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La compagnia Brumanchon-Lamarche, una danza ribelle e appassionata

La compagnia Brumanchon-Lamarche, una danza ribelle e appassionata

Forse è uno dei sodalizi più longevi nel mondo della danza francese, quello fra il coreografo Claude Brumachon e il danzatore Benjamin Lamarche – iniziato nel 1981 – che tuttora continua con rinnovata energia e creatività. Dopo aver condiviso per 23 anni l’esperienza al Centre Chorégraphique di Nantes, il duo ha fondato l’associazione “Sous la Peau” e la compagnia di cui sono entrambi direttori artistici. Dallo scorso anno sono anche coreografi associati dei Centres Culturels de Limoges.

Com’è nato artisticamente Claude Brumachon?

«Avevo appena 17 anni quando mi sono avvicinato al Ballets de la Cité di Rouen durante uno stage intensivo con i ballerini della compagnia. La coreografa Catherine Atlani mi ha subito proposto un contratto di formazione di due anni. Una vera sorpresa per me, visto che inizialmente mi dedicavo alle Belle Arti, in particolare al disegno e alla pittura. Ho quindi dato una svolta alla mia vita e mi sono ritrovato ballerino quasi per caso. Ma è stato veramente un caso?». 

Avvicinato all’attività professionale da danzatore quasi senza volerlo, come ha scoperto il suo talento coreografico?

«Molto presto alcuni ballerini della compagnia che mi formavano, mi hanno incoraggiare a creare. E qualche anno più tardi, a partire dal 1983-84 effettivamente mi è capitato di vincere dei concorsi quali il Bagnolet. Ma l’incontro decisivo in tal senso è stato quello con Benjamin Lamarche. Insieme abbiamo deciso di portare avanti questa ricerca artistica e di mostrare il mondo e il corpo così come lo immaginavo in questo universo danzante».

Quali altri maestri sono stati decisivi?

«Senza dubbio Hideyuki Yano che mi viene ancora spesso in mente e che ha fortemente influenzato il mio modo di pensare quando coreografo. Molto importante è stata anche l’esperienza all’American Center di Parigi durante alcuni atelier coreografici, in cui ho molto appreso di Suzan Buirge. Una qualche influenza l’hanno poi avuta anche i grandi maestri della pittura, della scultura e del cinema, arti che sento molto affini».

L’incontro nel 1981 a Parigi con Benjamin Lamarche è stato fondamentale, visto che è diventato da allora fino a oggi il suo interprete preferito e assistente in tutte le sue creazioni. Come si è evoluto o è cambiato nel corso degli anni questo rapporto?

«Abbiamo fondato una compagnia, ‘”Sous la Peau”, di cui siamo entrambi direttori artistici, così come lo siamo stati per 23 anni al CCN di Nantes. Il nostro ‘duo’, ormai molto collaudato, si è quindi imposto presto nelle danza, nel modo di pensare l’arte e l’organizzazione di tutto ciò che ci circonda. Abbiamo sempre condiviso tutto. Il nostro rapporto è totalmente complementare nella creazione così come nella trasmissione delle opere. Anche se è sempre rimasto chiaro e senza equivoci che Benjamin è prima di tutto un interprete dei lavori che coreografo. Lui ci tiene moltissimo a rivendicare il suo essere danzatore e non coreografo».

Cosa rappresenta la danza per voi?

«La danza è uno spazio cittadino d’espressione delle libertà. Permette di prendere il volo. C’è la ricchezza del gesto che permette qualsiasi lettura. Fuori dalla parola, fuori dalla cultura stessa. La danza è uno strumento che permette di mettere in contatto popolazioni spesso molto differenti. Favorisce la convivenza. La danza è anche un impegno, un’azione militante. Ma soprattutto una passione poetica che permette di vivere, di contemplare e riunire il corpo e lo spirito».


 

CLAUDE BRUMACHON  AL  CONCORSO EXPRESSION 2018: Ci sarà anche Claude Brumachon, per la prima volta, tra i giurati del concorso Expression 2018, organizzato dall’IDA – International Dance Association nell’ambito di Danzainfiera a Firenze dal 23 al 25 febbraio. Per l’occasione, il noto coreografo sceglierà alcuni giovani di talento per affiancare la compagnia Brumachon-Lamarche nel luglio 2018, durante una fase di creazione del nuovo progetto a Parigi.

Info su www.concorsoexpression.com


 

 

Dal 1992 al 2015, avete diretto il Centre Chorégraphique National di Nantes. Un bilancio di questa esperienza?

«È molto difficile riassumere 23 anni di direzione. Di certo, è stato un pezzo molto importante e intenso della nostra vita. Ricco di incontri a livello internazionale, di viaggi geografici, culturali e immaginari. Quando si dirige un centro coreografico le cose possibili sono respinte e quelle impossibili spesso diventano possibili. Questo permette di esplorare terreni sconosciuti. Anche se ovviamente stiamo parlando pur sempre di un’istituzione con tutte le sue contraddizioni. E l’artista, in questa istituzione, può smarrire il suo animo. Spetta a lui saper rimanere vigile e far fronte alle difficoltà della burocrazia. Verso la fine del nostro mandato, abbiamo scritto un libro dove abbiamo fatto un bilancio molto ludico e veritiero».

