperlo usare bene nello spazio è fondamentale.
Ai tempi odierni mi sembra di notare, invece, corse disperate verso traguardi irraggiungibili.
Si tende a pensare che la vita del ballerino sia qualcosa di molto breve, che sia necessario bruciare le tappe. La televisione, che in termini di visibilità all’inizio può essere gratificante, si rivela arma a doppio taglio per gli artisti che non reggono il paragone con grandi Etoile, rovinando così la propria carriera nel giro di poco tempo.
Molti talent show ci hanno abituato a pensare che ci può essere un momento di celebrità per chiunque, bravo o mediocre che sia, e il mercato è saturo di “professionisti” improvvisati, non tutti adeguatamente preparati.
La storia e la cultura della danza, comunicate attraverso i media generalisti, perdono di spessore, perché si ritrovano banalizzate e rimescolate con personaggi e stili più popolari, senza distinzione di periodo storico e rilevanza artistica. Sarebbero necessari più approfondimenti e distinzioni, invece il mondo della danza assomiglia sempre più ad un supermercato, che si pone l’obiettivo di mettere alla portata di tutti questa disciplina.
È mia opinione invece, che la danza non sia per tutti. Ha un suo codice preciso, e si tratta di una professione molto seria. Al fine di tramandare la sua valenza culturale, va mantenuta salda la distinzione tra il mondo amatoriale, costituito da dinamismo e passioni ancestrali, e il mondo professionale, che deve essere necessariamente caratterizzato da persone il cui talento è sostenuto da anni di studio, rigore, disciplina.
Troppi intendono la danza solo come uno sport, un’attività amatoriale, di cui discutere in rotocalchi e televisione. Invece è una disciplina complessa, metodica, e assolutamente, insindacabilmente, non clonabile, costellata di grandi opere classiche o contemporanee, capostipite di momenti storici indissolubili nel tempo. Se ne smarrissimo il ricordo, se ne perderebbe il senso.
Ogni giorno ballerini e allievi interpretano stili forgiati da grandi personaggi della storia della danza, senza conoscerne neppure il nome. Ogni anno vediamo nascere piccole celebrità della danza, che si smarriscono in pochi mesi e non lasciano traccia di sé. Le nuove generazioni crescono corrose dalla foga di celebrità, con l’arroganza tipica di chi non vuol sapere, senza capire che i veri professionisti hanno raggiunto traguardi notevoli solo grazie ad anni di sacrifici ed esperienza.
Il giovane allievo deve ridimensionare la sua ricerca dell’effetto spettacolare, e bramare la conoscenza di quanto di più meraviglioso quest’arte nasconda, apprendere da quali radici si è sviluppata. Solo così formeremo le Etoile di domani, che tramanderanno nel futuro la disciplina che tanto fascino e storia ha creato nei secoli.
Nel ruolo di insegnanti o genitori, non possiamo certo sovvertire un intero sistema multimediale nel suo divenire, e nemmeno va rifiutato. Va accettato come segno dei tempi e capito l’errore, fornendo agli allievi gli strumenti per fare le giuste distinzioni e scelte, scongiurando il rischio che la danza di domani sia caratterizzata solo da performance spogliate di storia e significato.
Non create nelle vostre scuole semplici copie di grandi prestazioni, sbiadite e svuotate di senso. Danzate insieme sulle rovine del passato e gli errori del presente cercando di ripartire, elemento dopo elemento, con una più grande e nuova coreografia.
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Virgilio Pitzalis sarà presente allo Stage Expression a Ravenna l'8 e il 9 dicembre 2018. Maggiori informazioni a questo link >
La flessibilità, intesa come la capacità del corpo umano di compiere movimenti al massimo delle proprie possibilità articolari, rappresenta in ogni disciplina e in ogni sport un elemento fondamentale che consente di raggiungere la massima elasticità muscolo tendinea, riducendo, in tal modo, il rischio di infortuni durante l’allenamento e facilitando l’esecuzione della maggior parte degli esercizi.
La pratica più diffusa per aumentare la flessibilità è lo stretching, che si compone di esercizi che hanno l’obbiettivo di distendere, evitando traumi, le fibre muscolari e il tessuto connettivo (tendini, fasce ecc.) presente nella struttura contrattile. Il tessuto connettivo è estensibile, ma se non viene costantemente sollecitato con l’esercizio fisico, in breve tempo perde questa caratteristica essenziale. Strettamente connessa allo stretching troviamo la mobilità articolare, che rappresenta la capacità di compiere movimenti portati al massimo della propria estensione fisiologica.
Il nuovo seminario di Flexibility ha lo scopo di analizzare e approfondire una vastissima serie di esercizi di allungamento derivanti anche dalla ginnastica artistica, attraverso la loro diretta messa in pratica; la flessibilità e la mobilità articolare rappresentano doti importanti per ogni danzatore e a tale scopo il corso è pensato per gli insegnanti di danza e danzatori di ogni livello, consentendogli di affinare le proprie capacità sfruttando le tecniche più avanzate di allungamento muscolare e di mobilità articolare. Verranno, inoltre, analizzati e messi in pratica esercizi utili a migliorare la postura, gli atteggiamenti corporei e la coordinazione.
Come atleta e insegnante ho sperimentato, in primis su me stesso, l’importanza della mobilità e della flessibilità praticando discipline altamente tecniche. Attraverso un lavoro costante e accurato ho notevolmente aumentato nel tempo le mie capacità e ho reso meno faticoso l’apprendimento motorio di moltissimi esercizi ad alto coefficiente di difficoltà.
Allo stesso modo nella danza, la flessibilità e la mobilità articolare rappresentano doti essenziali per l’estensione delle aperture delle gambe ed una maggiore flessione del busto (mobilità attiva e passiva), contribuendo a mantenere il benessere fisico, una corretta postura e a semplificare i gesti, migliorando la performance, e incrementando la forza specifica per prevenire gli infortuni muscolari, tendinei o articolari. La mobilità articolare costituisce una qualità fisica indispensabile per un ballerino di qualsiasi stile o genere di danza, e come tale deve essere sviluppata e mantenuta attraverso un adeguato e costante programma di allenamento.
Lo stretching deve essere praticato in modo costante e continuativo, specialmente se si aspira a raggiungere preparazione tecnica e abilità ad alti livelli. Se la fase di allungamento viene effettuata in maniera corretta, facendo minuziosa attenzione ai singoli segmenti corporei, questa rappresenterà un grande beneficio non solo dal punto di vista delle capacità tecniche che si acquisiranno, ma anche a livello di benessere fisico, salute ed equilibrio psicologico.
