KIBBUTZ CONTEMPORARY DANCE COMPANY
Il percorso della Kibbutz Contemporary Dance Company è un percorso immerso nella storia di un popolo e nella costruzione della sua casa, Israele. È una storia che inizia circa 75 anni fa, una storia di incontri e di rinascite, di guerra, che nella distruzione generale, ha avuto il ruolo di spartiacque tra due vite; è una storia di danza e movimento che si fonde con la nascita di un Paese, di un popolo che, proprio danzando, trova la strada di casa.
È la storia di una donna, Yehudit Arnon, sopravvissuta all’Olocausto e che, partendo dall’Ungheria, arriva in Israele con l’onda della diaspora. Si insedia nel nord ovest, creando, insieme a un gruppo di pionieri, un Kibbutz dal nome Ga’aton. Yehudit ama danzare e nel corso degli anni ’50 dà vita al Dance Section of the Kibbutz Movement Al liance, che aveva come primo obiettivo quello di portare l’arte e la danza popolare ai “kibbutzim” (coloro che vivievano all’interno del Kibbutz).
Nel corso degli anni questo progetto si evolve e si trasforma, proprio come la vita, giungendo alla creazione della Ga’aton Company. Yehudit lavora insieme ai colleghi portando avanti una precisa filosofia artistica che proponeva l’unione di tecnica e creatività nello sviluppo del corpo del danzatore. Il lavoro di Yehudit diventa importante a livello internazionale, formando generazioni di ballerini e coreografi. Tra loro comincia il suo percorso nella danza Rami Be’er, attuale direttore artistico, anche lui nato in una famiglia fondatrice del Kibbutz e cresciuto grazie agli insegnamenti artistici di Yehudit.
La Kibbutz Contemporary Dance Company nasce nel 1970 proprio come naturale evoluzione di questo progetto e Yehudit ne diventa direttore artistico a partire dal 1973 e grazie, al repertorio costruito grazie al lavoro di Yehudit, la compagnia cresce a livello internazionale. Da sempre l’obiettivo di Yehudit è stato quello di creare un centro artistico internazionale per la danza dove la creatività potesse esprimersi grazie al contributo di ballerini e coreografi provenienti da tutto il mondo.
Negli anni il villaggio si è sviluppato diventando una realtà vibrante di arte e cultura, ma soprattutto una casa per artisti e danzatori. Nel suo repertorio la Kibbutz Contemporary Dance Company si è fatta e si fa portavoce di riflessioni profonde legate a processi identitari, tematiche sociali, visioni, storie e valori, come per Asylum, attraverso cui Rami Be’er esplora concetti come identità, l’essere straniero, l’oppressione, la discriminazione, la dominazione, l’immigrazione e sentimenti come quello dell’appartenenza, della nostalgia verso la propria casa, la propria famiglia. Asylum, “asilo”, la voce corale di una compagnia che attraverso il lavoro di Rami Be’er interpreta il sentimento dei migranti in un gioco di ruoli drammaticamente complesso: un dialogo costante tra persone, l’incontro e lo scontro tra l’oppresso e l’oppressore, il tutto magistralmente comunicato grazie ai colori netti, alle luci e alle musiche sapientemente utilizzate, al bianco e al nero, unici colori in scena. Scontri netti, fisici ed emotivi. Oggi, forte della sua storia di incontri e rinascite e grazie alla volontà dei fondatori, la Kibbutz Contemporary Dance Company è casa per numerosi danzatori provenienti da diverse parti del mondo. Al suo interno c’è anche una piccola comunità italiana, sono, infatti, quattro i ballerini connazionali che al momento lavorano per la compagnia e vivono all’interno del Kibbutz Ga’aton; tre di loro hanno avuto i primi contatti con realtà internazionali proprio grazie al concorso Expression.
Parlo con Francesco Cuoccio in un tranquillo pomeriggio di febbraio, ma ammetto che il suono degli uccellini da sottofondo alle sue risposte è stato davvero un plus dell’intervista e mi ha fatto respirare maggiormente la magia della vita di comunità all’interno del Kibbutz!
EX Francesco, come sei arrivato alla Kibbutz Contemporary Dance Company?
FC Sono arrivato in Israele nel 2021 grazie a un’audizione: in quel momento lavoravo in Germania per un’altra compagnia e avevo deciso di provare qualcosa di nuovo. Ero alla ricerca di un luogo che potesse farmi crescere. Li ho contattati perché ero davvero molto affascinato dalla realtà della KCDC e dal linguaggio della compagnia, che ritengo unico nel suo genere. Loro si sono mostrati subito molto interessati e, nonostante il covid e le ristrettezze legate al viaggio, ho sostenuto l’audizione grazie a due ex danzatori della compagnia che mi hanno insegnato il repertorio. Dopo aver inviato il video alla direzione infatti mi hanno comunicato subito di essere stato scelto e all’improvviso mi sono ritrovato catapultato in una realtà completamente nuova: una nuova compagnia, un nuovo contesto di vita, una nuova sfida.
EX Cosa significa vivere e lavorare in un contesto internazionale come può essere quello della KCDC?
