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Oltreconfine

Oltreconfine

La migrazione dei talenti italiani verso la danza come professione.

Quando si stanno per raggiungere i primi 40 anni, si cominciano a fare i primi bilanci: lavoro, famiglia, esperienze di vita, obiettivi raggiunti, obiettivi non raggiunti. E se fino a non molto tempo prima si guardava al futuro con occhi sognanti, da un giorno all’altro ci si sveglia pensando: “sono più i rimorsi o i rimpianti?!”.
Tutte queste sembrano frasi fatte ce ne rendiamo conto tutti, però, allo stesso tempo, a un certo punto della vita cominciamo davvero a fare i conti con le esperienze fatte e quelle non fatte, con gli obiettivi raggiunti e con quelli, aimè, non raggiunti. Il fatto che di questi tempi, l’aver trascorso periodi di vita all’estero stia diventando l’ago della bilancia di questi bilanci di vita, ha visto, negli ultimi decenni, una vera e propria ondata di giovani partire verso mete attraenti, sia dal punto di vista geografico che dal punto di vista economico e, sicuramente, questa migrazione, ha coinvolto anche moltissimi talenti del mondo della danza.I motivi che spingono a lasciare il nostro Paese sono diversi: il primo è sempre quello di fare esperienze utili e rendere il proprio bagaglio sempre più appetibile dal punto di vista professionale e, se parliamo di danza, in questo periodo storico, l’estero sembra l’unica possibilità per diventare professionisti.
Parlare di estero è un concetto un po’ aleatorio, indefinito, ma i Paesi che oggi hanno Compagnie di alto livello sono davvero numerosi, per cui le possibilità sono evidenti, ma no, tra questi Paesi, purtroppo non possiamo menzionare l’Italia. Una volta compresa la strada da percorrere, bisogna però riuscire ad aprire la porta d’accesso verso questi Paesi e soprattutto verso queste Compagnie. Le Compagnie internazionali organizzano audizioni costanti, in diversi angoli di mondo e spesso anche in Italia e, vi dirò di più, le compagnie spesso si “nutrono” di danzatori italiani, del loro spirito, della loro vena artistica, per questo le audizioni trovano spesso spazio in Italia. Uno dei Paesi più concreti da questo punto di vista è l’Olanda. Nei Paesi Bassi, troviamo Compagnie (tantissime quelle di danza contemporanea), teatri all’avanguardia, opportunità di crescita e di vita, insieme a una essenziale libertà di espressione davvero non paragonabile all’esperienza italiana.
Ci siamo confrontati con diversi danzatori che al momento stanno vivendo in Olanda quello che è il loro “sogno di danza” e ci siamo resi subito conto del velo di amarezza con il quale raccontano la necessità di lasciare l’Italia per riuscire a vivere dignitosamente di danza, anche se cogliamo da subito l’entusiasmo di cui si nutrono ogni giorno e che comunicano senza alcuna esitazione. Perché l’Olanda per loro è stata davvero quella porta verso la dignità artistica di cui può e deve vivere un danzatore.
Abbiamo parlato con Mandela Giudice, Rebecca Speroni e Delia Albertini, tre giovani italiani, laureati al Codarts, Università di arti performative con sede a Rotterdam, dove i talenti possono davvero trasformare la propria passione in professione, il trait-d‘-union tra lo studio e l’applicazione della propria arte all’interno di progetti e performances.
I tre danzatori vivono in Olanda da più di quattro anni, sono poco più che ventenni, ma i danzatori sono così, hanno una consapevolezza insita nei loro comportamenti, che rende semplice comprendere quanto siano pronti a diventare professionisti già in giovane età. Spesso però sono i genitori che, leggendo tra le righe, capiscono di dover agire prima del tempo per supportare i giovani figli e così a 13 anni Mandela prende parte a uno stage internazionale a Cannes, presso il Pôle National Supérieur de Danse Rosella Hightower, rendendosi così conto di voler diventare ballerino, vivere di danza dignitosamente. Entra in contatto con il Codarts ancora prima del raggiungimento del diploma, frequentando il corso DIP Dance Intensive Programme, corso di studi pre-universitario promosso dal Codarts di Rotterdam, ZHdK BA Contemporary Dance di Zurigo e A.E.D. Al conseguimento del diploma, il corso apre le porte di queste prestigiose realtà, dando modo ai giovani danzatori di perseguire i propri obiettivi professionali.