Infatti è stato rilevato come gli esercizi di mobilità accompagnati da respiri profondi e costanti siano in grado di ridurre lo stress, rilassando l’organismo sia a livello muscolare che mentale (l’esempio più eclatante lo troviamo nello Yoga). Inutile aggiungere che la mobilità di ciascuno rappresenta un aspetto personale e soggettivo che dipende molto dalla propria conformazione fisica, pertanto se ad alcuni saranno necessarie poche settimane per eseguire correttamente un movimento di mobilità, per altri potrebbero volerci diversi mesi, aspetto che d’altronde possiamo riscontrare anche nell’apprendimento dei movimenti tecnici. Alla base di tutto sarà fondamentale sia farsi seguire da una persona competente che possa indicare il movimento corretto (diversamente l’esercizio anche se ripetuto migliaia di volte risulterà inefficace), sia armarsi di molta pazienza, poiché serve una continua e costante pratica prima di esecuzioni compiute con una certa facilità.
Durante la prima parte del seminario verrà presa in esame tutta la fase di riscaldamento, mettendo in pratica molti esercizi utili per l’equilibrio, la coordinazione motoria e la stabilità; si vedranno movimenti di equilibrio attraverso balzi e blocco delle posizioni grazie alla contrazione dei muscoli, esercizi in quadrupedia per la coordinazione nel movimento mani e piedi, propedeutiche di avvicinamento alla verticale e andature utili all’apprendimento della contrazione e del controllo della fascia addominale e lombare.
Verranno analizzate e messe in pratica le varie forme di stretching, ognuna di esse con le proprie caratteristiche e finalità. Lo Stretching balistico che consiste nel portare il muscolo al massimo allungamento e poi molleggiare, attivando, in tal modo, il cosiddetto riflesso di stiramento che spinge la fascia muscolare a reagire ad una tensione brusca con una rapida contrazione. Lo Stretching dinamico, che in particolare modo agisce sulla elasticità di muscoli e tendini, prevedendo la contrazione rapida del muscolo cosiddetto agonista con l’obbiettivo, però, di allungare il muscolo antagonista (il muscolo che vogliamo allungare effettivamente). Durante questo tipo di allungamento si farà massima attenzione all’allineamento corretto dei segmenti corporei, sia per una maggiore efficacia degli esercizi, sia per diminuire il rischio di traumi muscolari. Lo Stretching statico rappresenta il sistema di stretching più diffuso e conosciuto: le sue posizioni e il modo di respirare applicato prendono spunto dallo yoga e fondano la sua pratica in esercizi di allungamento in cui si raggiunge la massima flessione, estensione o torsione. In questa fase studieremo l’importanza della respirazione, poiché tutti gli esercizi devono essere compiuti lentamente e con respiri profondi e costanti; in tal modo si cerca di non sollecitare mai eccessivamente i muscoli antagonisti, evitando di creare il cosiddetto riflesso da stiramento sulla fascia muscolare. Lo Stretching statico attivo invece è costituito da esercizi ampi in cui si sostiene l’arto e si va a contrarre i muscoli agonisti.
Infine il metodo P.N.F, nella sua composizione multifase, si distingue in massimo allungamento del muscolo, tenuta isometrica, rilassamento muscolare e di nuovo allungamento.
L’analisi delle suddette forme di stretching permetteranno di esaminare moltissimi esercizi che coinvolgono i diversi gruppi muscolari: esercizi mirati per il rinforzo dei polsi, dei flessori degli avambracci delle mani e delle dita; allungamento specifico per il collo, spalle, dorso e schiena; allungamento per gli arti inferiori, con particolare attenzione alle propedeutiche per la spaccata; stretching e rinforzo delle caviglie. Vedremo, poi, in modo pratico come l’ausilio di alcuni strumenti in molti casi può rendere più efficace la fase di allungamento, semplificando la distensione a livello articolare e muscolare grazie ad un efficiente aiuto apportato dai vari attrezzi come fitball, elastici, spalliera, bastone, trx ecc..; capiremo e testeremo concretamente in che modo gli attrezzi possano coadiuvare e perfezionare i nostri esercizi.
Oggetto del seminario sarà inoltre l’assistenza durante lo stretching, particolarmente utile per chi insegna discipline altamente specializzate come la danza. Vedremo come l’allungamento muscolare assistito, se eseguito correttamente, permetta, rispetto allo stretching tradizionale, di ottenere un posizionamento ottimale dell’allievo, rendendo maggiormente efficace il movimento. L’attenzione viene focalizzata con rapidità e precisione sulle sensazioni di rilassamento e di allungamento che l’esecutore deve imparare a riconoscere e riprodurre da solo. Da questo argomento ci collegheremo nella pratica di alcuni esercizi di coppia utili da far provare anche ai propri allievi.
In conclusione si parlerà dell’importanza del defaticamento post allenamento, pratica che dovrebbe essere inserita in maniera costante alla fine di ogni fase di preparazione fisica, valutando gli esercizi più indicati, specialmente in caso di allenamenti di media o alta intensità, che prevedono un forte accumulo di acido lattico.
Sei interessato a frequentare il seminario? Se sei un socio insegnante IDA puoi conseguire un Diploma di Specializzazione riconosciuto in ambito internazionale dall’EFA ed in ambito nazionale dall'A.S.I. (Associazioni Sportive Sociali Italiane), ente di promozione sportiva riconosciuto dal CONI e dal Ministero dell’interno. ASI aderisce al sistema SNaQ del Coni (Sistema Nazionale delle Qualifiche dei Tecnici Sportivi). I soci praticanti IDA ottengono invece un attestato di partecipazione.
Maggiori informazioni e iscrizioni su Flexibility a questo link >
Note sull'autore:
Andrea Neyroz: Per oltre vent'anni ha praticato ginnastica artistica a livello agonistico, gareggiando nel Campionato di Serie A e aggiudicandosi 3 medaglie ai Campionati Nazionali. Ha fatto parte per due anni del cast del noto Musical “Notre Dame de Paris”, in qualità di acrobata. È Docente qualificato per FIF e IDA di Kalisthenics® e Flexibility.
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Lo storico palcoscenico del Teatro alla Scala si aprirà a una nuova ospitalità del Balletto del Teatro Bol’šoj, fondato nel 1776, nel quadro di un articolato rapporto di collaborazione e scambi culturali, che nell’arco di oltre cinquant’anni ha prodotto quattro grandi progetti per un totale di nove tournée della Scala a Mosca e sette del Bol’šoj a Milano.
Dal 7 al 13 settembre 2018 il Bol’šoj propone al Piermarini due celebri ed amati titoli, “La Bayadère” e “La bisbetica domata” per coniugare storia del balletto e novità. Memorabili le occasioni che avevano visto il sipario della Scala aprirsi sul corpo di ballo del Teatro Bol’šoj: nell’autunno 1970, “Il lago dei cigni”, “Spartacus” e “Lo Schiaccianoci”, interpretati tra l’altro da una coppia di eccellenza, Maja Plisetskaya e Vladimir Vasiliev; e l’indimenticata tournée dell’ottobre 1973, quando accanto a cinque opere i Complessi del Bol’šoj portarono nel capoluogo lombardo anche il balletto “Anna Karenina”. Il primo titolo proposto dalla Compagnia moscovita il 7, 8 e 10 settembre accompagnato dall’Orchestra dell’Accademia Teatro alla Scala diretta dal Maestro Pavel Sorokin è “La Bayadère”, uno dei balletti cardine del repertorio classico che vide la sua prima assoluta a San Pietroburgo nel 1877. La partitura di Ludwig Minkus affresca un’India da leggenda in cui fioriscono intrighi e drammi d’amore. Il fascino dei paesi esotici e il successo di opere letterarie come il poema “Śakuntalā” ispirarono Petipa, che creò una perfetta armonia fra scene di massa e protagonisti, momenti di alto lirismo e sfumature poetiche. Su tutti, l’incanto del Regno delle Ombre.