FC Sicuramente vivere in un contesto dove ci sono così tante culture ti dà veramente la possibilità di crescere e aprire la mente verso cose lontane dal proprio modo di vivere e pensare. La diversità che si respira in questo contesto è uno dei valori aggiunti di questa esperienza, per me particolarmente significativa a livello umano e a livello di crescita personale: ho imparato tanto dai colleghi e dai direttori e questa differenza culturale ci porta a essere forse un gruppo ancora più coeso, perché sappiamo di avere delle differenze e le accettiamo, rendendole una ricchezza. Questo luogo è un luogo che accoglie tutti e fa sentire tutti a casa, nonostante sia un posto molto diverso rispetto ai luoghi in cui siamo abituati a vivere le nostre vite. Il Kibbutz Ga’aton è un luogo speciale.
EX La storia della Kibbutz Contemporary Dance Company è totalmente legata alla nascita di Israele e il percorso della compagnia si fonda totalmente con la vita all’interno del Kibbutz: ti va di raccontarci un po’ la tua vita all’interno del Kibbutz Ga’aton?
FC Molto spesso mi è stato chiesto com’è vivere all’interno del Kibbutz, perché la maggior parte dei danzatori che aspirano a entrare nella compagnia si pone questa domanda prima di arrivare qui. Però in realtà è impossibile da spiegare ed è impossibile da capire a fondo cosa significa vivere qui, finché non lo si vive davvero in prima persona. Ci provo! Il Kibbutz Ga’aton è un vero e proprio villaggio, immerso nella natura a nord di Israele. Le due città più vicine distano 20 minuti da qui, ma il Kibbutz è abbastanza isolato e infatti la prima volta che sono arrivato ho pensato “dove mi trovo?!” perché è un luogo totalmente diverso da quelli visitati in precedenze. La particolarità di questo posto è che offre davvero l’opportunità di metterti in contatto con te stesso, con la tua arte e con la natura circostante, senza mai dimenticare quanto le persone facciano davvero la differenza come dicevo prima il mix culturale è pazzesco, ma l’obiettivo è il medesimo per tutti: siamo qui per danzare. Nel Kibbutz oltre ai ballerini della prima compagnia, vivono anche i ballerini della seconda compagnia, i partecipanti al corso intensivo di cinque mesi e altri corsi sempre legati alla danza e alla crescita personale. Insomma, questo piccolo mondo, in realtà, racchiude tantissimi mondi unici e in continuo contatto tra loro. La dimensione che viene a costruirsi è speciale e da modo a tutti noi di vivere momenti di solitudine e vera introspezione e al tempo stesso dal primo momento è una realtà che dà modo di sperimentare davvero il vero significato di accoglienza e unione, perché è un luogo che accoglie, valorizzando tutte le diversità. Credo che questo sia uno dei motivi per i quali molti ballerini, anche dopo aver lasciato la compagnia, fanno comunque sempre ritorno in questo luogo perché davvero credo dia una mano fondamentale nell’acquisire maggior consapevolezza su se stessi. Ovviamente la maggior parte del tempo qui è dedicata alla danza, al mio lavoro: tra prove e lezioni (all’interno del Kibbutz si può anche insegnare), la vita quotidiana è particolarmente intensa e, nonostante in questo luogo non vi siano locali o ristoranti, dà la possibilità di vivere esperienze uniche anche al di fuori della danza.
EX Torneresti a ballare in Italia?
FC In realtà tornare a ballare in Italia sarebbe il mio sogno e, al momento, tornare in Europa è sicuramente il mio obiettivo. Israele era un passaggio desiderato perché sapevo che questa esperienza mi avrebbe aiutato moltissimo nella mia crescita a livello artistico e umano, ma vorrei tornare in Europa perché è la dimensione alla quale sento di appartenere. Questo è un luogo speciale e prezioso, ma mi piacerebbe davvero tornare in Italia perché sono molto legato alla mia terra, alla mia cultura e al mio paese e, se solo ci fossero più realtà, più compagnie e posti di lavoro per noi danzatori di danza io sarei già lì. Purtroppo però in Italia queste realtà sono poche e sono ancora meno se pensiamo a realtà che danno la possibilità di fare questo mestiere e allo stesso tempo avere un salario dignitoso. Questo è importante… il nostro lavoro andrebbe maggiormente riconosciuto perché è un lavoro complesso e ci obbliga a dare tutto di noi. Mi piacerebbe tornare, però vorrei tornare con delle condizioni che mi permettano di vivere una vita dignitosa, facendo il lavoro che amo.
EX Sappiamo che il concorso Expression ha fatto parte del tuo percorso di crescita, cosa ti ha colpito di questa esperienza?
FC Io ho partecipato a Expression nel 2016 con un passo a due. All’epoca ero allievo del Balletto di Toscana e partecipai con una mia compagnia di corso e ci siamo classificati terzi se non sbaglio. Ricordo che per me è stata un’esperienza molto bella, ma anche molto, molto intensa: era la prima volta che mi sono trovato in un contesto internazionale, che mi confrontavo con realtà diverse dalla mia, con persone con un background così diverso dal mio. È un ricordo che porto con me con molto piacere perché credo sia stato il primo “trampolino di lancio” se così possiamo dire. Come esperienza non posso non ricordarla, nonostante appunto l’intensità e proprio perché percepivo l’importanza del contesto: ricordo che non pensavamo neanche di classificarci all’inizio, visto il grande numero di ballerini e di coreografie di alto livello e invece il fatto di esserci classificati, di essere stati visti davvero e notati, è stata una cosa che mi ha fatto credere che forse avrei potuto davvero trasformare questa mia grande passione in professione. E ora eccomi qui! Sicuramente è stata una tappa fondamentale del mio percorso di danzatore.