A causa dell’emergenza Coronavirus siamo tutti a casa… I due artisti mi confessano che si muovono solo per qualche ora al giorno per andare al lavoro e per il resto del tempo sono in casa e si godono volentieri un po’ di tempo insieme perché solitamente non ne hanno molto e che per entrambi questa emergenza sanitaria è un buon momento per riflettere sulla nostra società.
Luciano, dopo le tue numerose esperienze in tutto il mondo, come ti sei avvicinato al mondo della direzione artistica di una accademia?
Mi sono reso conto che in tanti paesi, specie nei paesi anglosassoni, lo spettacolo è visto come un’industria, mentre in Italia è sempre visto con un occhio di superiorità, come una missione, una passione, non un lavoro.
Principalmente per questo, e anche grazie al fattivo contributo e grande intuizione del produttore Fabrizio di Fiore, ho pensato a un luogo dove si potesse studiare e dove oggi un danzatore potesse avere una marcia in più, un posto dove formare danzatori che potessero lavorare con l’arte e vivere di quello.
E in che modo secondo te le scuole di danza sono altrettanto importanti nel loro lavoro quotidiano con bambini e ragazzi?
Le scuole di danza hanno creato quei grandi numeri di danzatori che ci sono oggi, senza contare l’importante lavoro sociale di formazione che conducono ogni giorno: molte di queste scuole sono infatti l’unico avamposto culturale extrascolastico in territori socialmente difficili o in località isolate. Sono scuole private ma conducono un prezioso servizio di pubblica utilità, se si pensa che in Italia su 56 conservatori musicali, per la danza esiste solo un'accademia di danza riconosciuta a livello statale. In Italia esiste una vera e propria discriminazione culturale che non segue quello che è scritto nella costituzione: il diritto allo studio universitario. Per i danzatori non esiste quindi lo stesso diritto di studio riservato agli altri studenti e all’Accademia di danza di Roma può capitare ad esempio che uno studente possa essere idoneo e non ammesso per il limitato numero di sale di danza e conseguente impossibilità di soddisfare tutte le domande di ammissione, ma non è costituzionale che possa continuare una cosa del genere.
Per questo sei spesso impegnato a dare importanza ai diritti degli artisti e nel far conoscere problematiche così poco presenti in questa società?
Si, penso proprio che non ci sia spazio nell’opinione pubblica per queste problematiche e quindi tempo fa ho anche pensato di creare una petizione contro la chiusura dei corpi di ballo. La domanda più strana che mi sono sentita fare, mi è stata fatta dai Senatori: “Perché questo accade?”. Non ne hanno alcuna consapevolezza: io risposi che in Italia l’attenzione sociale ed economica è spostata più che altro verso la musica e l’opera lirica e la danza, soprattutto quella classica, è vista solo come un peso sociale.
E in tal senso quindi come pensi che si percepisce oggi il balletto e la danza classica?
Il paradosso della danza degli ultimi anni è che c’è pochissima attenzione verso il repertorio classico e quindi relativa poca attenzione mediatica nei confronti del balletto anche dal punto di vista sociale. Negli ultimi anni si è talmente sviluppato ciò che è moderno e contemporaneo e lo abbiamo fatto talmente tanto che è venuta meno la tradizione del balletto classico, che è alla base della nostra identità nazionale che sta tendendo a sparire. Per questo avere corpi di ballo stabili e accademie in ogni città sarebbe stata una motivazione in più, una possibilità in più, per i ragazzi italiani di poter proseguire gli studi di danza classica: in Germania e in Francia l’hanno compresa bene e da tempo questa cosa. L’artista dovrebbe avere le stesse possibilità in ogni città e vivere in un modo degno, così come mi sono augurato io con l’apertura del Campus che dirigo.
E tutto questo accade paradossalmente in un momento in cui il mercato richiede il grande repertorio classico e l’Italia fatica a proporlo con le sue sole forze interne mancando i pilastri di cui ho parlato.
Ho visto che sei anche un appassionato di calcio e proprio in questi giorni con questa emergenza si è capito come il calcio si ponga sempre oltre a tutto, cosa ne pensi?
Credo che le masse siano più difficili da controllare e che quindi si siano dovuti prendere per forza di cose provvedimenti in maniera più graduale. Certo anche noi nel mondo della danza abbiamo grandi numeri che potrebbero scuotere l’opinione pubblica ma il Coni se ne è appropriato all’interno del suo grande cappello. Di fatto siamo due milioni di persone e per lo meno bisognerebbe essere più uniti nelle battaglie, ma in questo ho capito che ci deve essere sempre qualcuno che si fa portavoce, per questo mi appassiono su alcune tematiche e poi me ne faccio portatore per parlare con il Ministro anche se poi queste battaglie diventano dei veri e propri lavori e ti portano via tante energie.