Lavorare sui balletti di Petipa è stata una delle linee principali dell’attività coreografica di Yuri Grigorovich. Nato nel 1927 e ballerino del Kirov fino al 1962, Grigorovich è stato direttore artistico del Bol’šoj fino al 1995 imponendosi tra le figure di maggior rilievo della coreografia russa del Novecento. Il suo lavoro su “La Bayadère”, allestita per la prima volta nel 1991 e riproposta nel 2013, è consapevole della presenza viva di Petipa e della necessità di conservare la sua eredità classica.
I principi alla base della produzione restano invariati: ci sono tutte le composizioni originali di Petipa, le successive interpolazioni e anche gli ampi frammenti dell’azione ri-coreografati dallo stesso Grigorovich; la novità è l’assenza del finale in cui il terremoto distrugge il tempio. Grigorovich ha ritenuto che, dopo l’atto sinfonico delle Ombre, non fosse necessaria altra danza: “Le Ombre sono una vetta nell’arte del balletto; speriamo che lo siano ancora per molto. E che ogni persona in sala possa sentire a portata di mano la magia del balletto russo, una delle meraviglie del mondo”. La coreografia si avvale di alcuni estratti da Vakhtang Chabukiani, Konstantin Sergeyev, Nikolai Zubkovsky, le scene e i costumi sono a firma di Nikolay Sharonov, le luci di Mikhail Sokolov ed è impreziosita dalla partecipazione straordinaria degli Allievi della Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala diretta dal Maestro Maurizio Vanadia con la supervisione del Maestro Frédéric Olivieri, attuale Direttore del Corpo di ballo scaligero.
“La Bayadère” è stato uno dei primi trionfi di Petipa al Teatro Imperiale di San Pietroburgo, la trama narra temi particolarmente cari alle platee dell’Ottocento: esotismo, sentimentalismo, promesse d’amore, tradimenti, soprannaturale e romanticismo. Nel primo atto incontriamo il guerriero Solor, innamorato della baiadera Nikiya a sua volta amata dal Bramino. Nikiya costringe Solor ad un giuramento d’amore eterno. A Solor viene offerta la mano di Gamzatti, la figlia del Rajah, ed egli accetta dimenticandosi la promessa fatta a Nikiya. Durante i festeggiamenti per il fidanzamento, Gamzatti rivela a Nikiya il nome del suo fidanzato e lei si oppone inutilmente a questo fidanzamento. Una schiava, Aya, propone a Gamzatti di uccidere Nikiya. Nel secondo atto vi è la danza delle baiadere alla quale partecipa anche Nikiya. Aya dona a Nikiya un cesto di fiori in cui è nascosto un serpente velenoso che la morde. Il Bramino le propone di salvarla, a patto che lei accetti di sposarlo. Nikyia rifiuta e danza fino a quando muore. Nel terzo atto, Solor per allontanare il dolore della morte di Nikiya, fuma uno speciale veleno, si addormenta e si ritrova nel Regno delle ombre e tra esse ritrova anche l’amata Nikiya alla quale giura eterna fedeltà.
Mentre l’11, 12 e 13 settembre sarà l’occasione per assistere ad un allestimento recente, “La bisbetica domata” commissionato dal Teatro Bol’šoj, in debutto nel 2014 (in Italia visto solo al cinema trasmesso via satellite grazie alla diretta nel 2016 e nel 2017), primo balletto creato da Jean-Christophe Maillot per una compagnia che non fossero “Les Ballets de Monte-Carlo”, che dirige dal 1993.
Ispirato alla omonima commedia di William Shakespeare, ha vinto ben tre Maschere d’Oro.
Maillot ha pensato per i danzatori del Bol’šoj un lavoro con una notevole vena narrativa, che potesse esaltare oltre che la loro bravura tecnica e virtuosa anche l’abilità interpretativa ed espressiva. Per il coreografo questa commedia è una meravigliosa storia sui rapporti umani che semplicemente chiede di essere tradotta nel linguaggio del corpo: una trama abbastanza complessa, uno dei lavori più sensuali di Shakespeare, una analisi appassionata sulle relazioni d’amore. Per Maillot, coreografo che adora rinarrare le storie classiche a suo modo, è una commedia che parla dell’incontro di due caratteri eccezionali, Caterina e Petruccio, che non possono sopportare l’idea di avere un rapporto mediocre tra di loro o con altri. Lavorando con i ballerini del Bol’šoj, non poteva che scegliere un compositore russo e infatti ha prediletto Dmitrij Šostakovič, orientandosi questa volta sulle composizioni scritte per il cinema, che alla Scala sono affidate alla bacchetta del direttore Igor Dronov con i musicisti dell’Orchestra Sinfonica “G. Verdi” di Milano.
Assistente alla coreografia Bernice Coppieters, scene di Ernest Pignon-Ernest, costumi di Augustin Maillot, luci e video di Dominique Drillot, drammaturgia di Jean Rouaud.
Durante la sua formazione artistica Jean-Christophe Maillot studia danza e pianoforte al Conservatorio Nazionale Regionale di Tours, fino a quando, nel 1978, viene contattato da John Neumeier per entrare nel Balletto di Amburgo, dove interpreta alcuni ruoli primari nelle creazioni del coreografo americano. Nel 1983 è nominato coreografo e direttore del “Ballet du Grand Théâtre di Tours”. Nel 1985 fonda il Festival “Le Chorégraphique” e nel 1986 è invitato a Monaco, dove nel 1993 viene nominato direttore-coreografo di “Les Ballets de Monte-Carlo”. Nel 2000 Maillot istituisce il “Monaco Dance Forum”: una prestigiosa vetrina internazionale. Grazie alle numerose tournée, Jean-Christophe Maillot diventa uno dei coreografi francesi più rappresentati all’estero.
La versione della “Bisbetica domata” attesa in Scala con il Balletto del Bolshoi, presentata in due atti, è ambientata nella Padova del XVI secolo e racconta del ricco Battista il quale non vuole concedere la mano della dolce figlia minore Bianca fino a quando non si sarà sposata la primogenita Caterina, bisbetica e intrattabile. I corteggiatori di Bianca convincono così il veronese Petruccio ad adulare Caterina, sperando che il matrimonio conceda anche a Bianca di prendere finalmente marito. Caterina trova in Petruccio un consorte capace di domarla mentre il giovane studente Lucenzio, camuffatosi da istitutore, farà breccia nel cuore di Bianca.
