Edito a giugno 2019, il corposo libro Nureyev. La vita, dal titolo stringato che sa di “definitivo”, appare un caposaldo nella bibliografia sul danzatore russo, non soltanto per la sua ampiezza. Gode, infatti, di importanti patrocini: Kavanagh (non nuova alle biografie dei protagonisti del balletto) è l’autrice scelta da Wallace Potts, compagno del danzatore negli anni londinesi, ed è stata autorizzata dalla Rudolf Nureyev Foundation europea e la Rudolf Nureyev Dance Foundation americana.
La genesi dell’opera è segnata da lunghe ricerche, dal 1997 fino alla pubblicazione in Inghilterra dieci anni dopo (e pazienza se ce ne sono voluti altrettanti per attraversare la Manica, con traduzioni in italiano e francese). Il fil rouge cronologico ripercorre tutte le tappe di una travolgente carriera in venti capitoli (con alcuni titoli - La sussurratrice di cavalli, per esempio - comprensibili solo alla lettura); l’accurato ritratto professionale e personale si dipana fra accenni storici e frequenti citazioni di protagonista e co-protagonisti; le micro-biografie dedicate ad alcuni di loro (per esempio Alexander Pushkin, maestro e mentore a Leningrado), danno una contestualizzazione utile, ma, a volte, dispersiva per il lettore.
Nureyev è personalità dirompente e carismatica; sempre fuori dalle righe, definito “il corvo bianco”, “the white crow”, ora titolo del film di Ralph Fiennes, tratto dal libro. Interprete rivoluzionario della danza maschile: dal suo Albrecht in poi, i principi del balletto acquistano personalità e indipendenza, esigono spazio e sguardi sulla scena, sono personaggi in evoluzione, a cui lui dà, di volta in volta, nuove sfaccettature, grazie alle letture o a tormenti ed esaltazioni interiori.
La biografia non nasconde il carattere spigoloso, tracotante, perfino ingrato, come con Clara Saint, artefice della fuga all’aeroporto di Parigi. Eppure Rudolf, nonostante fama e denaro, sente solitudine e nostalgia, senso di colpa verso i suoi affetti in patria, vittime di intimidazioni del KGB, le stesse da cui lui fugge; ma è in gioco la sua vita di danzatore (e omosessuale) e per la prima volta decide per se stesso.
Al di là della “rudimania”, che imperversa ancora oggi, cosa resta della prima icona pop del balletto del XX secolo? Innanzitutto la dedizione alla danza: «la sua vera impresa [è stata] mettersi in prima posizione ogni mattina». Poi certamente la “fame di conoscenza”: «Era solito dire: ‘Puoi perdere la tua patria e tutti i tuoi averi ma non potranno mai toglierti il tuo sapere’». Secondo Nureyev, ciascuno deve “costruirsi” occasioni professionali e personali: «Sei tu che crei il tuo destino»! Così ha fatto, nel bene e nel male, anche contro la malattia, anche contro il tempo. «Ho imparato un modo di essere. Io vedevo un uomo che combatteva [...] per le verità in cui credeva»: nelle parole di Sylvie Guillem, il profondo insegnamento del “dáimon” di Rudolf Nureyev.
© Expression Dance Magazine - Dicembre 2019