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Trovarsi al posto giusto nel momento giusto

Trovarsi al posto giusto nel momento giusto

 

JOSEPH FONTANO si racconta in un’autobiografia

EX Joseph secondo lei è possibile definire il suo romanzo un feuilleton con storie, personaggi e colpi di scena?
JF Si. Il fulmine danzante, quasi un romanzo credo che sia un libro dove chiunque si possa riconoscere e per i ragazzi credo possa essere una sorta di vademecum, per spiegare come si fanno a superare alcuni ostacoli e che bisogna credere molto in quello che si fa.

EX Come è nata l’idea di questo libro?
JF Mi stavo avvicinando al mio 70° compleanno e volevo fare una grande festa invitando tutti. Poi c’è stato il lockdown e alla fine ho deciso di dedicarmi al libro e pensare a questa come la mia festa. Questo libro non parla tanto di me quanto di un bambino, di un’adolescente, di un ragazzo, di un uomo che ha fatto vari incontri che poi sono diventati parte della mia carriera.

EX E il titolo del libro come è nato?
JF Stavo cercando un titolo ma non ne avevo uno che mi convincesse; poi quando è arrivata la prefazione della giornalista Leonetta Bentivoglio in cui scrisse “quando danzava era un lampo, un guizzo, una nuvola, un fulmine sospinto da correnti di carisma” mi chiamò l’editore e mi disse che il titolo attuale sarebbe stato il titolo perfetto.

EX Che impostazione ha dato a questo suo racconto?
JF Nel racconto sono voluto andare avanti e indietro. Volevo puntualizzare come è nata la danza contemporanea attraverso la mia carriera anche se non ho ovviamente scritto tutto, se no avrei dovuto scrivere un’enciclopedia!

EX Ha mai pensato che la sua esperienza potesse essere considerata un pezzo di storia della danza?
JF No, non ho mai immaginato di entrare in un libro di storia, anche se a 23 anni ero già stato citato in un libro della Bentivoglio. Mai avrei potuto immaginare che questi libri quarant’anni dopo sarebbero stati studiati nei licei coreutici. Io ho solo sempre voluto eccellere, studiare, andare avanti. Per questo ai giovani dico pensate di fare quello che siete voi, creare la vostra arte poi se è qualcosa che è universale sarà riconosciuta, altrimenti continuate a provare.

EX Il suo libro racconta anche la storia della danza contemporanea in Italia, non crede?
JF Il libro nasce per lasciare una traccia di me e degli anni che ho vissuto, gli anni ’70, di cui nessuno ha scritto. Di come è nata la danza contemporanea in Italia e di come si è fatta strada in quegli anni nel nostro Paese. Volevo essere testimone di questo periodo storico.

EX Come altri raccontano, anche per lei scrivere un libro autobiografico è stato un po’ come sedersi davanti ad uno psicologo?
JF Assolutamente si. Ho pianto, ho riso… poi anche il periodo non è stato dei più felici, non si poteva uscire di casa… è stata abbastanza tosta. Scrivendo mi sono ricordato di cose che non erano più sulla superficie della mia pelle, come della violenza insita nella mia famiglia. Scrivendo la mia storia dimostro però che non è detto che se cresci in una famiglia violenta diventi un delinquente. Di sicuro è stato un grande viaggio indietro; è stato come viaggiare nel passato verso il futuro ma senza fermarsi al presente perché continuo ad andare avanti e mi ha fatto chiudere diversi cerchi.

EX Che cosa l’ha spinta a danzare?
JF Mia madre era una danzatrice ma in questo senso non mi ha insegnato niente; mi ha insegnato solo a fare il tip tap sul tavolo della cucina ovviamente quando non c’era mio padre. Poi ci sono persone che nascono in modo naturale danzatori, ho avuto un corpo molto dotato, uno strumento privilegiato e questo mi ha certamente aiutato anche se ho fatto ugualmente molto fatica, specie a New York, dove c’era molta competizione. Devo anche dire che quando avevo tra i 5 e i 6 anni dentro di me sentivo già questa vena artistica. Io sono stato fortunato perché ho sempre lavorato da quando avevo 16 anni ma ho fatto di tutto per dedicarmi all’arte patendo anche la fame e poi sono stato scelto anche da un coreografo (Paul Sanasardo).