Maillot porta in scena due ore di spettacolo reinterpretando con il suo inconfondibile stile “The Taming of the Shrew” (titolo originale della commedia), che da sempre ispira e affascina gli autori per l’abile intreccio, la fervida fantasia teatrale, l’ironia e il gioco dei rapporti tra uomo e donna.
La storia allegra e appassionante riprende così nuovamente linfa grazie alla danza, ambientata in un luogo particolarmente caro allo scrittore inglese: l’Italia. E proprio nel bel paese - dopo undici anni dalla precedente ospitalità - la Scala considerato uno dei più prestigiosi teatri al mondo accoglierà ex novo il Balletto del Bol’šoj ritenuta una tra le compagnie più nobili e antiche.
© Expression Dance Magazine - Agosto 2018
Nell'immagine: Savin e Kretova in "La bisbetica domata" (© Damir Yusupov)
Note sull'autore:
Michele Olivieri: Critico della danza e recensore dal Teatro alla Scala di Milano e Membro affiliato del Consiglio Internazionale della Danza CID UNESCO Paris
Quando è sul palcoscenico riesce a colpire il cuore del pubblico, unendo la grazia con l’abilità tecnica, l’espressività con la bellezza delle forme. Tant’è che, al Covent Garden di Londra - tra i più celebri ed eleganti teatri al mondo – c’è chi viene da tutto il mondo per ammirarlo, perché la sua danza è un linguaggio universale capace di emozionare e commuovere. Dal 2003, Federico Bonelli ha oltrepassato la Manica come principal dancer del mitico Royal Ballet, indiscusso tempio della danza anglosassone. Da allora ha interpretato i principali ruoli del repertorio della compagnia. La sua meravigliosa avventura nel mondo della danza, inizia a Genova e Casale Monferrato, dove cresce e comincia a frequentare le prime lezioni di danza. Nel 1992, all’età di quattordici anni, entra a far parte dell’Accademia di danza del Teatro Nuovo di Torino e studia in maniera più intensa con insegnanti italiani e maestri cubani. Per mettere alla prova il suo talento e farsi notare dagli addetti ai lavori, durante gli anni di studio partecipa a diverse competizioni internazionali ottenendo la Medaglia d’argento al Concorso di Balletto dell’Avana a Cuba e il primo premio al Concorso internazionale di Rieti. Ma il vero trampolino di lancio per la sua carriera è il Prix de Lausanne nel 1996, dove vince una borsa di studio. In quel periodo, entra a far parte del Balletto di Zurigo, dove già l’anno successivo viene promosso solista. La permanenza in Svizzera è molto fruttuosa visto che il giovane Federico danza i ruoli principali in diverse coreografie del direttore Heinz Spoerli e in ruoli del repertorio classico come Albrecht in ‘Giselle’. Due anni dopo cambia compagnia e passa al Balletto Nazionale Olandese di Amsterdan dove nel 2002 è promosso primo ballerino. Durante gli anni in Olanda il suo repertorio si amplia notevolmente e arricchisce di vari stili e discipline grazie all’incontro con numerosi coreografi di fama internazionale. Ha infatti interpretato classici del repertorio, diverse coreografie di George Balanchine, William Forsythe e Hans Van Manen, oltre che rielaborazioni di classico come “Lo Schiaccianoci” di Wayne Eagling, il “Romeo e Giulietta” di Rudi Van Dantzig “Sylphide” e “Onegin” di Dinna Bjorn. Il suo percorso è tutto in salita e nel 2003 fa un ulteriore salto di qualità, entrando nell’organico del Royal Ballet come principal. La sua è un’esperienza di caratura mondiale, considerando che – negli anni – danza come artista ospite con la Scala di Milano, il Teatro Massimo di Palermo, il Balletto dell’Opera di Parigi, il Balletto del Cremlino, The National Theatre e lo Star Dancers Theatre di Tokyo, il Teatro Nazionale Croato di Zagabria e il Tulsa Ballet dell’Oklahoma.
Federico Bonelli, com’è l’Italia vista da Londra?
«Il nostro è un Paese ricco di talenti, un po’ in tutti i settori, danza compresa. Molto spesso, per potersi esprimere, si è purtroppo costretti ad andare all’estero. Emigrano i fisici, i musicisti, i medici, e così capita anche ai ballerini… La situazione della danza è critica per certi aspetti, a causa della chiusura di numerose compagnie che non hanno i fondi necessari per sostenersi e produrre nuovi balletti. Quando mi capita, sono molto felice di danzare in Italia perché è il mio Paese d’origine. Mi piacerebbe ritornare un giorno ma non è facile…».
Credi che sarebbe stato possibile fare la stessa brillante carriera restando nel Belpaese?
«A 18 anni non mi sono lasciato scappare le opportunità che mi sono capitate all’estero, non ci ho pensato due volte ad andare dove potevo lavorare e continuerò in questa direzione. Certo, c’è un briciolo di rimpianto per quello che sarebbe potuto essere e non è stato in Italia. Mi mancano le persone e l’atmosfera che si trova in certi teatri. Però… cosa posso farci?».
Com’è Londra vista con gli occhi di un italiano?
«Dopo così tanti anni, tredici per l’esattezza, la capitale inglese è ormai la mia casa. Ma anche la mia grande sfida vinta. Mi trovo molto bene soprattutto per l’ottima organizzazione del lavoro. Londra è inoltre una città piena di stimoli, che non dorme mai… In compagnia sono perfettamente integrato e a mio agio».
Com’è stato inserirsi in un organico così famoso come il Royal Ballet?
«Ho vissuto tutto in modo piuttosto naturale, più di quello che inizialmente pensavo... La compagnia è molto internazionale, quindi non è stato stressante più di tanto il fatto di essere italiano piuttosto che inglese o di un’altra nazionalità. C’è l’abitudine al confronto con culture diverse e fra colleghi c’è una buona armonia. Semmai è stato impegnativo rapportarsi, inizialmente, con una compagnia dalla tradizione così forte, imparare balletti di un nuovo repertorio, eseguire nuovi passi e capire come raccontare le storie in base a uno stile che è proprio del Royal Ballet. In compagnia, infatti, la danza non conta solo nella sua perfetta esecuzione tecnica ma anche nella sua capacità narrativa e di trasmissione di emozioni».
Certo, non deve essere stato semplice iniziare al Royal Ballet direttamente da principal dancer…
«Questo, infatti, è stato lo scoglio più grande inizialmente… Una volta superata l’audizione, ho firmato un contratto per questo ruolo. Per me è stato come realizzare un sogno, dopo anni che mi preparavo guadando i video della compagnia durante gli anni di scuola, in particolare il ‘Lago dei Cigni’ con Makarova e Dowell… E proprio per questo, il primo spettacolo è stato molto faticoso, perché carico di tante responsabilità».
In tutti questi anni, hai praticamente interpretato tutti i ruoli. Qual è il tuo preferito?
