Cosa succede nelle scuole di danza e nei centri sportivi all’età tra gli 11 e i 14 anni? Classi colme di bambine e bambini di 4/5 anni, pieni di gioia ed entusiasmo che, durante il corso delle scuole elementari si dimezzano. Classi svuotate, addirittura interi gruppi che si ritirano, facendo magari entrare in crisi insegnanti di danza che pensano dove possono aver sbagliato e che iniziano un nuovo anno scolastico con tristezza e delusione, vedendo ripagare quello che credevano un buon lavoro con “fuggi-fuggi” generale, spesso nemmeno accompagnato da spiegazioni.
Due sono le correnti di pensiero più comuni. La prima, giustificata dall’aumento di impegni, scolastici e non, che obbligano ad un cambio della scala delle priorità dei ragazzini, portandoli ad abbandonare l’impegno coreutico il quale, per goderne i progressi, necessita assidua frequenza ed una buona dose di determinazione; la seconda vede come una specie di “selezione naturale”; la comune, quasi fisiologica, perdita di interesse nei confronti della danza.
Proprio quest’ultimo pensiero è interessante da analizzare sotto due aspetti: l’aspetto fisico e l’aspetto psicologico del bambino che diventa ragazzo.
I cambiamenti nello stadio puberale dei ragazzi, infatti, sono inevitabilmente collegati all’aspetto fisico, evidenti con le prime trasformazioni, e causa di cambiamenti psicologici in materia di accettazione e di presa di coscienza.
Dobbiamo rifarci ad alcune semplici nozioni di psicologia del benessere per permettere a noi stessi una comprensione adeguata del fenomeno e che supporti in primo luogo il difficilissimo ruolo dell’insegnante di danza nell’aiutare l’allievo.
L’abbandono alla danza negli allievi crea evidentemente nell’insegnante un grande senso di sconforto. Viene percepito quasi come un tradimento, creando un senso di colpa collegato all’abbandono della propria “passione” da parte dell’allievo, spesso per l’insegnante immotivato e non giustificato.
Secondo la “Teoria del Rinforzo” le persone, adulte o bambine che siano, sono motivate a terminare quei compiti che portano ad un rinforzo. Se il rinforzo avviene, scatena la “Legge dell’effetto”, la quale incrementa la motivazione innescando un meccanismo ciclico spesso definito con il termine di “passione”. Infatti, nella danza, il termine passione si sente spesso usare come giustificante di sacrifici, compiuti per la costanza di presenziare alle lezioni o agli eventi proposti, dei grandi sacrifici sociali per permettere una adeguata realizzazione della propria aspettativa. Dobbiamo fare un passo indietro però e rifarci allo studioso Daniel Berlyne che ci aiuta, con la sua particolare visione, suddividendo in quattro tipologie la curiosità, ponendola alla base dello stimolo per l’apprendimento: curiosità percettiva, specifica, diversiva ed epistemica.
Andremo ad analizzare proprio quest’ultima, la curiosità epistemica, che si basa sul bisogno di conoscere. La motivazione per il quale il bambino si avvicina al mondo della danza è dovuta al fascino esercitato da qualcosa che sembra così semplice, ed allo stesso tempo misterioso ed ermetico, da rappresentare numerose aspettative e curiosità.
Da non tralasciare sono anche le priorità collettive, cioè del gruppo degli amici, della società, della famiglia, che spesso motiva a seguire lo stesso insegnamento, portando ad innescare il meccanismo del gruppo.
Per dare agli insegnanti gli strumenti per permettere all’allievo di avere una corretta motivazione, occorre tornare alla curiosità epistemica, basata sul principio dell’esplorazione, dell’incognita e del desiderio di conoscere nuove conoscenze. Dobbiamo però essere consapevoli che l’essere umano, una volta soddisfatta la curiosità, percepisce che il desiderio di conoscenza sparisce.
Ecco quindi il reale motivo del perché di frequente si verifica un abbandono di massa nell’età critica, in cui la curiosità viene soddisfatta con un breve cenno a quello che è un corso di danza. Le avversità, le difficoltà, la ripetitività e la monotonia, non solo della lezione ma di tutto quello che la danza richiede, crea un muro per alcuni insormontabile, facendoli allontanare dalla “curiosità” e portandoli ad abbandonare presto la danza.
Ecco il vero motivo per cui, spesso, parlando con conoscenti e amici, molti di loro confessano di aver fatto «…da piccoli un corso di danza» che rimane nella memoria come piacevole ricordo di un’attività infantile, presa per gioco ed abbandonata perché «non faceva al caso loro».
Note sull'autore:
Marco Batti
Per IDA è docente del Corso per Insegnanti di Danza Classica e del Corso di Propedeutica della Danza Classica