Le vostre creazioni si ispirano alla natura, agli esseri viventi, agli  uccelli. Com’è nata la passione per l’ornitologia?

«È stato Benjamin a mettere per primo in evidenza questi concetti. Poi questa visione si è incrociata con ciò che mi affascinava e su cui mi interrogavo. Ho sempre pensato che il danzatore sia molto vicino all’animale nella sua istintività, nella sua velocità, nei suoi movimenti fulminanti. Ho spesso colto in mezzo alla natura il senso del selvaggio e dell’essere vivente. È qualcosa di sconvolgente e di molto simile all’atto danzato. Ricerco spesso nei miei lavori questo stato di natura perso, o forse dovrei dire stato di umanità prima della civilizzazione: il movimento primario arcaico».

Amate anche molto citare Pier Paolo Pasolini. Perché?

«È il mio maestro del cinema. Tra i 17 e i trent’anni, è stato il mio riferimento assoluto. Ha saputo rendere sullo schermo e nei suoi pensieri la violenza, la tenerezza, la crudezza, l’umanità, l’ingenuità, l’innocenza, anche il fatto di essere calpestato, senza abbellimenti. Adoro il modo diretto che ha di riprendere. Questo rispetto enorme della semplicità: la ricchezza povera o la povera ricchezza. Ma sono molto legato anche a Fellini e a Visconti».

C’è poi la passione per l’arte…

«Sì, ho sempre avuto un’attitudine per la pittura e la scultura. La mia iniziale educazione è essenzialmente pittorica. Per questo nelle mie coreografie compaiono spesso dei riferimenti alle immagini di alcuni artisti visionari come Bacon, Gericault, Bourdelle, Zadkine, Camille Claudel e… ovviamente Michelangelo».

Una creazione del cuore?

«Arrivato a quasi 110 lavori, è difficile isolarne uno. Potrei citare “Texane” o “Folie” che segnano un po’ le origini della mia gestualità, in cui è più evidente il mio segno, il mio stile. Ma mi vengono in mente anche “Icare”, un assolo creato per Benjamin e “Le festin”, impressionante messa in scena. Ma sono anche molto affezionato agli ultimi, fra cui “Mutant et d’indicibles violences”, che rappresenta un altro modo di scrivere la danza».

Le doti di un buon allievo?

«Un giovane che aspira a danzare a livello professionale deve essere curioso, disponibile, appassionato del gesto e del corpo. Ma deve anche essere in grado di mostrare l’energia della vita, il piacere di danzare prima del desiderio di carriera».

Un sogno che ancora non si è realizzato?

«A seguito della creazione di “Carmina  Burana” per il balletto del Grand Théâre di Ginevra nel maggio 2006, mi piacerebbe molto fare un “Romeo  e Giulietta”».

A quali lavori vi state dedicando attualmente e quali sono i vostri obiettivi futuri?

«Abbiamo appena terminato un lavoro con giovani giapponesi Down. Una grande riflessione sull’arte, la salute e la cittadinanza, per capire come l’arte possa migliorare la vita, come la danza permetta delle aperture inimmaginabili. Ora mi sto dedicando alla creazione per un trio con un violinista in scena. È la prima volta che lavoro con un musicista e che esploro il mondo musicale di Bartok e di Ben Haïm, ed è molto interessante.  Poi mi dedicherò a una creazione sulla migrazione, un problema molto sentito, sul quale c’è ancora necessità di riflettere. Si pensa spesso alla migrazione legata alla guerra, alla povertà, ma presto anche la questione climatica si farà sentire, pensiamo all’innalzamento del livello dell’acqua… Benjamin e io ci stiamo  inoltre impegnando a promuovere la danza nel territorio del Limousin-Nouvelle Aquitaine, perché c’è ancora molto da fare per far conoscere questa arte al grande pubblico e farla uscire da una visione troppo elitaria. L’anno prossimo, infine, ripartiremo per il Cile per una nuova creazione con i ballerini del posto a cui siamo molto affezionati».

Cosa pensate della danza italiana?

«Non possiamo dire di conoscere bene la realtà italiana nel suo complesso. Ci è però capitato di incontrare tanti danzatori italiani, collaborando con compagnie, balletti e scuole. Nelle loro vene scorre un sangue bollente e la loro danza è molto appassionata. E sono generosi nel donarsi al pubblico, oltre che molto abili tecnicamente. In una parola: emozionanti!».

 

© Expression Dance Magazine - Dicembre 2017

 

Letto 3405 volte Last modified on Giovedì, 21 Dicembre 2017 15:14

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