«Sì, sono stato molto fortunato… Ma in realtà non ho ruoli preferiti in assoluto, cambio a seconda dell’ispirazione. Posso dire che prediligo quelli dove posso raccontare una storia. In questo momento, mi sento di rispondere Des Grieux in “Manon” e Armand in “Marguerite et Armand”. Di recente mi sono molto divertito a danzare in “Yugen”, una nuova creazione del coreografo Wayne McGregor sulle note del compositore Leonard Bernstein».
Tra le partner femminili ve n’è una speciale: tua moglie Hikaru Kobayashi…
«Sì. Non capita spesso, però, di ballare insieme in scena. Ricordo con particolare emozione, qualche anno fa, la nostra prima volta all’Opera House, in la “Bella addormentata”. È stato molto speciale…».
Quando hai iniziato a muovere i primi passi, avevi già il sogno di diventare un grande danzatore?
«No, nei primi tempi, ho vissuto la danza come un gioco. Insieme a un mio caro amico, mi divertivo molto con il maestro Gianni Benazzo a Casale Monferrato. Questo è il primo ricordo che ho della danza… In un secondo momento, invece, a stimolarmi è stata l’idea di provare a raggiungere risultati sempre più ambiziosi, per vedere dove potevo arrivare alzando come si suol dire l’asticella delle difficoltà. Durante il periodo al Teatro Nuovo di Torino ho anche capito la complessità della danza, in quanto combinazione di movimento fisico e musica, di rigore e di ricerca».
Ed è in quel periodo che è stata la scintilla?
«Sì. Il passaggio in Accademia è stato certamente significativo perché è lì che il sogno ha iniziato a prendere forma. Ero un adolescente molto determinato: ogni giorno, mentre camminavo verso la scuola, mi ripetevo che ‘dovevo e potevo farcela’. La passione era scoppiata, anche se chiaramente non sapevo bene in cosa mi sarei imbarcato. Ricordo ancora la felicità dei saggi di fine anno: due giornate di assoluta magia!».
C’è un maestro, fra i tanti incontrati nel tuo percorso, a cui ti senti di rivolgere un ringraziamento speciale?
«In realtà, questa è una domanda molto difficile perché molteplici solo le persone rivelatesi importanti nella mia evoluzione scolastica e formativa. In ogni caso, non posso non citare la mia maestra cubana Maria Reynes che ho conosciuto grazie al rapporto di collaborazione esistente tra l’Accademia del Teatro Nuovo di Torino e i maestri della scuola cubana. È stata lei a prepararmi per il Prix de Lausanne che mi ha cambiato la vita».
Ma è vero che poi la borsa di studio del Prix de Lausanne in realtà non l’hai utilizzata?
«In un certo senso è stato così. Dovevo andare all’Opéra di Parigi ma c’è stato un disguido amministrativo che ha ritardato la mia partenza. Nel frattempo, proprio in quel periodo, ho ricevuto un paio di offerte lavorative da parte di compagnie che mi avevano notato proprio al concorso. Per cui ho accettato la proposta del Balletto di Zurigo e a Parigi non sono mai andato. Quando si dice il destino… ».
Alla luce della tua esperienza, ti sentiresti di consigliare ai giovani di oggi di fare concorsi di danza?
«Certo, sono un buon modo per migliorarsi e per confrontarsi, e quindi per imparare, con altri danzatori. Sempre però tenendo a mente che la danza non è un concorso».
Quali sono i passi giusti per chi ha talento?
«Cercare le migliori condizioni per diventare il meglio di ciò che si può essere. Questo non significa necessariamente trasferirsi, ma spostarsi – se necessario – per andare alla ricerca di scuole e maestri diversi. Dando per scontato che ci sia una base di talento, bisogna impegnarsi e lavorare molto per migliorarsi. Conta molto guardare di continuo spettacoli, girare, essere curiosi e scegliere posti e persone in grado di porci delle sfide, per continuare a fare passi avanti…».
Come ti vedi fra dieci anni? Cosa ti piacerebbe fare?
«Difficile dirlo… Sono sicuro che non diventerò coreografo perché è una professione per cui bisogna essere portati. Non basta aver lavorato anni come ballerino, è tutta un’altra cosa… Di certo voglio continuare a crescere e imparare e mi piacerebbe restare nel mondo della danza. Appena il corpo non mi consentirà più di danzare ad alti livelli, farò un passo indietro e, da dietro le quinte, vorrei contribuire alla produzione della danza».
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Sabato 2 giugno 2018, durante Rimini Wellness, si è svolta la tavola rotonda giuridico fiscale organizzata da IDA / FIF / ASI. Sono intervenuti oltre al segretario nazionale ASI dott. Diego Maulu anche la dott.ssa commercialista Paola Bruni Zani e l’avvocato Biancamaria Stivanello. I temi affrontati sono di grande attualità e riguardano la validità dei diplomi, l’elenco delle discipline CONI e le nuove forme di associazioni sportive lucrative. Un momento centrale ed importante per capire l’evoluzione del mondo sportivo. Al fine di dare massima divulgazione e risonanza delle importanti tematiche trattate, IDA mette a disposizione gli atti della tavola rotonda:
FISCOSPORT: LE NUOVE CO.CO.CO. SPORTIVE E IL REGIME DEI REDDITI DIVERSI
Avv. Biancamaria Stivanello
I professionisti intervenuti si sono resi disponibili a rispondere a brevi domande sintetiche, sulle tematiche trattate, che saranno da fare pervenire all'International Dance Association via mail a danza@idadance.com
Anche le scuole e gli insegnanti di danza sono stati coinvolti dalle nuove normative CONI che è necessario seguire per poter insegnare all'interno delle associazioni. Con i diplomi IDA, in caso di verifica da parte degli organi competenti, si è sempre in regola.
Le certificazioni IDA sono valide a tutti gli effetti grazie all'accordo con l'ASI. La validità è garantita dalla doppia firma dei presidenti e dal tesserino tecnico, Requisiti fondamentali per essere in regola con le nuove normative.
I diplomi dell'IDA, emessi anche nel passato, sono sempre validi. Si tratta di adeguarli (richiedendo copia aggiornata) alla normativa che nel corso degli anni è diventata più specifica. Da diverso tempo è stato stipulato un accordo nazionale fra IDA e ASI – Associazione Sportive Sociali Italiane (visibile sul sito dell’ASI nazionale sotto il profilo documenti). L’ASI è un ente di promozione sportiva legalmente riconosciuto dal CONI, i diplomi rilasciati da IDA sono EQUIPOLLENTI a quelli emessi direttamente dell’ente di promozione ASI, e quindi identici a quelli rilasciati da qualsiasi altro Ente di Promozione sportiva del CONI. Anche per il settore danza affinché i diplomi siano validi devono essere emessi o riconosciuti direttamente da una federazione del CONI (FSN) o da un ente di formazione sportiva riconosciuto dal Coni (EPS).
Ribadiamo, come purtroppo accade, che non è quindi sufficiente che i diplomi siano emessi da associazioni e società sportive (ASD o SSD) che, seppur affiliate a questi enti, non abbiano con essi accordi di validità nazionale.