Hai creato più di 60 balletti, cosa ti riserva il futuro dopo la Cenerentola con Virna Toppi?
Pensare al futuro oggi è un po’ estraniante ma cerco di vedere comunque positivo. Del resto noi del mondo del teatro siamo sempre stati abituati alla precarietà, discendenti degli antichi teatranti, siamo pervasi dalla voglia di vivere, siamo abituati alle crisi e saremo in grado di rialzarci sicuramente prima. Anche se il mio pensiero va anche a quei ragazzi con contratti precarissimi che in questo momento sono davvero in seria difficoltà.
Il 25 aprile sarei dovuto andare in Kazakistan per produrre Il Corsaro ma ora è tutto fermo; continua poi con grande attenzione il lavoro del prossimo tour con la Roma City Ballett Company, con la quale si cerca di dare continuità professionale, anche tramite audizione, alle attività della accademia oltre a dare spazio a giovani artisti provenienti da compagnie americane e a ragazzi che vengono da tutto il mondo.
Mentre vi parlo in Russia sta andando in scena la mia coreografia Il padrino con le musiche di Nino Rota e il mio Romeo e Giulietta che è in tournée in 5 nazioni; a settembre, se tutto andrà come previsto, andrà in scena negli Stati Uniti la mia coreografia basata su Vacanze Romane.
Tu e Rossella come vi siete avvicinati fino a diventare anche una coppia nella vita privata?
Uno dei motivi per cui ci siamo avvicinati è che abbiamo entrambi dei valori e dei principi simili, lottiamo contro le cattiverie, non vogliamo compromessi e non vogliamo ottenere sconti nel lavoro vivendo immersi nello spettacolo. Entrambi siamo coscienti che l’arte per noi è una parte fondamentale nelle nostre vite. Dopo tredici anni insieme siamo ancora oggi complici, manager uno dell’altro: discutiamo e scegliamo insieme, ci confrontiamo per ogni nostra decisione soprattutto per dire no ad alcune proposte che non ci convincono anche se nel nostro mondo non è affatto facile dire dei no, perché la vita dell’artista è sempre e comunque una vita precaria: può andare bene oggi e andare male domani.
Rossella, Luciano ci ha raccontato che vi accomunano valori e principi simili, in tal senso in che modo la solidarietà verso i più deboli contraddistingue la vostra coppia?
Credo, e crediamo, che le persone che hanno un pubblico debbano contribuire con aiuti concreti per far conoscere e sensibilizzare le persone rispetto alle problematiche che esistono fuori dalle nostre vite quotidiane. Questo ti fa anche sentire utile e vivo, come quando abbiamo visto con i nostri occhi a Panama la sofferenza dei bambini, che però, nonostante tutto, ti riservano dei grandi sorrisi. Queste esperienze di solidarietà ti portano ad imparare molto e si ritorna a casa sempre umanamente arricchiti.
E come è avvenuto l’incontro con Luciano?
Mi ha chiamata lui come protagonista della sua versione della Carmen. Eravamo al Teatro Massimo di Palermo poi un giorno ci siamo visti con occhi diversi e da lì è cominciato pian piano un po’ tutto. Del nostro rapporto mi piace che uno ama e viene amato allo stesso modo, rispettando l’uno le scelte quotidiane dell’altro.
Come sei arrivata invece a danzare in programmi televisivi?
In modo molto fortuito, in realtà volevo solo studiare danza e Roma mi sembrava la città più vicina così ho pensato di fare l’esame in accademia, mi hanno presa e poi da lì è nato un po’ tutto. Ho accettato anche se essere lontana da casa per me è stato un grande trauma e un grande sacrificio che mi è costato molta fatica, mi mancavano i miei affetti e la mia terra, la Puglia, però sono riuscita ad andare oltre: si raggiunge tutto se si è forti e se si vuole veramente qualcosa.
Dalla danza sei poi passata alla conduzione televisiva e alla radio... come è andata?
Mi trovai in una radio mentre conducevo la trasmissione Colorado e ho cominciato a pensare anche alla mia voce oltre al mio corpo: mi sembrava che la radio trasmettesse di me un’immagine più vera e questo mi ha molto molto incuriosita, così ho cominciato a studiare, ho fatto dei provini e ormai, quasi ogni giorno da 13 anni, sono in onda con Tutti pazzi per Rds, un programma molto seguito e in cui mi diverto tantissimo.