EX E da subito si è dedicato alla danza contemporanea?
JF E’ quella che mi ha colpito, nonostante il mio corpo fosse così flessibile e lineare con le gambe molto lunghe: questa è stata la mia fortuna. Ho studiato anche all’American Ballett Theatre ma quello che mi corrisponde è la danza contemporanea e per me è anche un po’ riduttivo dire danza contemporanea… a me piace il teatro: quello che succede con i corpi, i colori, le luci, i costumi, la scena. Tutto deve funzionare bene sulla scena, il corpo racconta, i colori, la musica raccontano perché tutto in scena racconta.

EX E poi racconta di tanti e piccoli incontri che le hanno cambiato la vita? Come l’incontro con Pina Bausch…
JF Pina Bausch l’ho incontrata nel 1971 ma non è la Pina che conoscete adesso, era giovane e non aveva ancora la sua compagnia. La conobbi quando ritornò a New York è ci ho passato un mese insieme: lei però mi ha dato il coraggio di cambiare la vita e mi ha dato l’ input di venire via perché aveva un suo nuovo progetto in Germania. Quello che volevo fare io era portare qualcosa di diverso, che c’era già dentro di noi, ma prima bisognava costruirlo: serviva creare una nuova tecnica.

EX Nel 1971 poi si è fermato a Roma invece di andare in Germania da Pina Bausch…
JF Si mi sono fermato a Roma ma ero di passaggio perché dovevo ritirare una macchina che mi aveva regalato un’amica: devo ringraziare questa macchina perché aveva le marce e io non ne avevo mai guidata una perché in America avevano tutte il cambio automatico. Così mi sono fermato per capire come funzionasse, nel frattempo ho voluto capire se ci fosse qualcosa di danza in questa città fino a che non mi imbattei al Cid di Francesca Astaldi dove poi conobbi Elsa Piperno e altri danzatori professionisti con cui poi decidemmo di fare uno spettacolo insieme. Così è nata la Compagnia Teatrodanza Contemporanea di Roma che è durata quasi venti anni, con non poche difficoltà, girando però con più di 150 spettacoli all’anno con un gruppo stabile di 11 danzatori, 1 direttore di scena, 1 organizzatrice. In mezzo a questa esperienza mi sono preso un anno sabbatico, sentivo che dovevo fare una pausa e tornai a casa a New York. Avevo già 30 anni ma quando ho visto un annuncio per un’audizione di Alwin Nicokolais che cercava un danzatore solista per la sua compagnia partecipai perchè mi volevo mettere alla prova e fui scelto.

EX Infatti racconta che Vittoria Ottolenghi che le ha detto che “si è sempre trovato al posto giusto al momento giusto”… Fortuna, coincidenze?
JF Sicuramente è stata fortuna ma più che altro costruisci piano piano la tua esperienza. Se ti metti in mostra le persone vedono quello che fai e poi ti chiamano. Oggi magari è più difficile farsi notare. Noi venivamo da un’epoca dove anche in televisione venivano invitati i giovani talenti nei balletti dove c’erano contenitori giusti.

EX Come vede la danza nel futuro?
JF Devi diventare quello che stai facendo. Devi essere quello che fai. Io sono danza, sono un artista. Dobbiamo tornare indietro a persone come Cage, Duchamp, quelli che fanno arte e sono arte. Quando parliamo di arte concettuale dobbiamo darle un valore, la danza è vero che è concettuale ma è anche da vivere; così bisogna affrontare l’evoluzione della danza e capire quello che funziona e quello che non funziona, cambiare e riprovare.

EX Che cosa si sente di consigliare ai giovani che vogliono svolgere questa professione?
JF Intanto leggete il mio libro che credo che vi apra la testa!!! (ride n.d.r.). A parte gli scherzi, l’importante è studiare, studiare, studiare! Studiare storia dell’arte, della musica, del teatro, della danza, studiare la composizione di un quadro, capire gli elementi compositivi delle danze storiche. Non limitarsi a buttarsi a ballare nella sala: io oggi noto un’ omologazione di stile. Credo che sia importante conoscere le tecniche contemporanee in modo profondo e studiare in modo serio per diventare un danzatore che lavorerà. Le mie parole magiche per i giovani sono studiare e andare a vedere perché la danza è anche un’arte visiva.

 

© Expression Dance Magazine - Aprile 2023

 

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