Sono diversi i fattori che sottolineano la validità dei diplomi IDA/ASI, questi a partire dalla presenza della duplice firma sull’attestato: quella del presidente IDA e quella del presidente ASI. Altro punto importante che da un valore aggiunto è il rilascio del tesserino tecnico che identifichi le proprie qualifiche. Questo ne certifica sia il tesseramento per l’anno in corso (con relativa assicurazione professionale) e contemporaneamente il necessario corso periodico di aggiornamento.
Nel caso di IDA sarà la associazione stessa a pagare il tesserino tecnico, che ha durata biennale, a tutti coloro che si affiliano come Soci Insegnanti IDA (tesserino tecnico e affiliazione devono, dunque, andare di pari passo). Come detto, anche i diplomi rilasciati da IDA negli anni scorsi rimangono perfettamente validi, quello che il tecnico deve fare, oltre ad associarsi a IDA per l’anno in corso, è richiedere l’eventuale aggiornamento del suo diploma con la dicitura “Danza Sportiva“ come previsto dalla normativa sulle discipline riconosciute CONI. Il nominativo entro massimo 10-15 giorni lavorativi apparirà on-line all’interno dell’Albo tecnico ASI/CONI oltre che nell’Albo Insegnanti IDA. il tesserato riceverà una e-mail in automatico in cui si attesta l’avvenuto tesseramento. Ogni passaggio è fatto dunque nella massima trasparenza e chiarezza. Anche il tesserino tecnico riporterà l’identificazione della qualifica di “Danza sportiva”, definizione che rientra nell’elenco delle attività previste dal Coni e quindi eseguibili all’interno delle ASD. Come già detto, nei due anni di validità del tesserino tecnico, è necessario partecipare a corsi, stage o seminari di aggiornamento, perché – in base alla legge 4/2013 sulle professioni non organizzate – è previsto che i tecnici debbano effettuare aggiornamenti periodici. In caso di accertamento degli organi competenti, questi due punti – doppia firma e tesserino tecnico – risultano fondamentali ai fini della regolarità dei diplomi.
Da annotare, infine, che ASI ha aderito al protocollo SNaQ (Sistema Nazionale delle Qualifiche dei Tecnici Sportivi) e anche tale sistema prevede l’obbligo dell’aggiornamento periodico. Ogni diploma IDA è munito di un codice identificativo progressivo. Esiste dunque la massima certezza circa la validità dei diplomi IDA, ribadita dalle circolari ASI/CONI visibili sul sito IDA e richiedibili in segreteria.
Per maggiori informazioni consulta Tesserino Tecnico e Normative >
La danza come formazione e mezzo e per migliorarsi
ARETÈ - Roma
Direzione artistica: Morena De Angelis
È specializzata nell’insegnamento del classico, del moderno e del contemporaneo, la scuola Aretè aperta nel 2010. «Sono nata e cresciuta a Londra – racconta Morena De Angelis, titolare e direttrice artistica –, ma a una certa età sono stata sradicata dall’Inghilterra per approdare in Italia, che per me era sempre stato solo il Paese delle vacanze. Ho portato con me la passione per la danza e molti dei principi della dance educational che ormai mi appartenevano». Per Morena, la danza è un prezioso linguaggio non verbale che non sere solo per trasmettere nozioni o tecniche fini a se stesse, ma anche emozioni e significati nell’ambito di un pensiero coreografico. «La danza è una lente e un filtro attraverso cui vedo il mondo – aggiunge –. Non solo serve per formare ma anche per renderci migliori. Non a caso, come nome della scuola, ho scelto il termine greco ‘arete’ che significa ‘virtuosismo’ nel senso di tirar fuori il potenziale di ognuno». In linea con la dance educational, che riguarda anche lo sviluppo del pensiero critico, una parte della lezione è dedicata all’osservazione degli altri, per imparare a valutare, a esprimere consigli per favorire il miglioramento. Non mancano anche nozioni di storia della danza per capire le origini degli stili che si studiano. La scuola Aretè fa parte della Royal Academy con obiettivi specifici da raggiungere in tre trimestri. A fine anno, c’è la tradizione del saggio incentrato su una storia – quest’anno su “Artù” – per far sentire ogni allievo parte di qualcosa di più grande, per essere tutti più uniti e collaborativi.
DANCE STUDIO - Nocera Inferiore (Salerno)
Direzione artistica: Luc Bouy e Gaetano Petrosino
Nata nel 1994, la scuola di danza Dance Studio ha già festeggiato il primo ventennale. Ieri come oggi, immutati sono gli obiettivi della scuola diretta da Daniela Buscetto: avviare e seguire i danzatori nella formazione professionale. Tanti sono i giovani di talento che, in questi anni, sono scresciuti all’interno della scuola e sono diventati danzatori professionisti impegnati in compagnie internazionali. Dance Studio propone corsi di danza classica, moderna, contemporanea e hip hop, che rappresentano il ‘nucleo’ forte dell’attività ma non mancano anche lezioni di salsa, flamenco, Pilates e ginnastica. Durante l’anno, gli allievi della scuola – con direzione artistica dei maestri Luc Bouy (coreografo) e Gaetano Petrosino, attuale Coordinatore del Corpo di ballo dell’Arena di Verona – hanno la possibilità di studiare per un breve periodi in prestigiose accademie estere con cui esiste un rapporto di collaborazione, quali l’Accademia Vaganova di Budapest e la Scuola di Ballo di Ostrava in Repubblica Ceca. Così come di perfezionarsi all’interno della scuola con professori della Scala di Milano o dell’Opera di Roma. Ospite prestigiosa della scuola è stata spesso Carla Fracci, sia per gli esami sia per le prove di alcuni spettacoli. Anche se in questi anni il mondo della danza è molto cambiato, Dance Studio continua a proporre valori intramontabili come la serietà, la professionalità, il rigore e l’impegno, come basi imprescindibili di un bel percorso nella danza.
DSHINE - Comun Nuovo (Bergamo)
Direzione artistica: Stefania Cordoni
La scuola di danza Dshine era una piccola realtà di paese, ereditata cinque anni fa da Stefania Cordoni che ne è la direttrice artistica. «La mia passione per la danza nasce già a cinque anni – racconta –. Ho sempre sognato di diventare una ballerina e il mio percorso si è sviluppato in modo molto naturale. Mi sono avvicinata presto anche all’insegnamento, facendo da assistente nella scuola in cui sono cresciuta. Mi sono diplomata insegnante di modern jazz con l’IDA nel 2009 e, per molti anni, ho tenuto lezioni in diversi paesi del Bergamasco, cosa che continuo a fare tuttora a nome della mia scuola Dshine». Stefania si occupa personalmente dei corsi di sbarra a terra e modern, e si avvale della collaborazione di altri docenti per le lezioni di classico, hip hop, contemporary modern. Promuove anche un originale corso di preparazione fisica, tenuto da un istruttore laureato in Scienze Motorie, per orientare i ragazzi e per educarli al movimento evitando infortuni fisici. «L’interesse per la danza è molto alto – aggiunge –, anche grazie al ‘bombardamento’ delle trasmissioni televisive. Ma tanti giovani arrivano solo per provare, come si fa con gli altri sport, forse convinti che in poco tempo si possa ottenere molto. Non funziona così con la danza, dove occorrono sacrifici per avere dei risultati. Gli allievi più dotati studiano con me da anni, e cerco sempre di coinvolgerli nelle varie iniziative cittadine, per provare l’esperienza di esibirsi davanti a un pubblico. Partecipiamo regolarmente a “Bergamo Danza Estate” e a tanti concorsi in giro per l’Italia».
