Simone Sistarelli, danzatore di Genova londinese di adozione, l’intuizione l’ha avuta osservando il tremore di suo nonno affetto dal morbo di Parkinson. In lui ha visto come il tremore tipico di questa malattia avesse tanto in comune con il popping, disciplina, resa famosa e popolare negli anni ’80 soprattutto grazie a Michael Jackson, in cui si balla utilizzando contrazioni forti quasi a creare un effetto di scossa elettrica. La prima cosa che ha pensato, ci racconta, è che “noi danzatori di popping tremiamo sulla musica e che le persone con Parkinson tremano invece senza musica. Ho pensato a quanto mi sono allenato io per tutta la vita per tremare e a quanto per queste persone fosse del tutto normale: da qui l’idea di farle danzare con un nuovo metodo creato per mettere il loro tremore in musica”. Da quel momento Simone ha cominciato a pensare in quel tremolio non più un sintomo negativo di una malattia ma un’espressione artistica che aiutasse a controllare il tremore sul tempo e, dopo diverse ricerche, ha visto che esistevano già esempi di classi di danza con persone affette da Parkinson ma che la classe era generica così come il riscaldamento che comprendeva diversi stili di danza e ballo: “Non c’era specificità nello stile e questo non lo trovavo giusto. Per me aveva più senso dare un’offerta uguale a tutte le persone, con o senza disabilità, e per questo ho creato classi di danza specifiche per dare un momento di svago a chi vivesse quotidianamente con queste problematiche”.
Oltre a creare una proposta che fosse valida dal punto di vista artistico il più grande desiderio di Simone era soprattutto quello di non vedere più suo nonno come un malato ma come una persona che volesse passare del tempo in maniera alternativa e senza essere isolato socialmente: “C’è una bella differenza tra essere malato, paziente, “mangia pillole” ed essere considerato solo una persona: si crea un altro tipo di unione, di famiglia. Nell’ora di lezione che propongo il Parkinson diventa solo la scusa per cui ci si incontra e di conseguenza si diventa studenti e non più malati e, diventando studenti e non solo pazienti, i partecipanti ritrovano la loro umanità e riescono a ritrovare di conseguenza un nuovo coinvolgimento nella società: un cambio di prospettiva totale nel creare un momento di incontro per condividere un interesse e non solo un ritrovo perché hai la stessa malattia”.
La “prima volta” del progetto “Popping for Parkinson” risale a cinque anni fa quando venne proposto a Londra ad associazioni che si occupavano di questa malattia e da allora non solo con loro c’è un rapporto continuo ma il progetto viene ospitato di anno in anno in sempre più città in Italia e all’estero (Torino, Bergamo, Ancona, Berlino, New York).
Simone quale è la tua più grande soddisfazione nel portare avanti la tua intuizione?
“Quando i nipoti vedono ballare i loro nonni e dicono dei “wow”! Da questo percorso i partecipanti imparano davvero a danzare e ne escono persone con un’energia nuova e con benefici non solo a livello fisico ma anche a livello psicologico approcciandosi in modo nuovo in famiglia e nelle relazioni: conta la forza di volontà perché io sono ed esprimo me stesso attraverso una forma artistica che è la danza. La danza ti spinge infatti ad essere un nuovo te, ad avere il controllo del corpo, e ha un potere enorme su tutti gli aspetti della vita, ti riabilita e, nel caso migliore, danzando ti piaci anche di più. E poi se sei in sala prova stai danzando e basta: la danza va oltre i limiti non mi interessa da dove vieni chi sei o non chi sei e in questo senso rende tutti uguali: celebriamo la diversità ma sotto la categoria studenti e sotto la categoria umani.”.