Parliamo un po’ con Mandela, forte di esperienze in diversi ambiti e contesti, ci parla con trasparenza e cognizione di ciò che significa studiare danza in Italia e in Olanda: due Paesi europei, ma estremamente diversi dal punto di vista culturale, aprono le porte verso due modi di vivere la danza estremamente diversi. L’Italia, con la sua storia, si trova ancora molto legata al mondo accademico, ad un approccio impostato e poco incline all’individualità e alla sua valorizzazione. Al contrario l’Olanda favorisce proprio lo sviluppo e l’espressione della propria individualità artistica, senza appiattire, ma dando spazio all’essere prima ancora che alla tecnica. Inoltre gli insegnamenti in ambito universitario puntano alla trasformazione dello studente in ballerino dando la possibilità di esibirsi già durante il percorso scolastico. Il confronto con la realtà italiana è sconfortante anche dal punto di vista della valorizzazione di quest’arte: il governo olandese ogni anno riserva fondi ai giovani artisti, siano essi danzatori, ma anche pittori e musicisti per la realizzazione dei loro progetti. Le strutture e i teatri sono spesso all’avanguardia e sono presenti centri culturali di primordine che facilitano anche l’ingresso delle giovani compagnie nel mondo di teatri e festival.
Rebecca però ci tiene a ricordare come le compagnie straniere siano comunque piene di danzatori italiani di grandissimo talento. Ci rende partecipi di questa “migrazione” sottolineando come in Codarts, quasi ogni anno, la metà degli studenti siano italiani: “ormai questa non è più una sorpresa” ci dice “gli insegnanti di danza contemporanea, compresa la mia, ci hanno detto chiaramente che i ballerini italiani hanno una passione speciale, qualcosa che nasce dentro e che non si trova in altri ballerini”. Questo è solo una delle tante conferme del grande lavoro della scuola di danza italiana, una scuola che, sin dalle classi di propedeutica, forma una classe di professionisti unici, professionisti che purtroppo non possono vivere di questo lavoro in Italia perché qui manca il supporto. Rebecca e Mandela condividono quest’idea, sostengono la mancanza totale di investimenti nei confronti dell’arte, con teatri semideserti che sono lo specchio di un’Italia ancora assente nei luoghi di cultura, ma spesso presente negli stadi. Non c’è equilibrio nella ripartizione degli investimenti tra arte e sport, non c’è equilibrio nella valorizzazione delle attività per ragazzi, non c’è equilibrio nell’offerta di opportunità professionalizzanti. Per questo, chi può, comincia con le audizioni ancora prima di diplomarsi. Anche Delia Albertini ha trovato la sua strada in Olanda, partendo proprio dalla Codarts. Come ci spiega, questa università, inesistente in Italia, dà la possibilità di ampliare le conoscenze tecniche e fisiche, senza dimenticare materie teoriche, come alimentazione, psicologia e anatomia, storia della musica e storia della danza, dando così gli strumenti per comprendere la danza a 360° acquisendo allo stesso tempo consapevolezza costante sul proprio corpo e, grazie alle grandi opportunità formative, il ballerino sviluppa sin dal primo anno una forte conoscenza di sé, che lo guida fino a plasmare la propria soggettività artistica. Una consapevolezza approfondita del proprio essere in quanto danzatore che permette, una volta concluso il percorso accademico, di plasmare la propria figura professionale in modo concreto.
La differenza sostanziale con l’Italia è la possibilità di confrontarsi con altre culture e altre prospettive sulla danza: in Codarts, infatti, gli studenti e i docenti arrivano davvero da tutto il mondo e il confronto è aperto e costante, apportando ricchezza culturale, ma anche artistica e tecnica.
L’esperienza è totalizzante e gli aspetti positivi sono numerosi: il cambiamento principale è legato alla mentalità. In Italia l’approccio è molto più fisico, schematico e oggettivo, legato alla coreografia in sé e all’esecuzione del movimento; mentre in Olanda, in questo caso, alla Codarts, c’è uno stimolo costante verso lo sviluppo di una propria identità di movimento, una propria identità artistica e questo aiuta molto la crescita artistica. Parlando con questi giovani talenti, una cosa risalta: frequentare un percorso accademico di questo tipo fa comprendere l’importanza del lavoro di squadra, l’importanza del confronto aperto per il raggiungimento di un obiettivo formativo comune, che li conduce da subito a lavorare in Compagnia o da freelancer grazie anche ai contatti sviluppati negli anni con coreografi e direttori artistici provenienti dalle più svariate compagnie in Olanda, Europa e nel resto del mondo.
Parlando con Mandela, Rebecca e Delia, ci rendiamo conto che l’Italia resta il Paese del cuore, il Paese dove l’arte ha trovato la sua massima espressione nella sua storia, ma che era e resta ancora troppo ancorato alla valorizzazione di questa storia passata dimenticando purtroppo il presente con l’assenza di investimenti verso l’arte; mentre all’estero, nel frattempo, i nostri giovani continuano a portare la passione italiana in compagnie e progetti di danza oltreconfine.

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