GARDA DANCE CENTER - Toscolano Maderno (Brescia)
Direzione artistica: Roberta Campagnari
Il Garda Dance Center nasce nel 1997, sotto l’egida dell’allora Amministrazione comunale di Gargnano che aspirava a un progetto finalizzato alla formazione dei giovani nell’arte coreutica. Nel 2000 diventa asd e si trasferisce a Toscolano Maderno. La direttrice artistica è Roberta Campagnari, con alle spalle una solida esperienza come danzatrice, docente e coreografa con laurea specialistica all’Accademia Nazionale di Danza di Roma. Il centro si avvale di due sale attrezzate per ogni tipo di danza, con pavimento in legno appositamente rialzato da terra, specchi, spogliatoi, servizi e docce, trasformabile in teatro studio per le rappresentazioni. Le attività riservate ai soci sono suddivise secondo fasce d’ età, in linea con lo sviluppo psicofisico dei giovani che possono scegliere tra: propedeutica, danza educativa, classico, carattere, repertorio classico, modern jazz ballet, contemporaneo. La scuola propone lezioni individuali e di perfezionamento, oltre a mettere a disposizione i propri spazi per discipline affini. Al riguardo, l’incontro con il Body Flying – metodo ideato da Antonella Faleschini – avvenuto tramite il corso di Acrobimbo proposto da Sara Tisselli e Rita Valbonesi, ha aperto altre prospettive, permettendo di elaborare lezioni e performance che combinano rigore ed eleganza del mondo della danza e del balletto, con bellezza e controllo del lavoro in sospensione aerea. Ogni anno si svolgono tre importanti appuntamenti annuali: “Natale in punta di piedi”, una sorta di vetrina sull’aspetto didattico, “Danzare una fiaba”, identificabile con il saggio-spettacolo di fine anno accademico e “Garda Dance Center Summer School”, lezioni in collaborazione con artisti ospiti e performance finale. La scuola, negli anni, ha mantenuto l’obiettivo di partenza, cioè quello della formazione, con il balletto classico come elemento imprescindibile e nel tempo ha puntato anche sull’idea di una produzione artistica direttamente connessa al territorio.
NEWS - L’ARTEMISIA DANZA DI CERVIA COLLABORA CON LA CORELLI SULLO “SCHIACCIANOCI”
Il 24 febbraio 2018 il Teatro Comunale di Cervia ha visto esibirsi gli allievi della scuola Artemisia Danza, invitati a danzare dalla prestigiosa associazione musicale ravennate La Corelli: i maestri di Artemisia hanno adattato le celebri coreografie di uno dei balletti più magici del repertorio, “Lo Schiaccianoci” di Tchaikovsky, per la Suite dell'opera in programma all'interno dei “Moments Musicaux”. La felice collaborazione ha dato vita a uno spettacolo suggestivo e curato nei minimi particolari, dalla voce narrante che ha condotto il pubblico nel misterioso mondo dello scrittore Hoffmann ai costumi e ai dettagli scenici. Prima esperienza de La Corelli nel mondo del balletto e prima esperienza degli allievi con musicisti professionisti coi quali i giovani danzatori hanno collaborato con serietà e grande sensibilità artistica, lo spettacolo ha registrato il tutto esaurito, motivo per cui, insieme al piacere di questa collaborazione, da settembre la Suite tornerà sui palcoscenici romagnoli. Artemisia Danza è nota per la qualità del lavoro dei professionisti che la compongono: diretta da sempre da Cristina Chiarello, diplomata ISTD, la scuola ha una consolidata esperienza nella danza classica - con corsi per ogni età dal Danza Gioco fino al corso avanzato - e, dal 2009, grazie a Irene Rossi, diplomata IDA, anche nella danza modern e hip hop. La scuola, impegnata in esami, concorsi ed esibizioni, propone il saggio di fine anno il 29 e 30 maggio al Teatro Comunale di Cervia.
Nella danza classica, sono due le problematiche importanti che predispongono a lesioni a carico dei menischi, dei legamenti e/o dei tendini: lo screwing del ginocchio e il rolling in della caviglia.
a cura di Omar De Bartolomeo, specialista in Ortopedia e Traumatologia e della dott.ssa Alessandra Albisetti
Il ginocchio può andare incontro a svariati infortuni in chi pratica attività sportiva o artistica come la danza, la ginnastica ritmica e artistica, il pattinaggio. Le cause degli infortuni sono molteplici. Per iniziare potremmo distinguerle in estrinseche (pavimento, illuminazione, scarpa, ostacoli, tipo di coreografia) e intrinseche (forma delle superfici articolari, assi meccanici, tipo di appoggio del piede, differenza di lunghezza degli arti inferiori, tecnica errata, etc.).
Prima di entrare più nel dettaglio, è bene ricordare alcuni concetti di anatomia. Il ginocchio è una articolazione relativamente semplice, costituita da tre capi articolari: il piatto tibiale, i condili femorali e la rotula. Tra i condili femorali e i piatti tibiali sono frapposti i menischi. Essi hanno forma semilunare se visti dall’alto, quello interno a forma di C, quello esterno poco più voluminoso e quindi a forma di O. Mnemonicamente potremmo usare l’acronimo “CIOE”: C Interno, O Esterno. I menischi, in numero di due per ginocchio (mediale o interno, laterale o esterno) hanno molteplici funzioni:
1) aumentare la congruenza articolare tra condilo femorale e tibia;
2) aumentare la superficie di scarico delle forze,
3) ammortizzare le forze;
4) stabilizzare il ginocchio;
5) nutrire la cartilagine articolare.
Tra i condili femorali e la tibia sono tesi i due legamenti crociati (anteriore e posteriore). All’interno del ginocchio, in posizione centrale e atti a garantire la stabilità del ginocchio stesso, si trovano i legamenti crociati (LCA anteriore e LCP posteriore).
Sempre a garantire la stabilità, tesi tra femore e tibia medialmente e lateralmente, ci sono i legamenti collaterali.
Il ginocchio ha un importate struttura muscolo-tendinea che permette l’unico movimento fisiologico del ginocchio: la flesso-estensione.
I muscoli sono: il quadricipite (così chiamato perché formato da quattro ventri muscolari che si uniscono in un unico tendine), il bicipite femorale (muscolo flessore posto lateralmente nella coscia), il complesso semimembranoso-semitendinoso (posto medialmente), i muscoli della zampa d’oca (sartorio-gracile-semitendinoso), la bandeletta ileotibiale (nata dall’unione tra muscolo tensore fascia lata e grande gluteo) (immagine 1).