Sei una performer a tutto tondo e attualmente ti stai dedicando al teatro anche come attrice. Come hai vissuto questa nuova esperienza?
Come attrice sono una delle protagoniste della nuova produzione del Teatro Sistina di Romeo Piparo e Giulio Ricciardi Belle ripiene: questo lavoro è stato una scommessa vinta grazie ad un’ottima risposta del pubblico. Oltre a me in scena ci sono Tosca D'Aquino, Roberta Lanfranchi e Samuela Sardo artiste complete e donne poliedriche tra cui è nata una bella amicizia; ci vogliamo molto bene e siamo state bene, mai un’invidia, un problema: è stata un’esperienza bellissima che si è però fermata, giustamente, da qualche giorno ma che recupereremo sicuramente ad ottobre.
Ai giovani che si affacciano oggi al mondo della danza e dello spettacolo da dove consigli di cominciare?
Secondo me bisogna capire se studiare la danza è la propria fonte di vita e se ti fa stare bene, se si, vuol dire che la danza è la tua vocazione. Importante è la volontà e il carattere che ti forma lo spirito per superare un brutto momento, bisogna fare attenzione e bisogna avere una dedizione assoluta, una predisposizione al sacrificio che a volte, lo posso dire con assoluta certezza, porta quasi al masochismo ma se la danza è la tua vita non ti pesa affatto. Bisogna pensare allo studio e mantenere quel pizzico di follia che ti fa seguire un po’ la tua pancia se no rinunceresti alla prima difficoltà.
Consiglio di imparare qualche lingua straniera e pensare che è meglio arrivare sempre preparati, poi capire se si possiede il carattere adatto a questo mestiere, magari ci sono talenti che si sono buttati al vento a causa di un carattere poco propenso: il talento da solo non basta ci vuole la voglia di mettercela tutta e in questo senso forse ha anche un valore più grande e poi, se ti mancasse la tua terra com’è successo a me, ricordati che la tua terra non ti scorda mai e ti accoglierà sempre quando vorrai tornare!
Luciano
Quest’anno sono in trasmissione non come giudice ma in una funzione molto particolare che è quella di super tecnico insieme al Maestro Vessicchio che assiste la parte musicale: in disparte verifichiamo con la nostra esperienza le performance in caso di diatriba.
La trasmissione per me è ancora molto affascinante perché racconta un percorso di lotta, sacrificio, emotività al di là dei fatti che sono televisivi. Il messaggio che sta comunque alla base della trasmissione è che ti viene data una opportunità concreta: nessuno vuole raccontare che ci vogliono solo tre mesi per diventare dei professionisti.
Fondamentale l’apporto di Maria de Filippi che ci mette il cuore e l’anima e se qualcuno parla male del programma non se lo può proprio permettere: quanto ha fatto questo programma per le scuole di danza sin dai suoi esordi e quanto ha fatto per una divulgazione di massa della danza? Ha fatto vedere variazioni di classico in prima serata, ha dimostrato che ci sono tante persone che fanno questo mestiere e anche dal punto di vista sociale ha sfatato diversi tabù e ha portato persone a teatro che non avevano mai visto un teatro in tutta la loro vita.
Non bisogna davvero parlarne male mai…
Rossella
Un ricordo fantastico, ci ho partecipato sin dalla I edizione e in quel momento “si stava sull’esperimento” e le intuizioni di Maria, che riusciva a captare e sentire la “pancia” dei ragazzi. In quella trasmissione vedrai sempre trasparire grande fatica perché i ragazzi lavorano tantissimo e in questo c’è un’assoluta verità e preparazione di danza.
Grazie a questa trasmissione ho avuto una grande fratellanza, che continua tuttora, con Kledi Kadiu, con cui ho condiviso una grande fatica perché si lavorava molto: c’erano molte coreografie e pezzi da preparare e danzare ma è stato davvero un grande piacere. Poi sono stata nel programma anche in veste di insegnante però volevo fare altre esperienze e al mio posto venne Alessandra Celentano, rispetto alla quale però ho una filosofia e una visione completamente differente. Per me è importante l’aspetto psicologico dei ragazzi, secondo me bisogna dosare sempre le parole altrimenti si possono affossare dei talenti: bisogna sempre incoraggiarli e la sincerità la puoi utilizzare sempre anche senza creare traumi. Magari non puoi fare il classico ma puoi specializzarti in altri stili o la danza può diventare un veicolo per fare altri mestieri sempre nel campo artistico.
Per me in assoluto l’importante è non far spegnere mai le passioni dei ragazzi e non farli abbandonare alla prima difficoltà ma esortarli a procedere e andare avanti in qualunque modo.