Nella danza classica, possiamo riconoscere due problematiche importanti che predispongono a lesioni a carico dei menischi, dei legamenti e/o dei tendini: lo screwing del ginocchio e il rolling in della caviglia (immagine 2). L’uno e l’altro possono coesistere (spesso) o uno può essere predominante rispetto all’altro. Lo screwing consiste nella forzata rotazione della tibia rispetto al femore praticata da quei ballerini con scarso en dehors o per errore per cercare di aumentare il proprio grado di rotazione esterna dei piedi. L’eccessiva torsione genera un sovraccarico del comparto interno del ginocchio e del piede, mancato allineamento meccanico tra tibia e femore, con ripercussioni anche a carico di bacino, cerniera lombosacrale e quindi aplomb di tutto il ballerino. Il rolling in invece è il mancato “sostegno” della volta interna del piede, con conseguente “stiramento” delle strutture capsulari, legamentose e tendinee della parte interna della caviglia, nonché conflitto di quelle esterne (immagine 3).
Alcuni fattori anatomici possono aggravare questi errori tecnici: ginocchio valgo o varo, sindrome pronatoria dei piedi, intra o extratorsione tibiale, antiversione del collo femorale, ginocchio iperesteso (genu recurvatum).
In questo contesto, approfondiamo le sole patologie tendinee. In modo scolastico potremmo distinguerle in:
- Tendinopatia quadricipitale
- Tendinopatia rotulea
- Tendinopatia degli ischiocrurali
- Tendinopatia della zampa d’oca
Il tendine rotuleo e il tendine quadricipitale trasmettono la forza espressa dal quadricipite, attraverso la rotula (che funge da osso sesamoide incrementando il braccio di leva del quadricipite stesso) , alla tibia. Più frequentemente è interessato il tendine rotuleo che può soffrire a livello della sua inserzione alla rotula (identificando patologie chiamate “apicite rotulea”, tendinopatia inserzionale, sindrome di Sinding-Larsen-Johansson), oppure a livello della sua porzione intermedia o distalmente a livello della sua inserzione sulla tibia (apofisite rotulea, complicanza di Osgood-Schlatter) (immagini 4 e 5).
Fattori predisponenti la tendinopatia rotulea: salti, pavimento duro/poco elastico, eccessivo rinforzo del muscolo quadricipitale, eccessivo studio dei salti, ginocchio recurvato.
La tendinopatia e la borsite della zampa d’oca è un processo infiammatorio che colpisce la borsa ovvero i tendini che costituiscono la così detta “zampa d’oca”. Il nome deriva dalla particolare forma che i tre tendini hanno a livello della loro inserzione sulla tibia. I tre tendini sono dei muscoli gracile, sartorio e semitendinoso. Questa tendinopatia è spesso annoverata nelle patologie da overuse/overlavoro. Fattori predisponenti sono il ginocchio valgo e la sindrome pronatoria dei piedi (piede piatto). Possono facilitare e spesso cronicizzare il disturbo alcuni comuni errori tecnici quali lo screwing del ginocchio associato o meno al rolling in del piede. Pavimenti poco elastici e coreografie ricche di salti, possono influire negativamente.
Nella tendinopatia degli ischiocrurali, sono i muscoli flessori della coscia – nello specifico, all’interno della coscia - semimembranoso e semitendinoso e (lateralmente) il bicipite femorale. Più facilmente questi muscoli soffrono a livello della loro porzione muscolare e inserzionale al bacino. Raramente però possono infiammarsi a livello della loro inserzione distale al ginocchio. Questo succede soprattutto nelle ballerine che forzano il genu recurvato elongando eccessivamente la forma “a sciabola” della gamba.
Da un punto di vista terapeutico, le tendinopatie hanno trattamento specifico: riposo, crioterapia, uso di antinfiammatori topici, orali ovvero applicare energie fisiche (laser, ultrasuoni, TECAR, onde d’urto). Molto importante però è valutare due fattori:
1) preparazione atletica/artistica
2) correggere errori tecnici/propriocezione.
I CONSIGLI DEL FISIOTERAPISTA
a cura di Sara Benedetti, Eva Fasolo, Romeo Cuturi
- La ricerca estrema di mobilità del ginocchio da parte del ballerino porta spesso, come principale conseguenza, un eccessivo carico di lavoro per le strutture legamentose e tendinee.
- Il ballerino che tenta di guadagnare un migliore en dehors sfruttando la rotazione esterna della tibia sul femore (screwing) è maggiormente predisposto all'insorgenza di tendiniti.
- Oltre alla rotazione esterna, il ginocchio può venir forzato in estensione con l'intento di raggiungere la desiderata linea estetica a "sciabola". Anche questo sarebbe da evitare.
- Capita inoltre di osservare uno scorretto allineamento del ginocchio rispetto al piede durante i movimenti di flesso-estensione del ginocchio: in particolare nei plié, nella fase preparatoria al salto e nell'atterraggio. Il mancato allineamento ha come conseguenza un eccessivo stress a carico dei tendini presenti a livello della zampa d'oca.
- L'eccessiva rotazione esterna della tibia sul femore, la forzatura in estensione del ginocchio e il mancato allineamento sono dunque le principali cause meccaniche che portano all'instabilità e di conseguenza alla sofferenza di legamenti e tendini.
- L’approccio fisioterapico deve esser volto a migliorare il dolore e a rieducare il gesto tecnico.
- La rieducazione avviene prevalentemente rinforzando i muscoli rotatori esterni delle anche e riequilibrando i muscoli che stabilizzano l'articolazione del ginocchio (estensori/flessori/abduttori/adduttori). Nel caso particolare di sofferenza dei tendini della zampa d'oca si può osservare una ipostenia del vasto mediale che, dunque, dovrà essere rinforzato correttamente.
- Gli esercizi terapeutici, generalmente, si impostano con progressione di difficoltà tramite pedane instabili grazie alle quali il ballerino migliora la propria capacità propriocettiva (fondamentale per la stabilizzazione del ginocchio).
- Nella fase finale della rieducazione il ballerino si focalizza sulla correzione degli errori tecnici che hanno portato all'instabilità.
Schematicamente, possiamo descrivere quanto è possibile fare:
- Tre modalità di taping per la tendinopatia della zampa d’oca, della tendinite rotulea e per la loggia posteriore del ginocchio
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- Esercizi per correggere l’allineamento di anca-ginocchio-piede su piatti rotanti e mediante fit-ball
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- Correzione dell’appiombo sull’arto inferiore su bosu.
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Mediante questi esercizi, svolti in modo guidato e successivamente in modo autonomo, si possono ottenere notevoli benefici. Si consiglia inoltre di utilizzare questi esercizi anche come riscaldamento pre-lezione ovvero come preparazione tecnica personale.
© Expression Dance Magazine - Maggio 2018
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