«Danza e musica sono […] a tutti gli effetti “arti sorelle” e, per usare un’espressione di Jean-Georges Noverre, “si stringono la mano” in tutti i campi: da quello teorico a quello compositivo e scolastico». Così Valerio Basciano nel volume da lui curato, scritto da Marina Gendel e Flavia Pappacena, dal titolo "Lezioni di danza in musica. Teoria e pratica dell’accompagnamento al pianoforte". Vorremmo soffermarci su un aspetto che non sempre viene messo in luce quanto sarebbe necessario, cioè sull’importanza della musica per la lezione di danza classica e in particolare dell’accompagnamento dal vivo della lezione.
Quando si dice che l’accompagnamento del pianista durante la lezione di danza è “al servizio della danza” non si fa riferimento tanto ad un “asservimento” della musica alla lezione di danza, quanto alla capacità del pianista di adeguare le strutture dinamico-ritmiche della musica da lui costruita alle peculiarità delle forme espressive, dinamiche e qualitative del fraseggio (del movimento e del passo) composto dall’insegnante di danza. Quindi è molto importante che l’insegnante di danza conosca gli elementi costitutivi della teoria musicale e componga il proprio esercizio correttamente affinché il pianista possa ri-comporre adeguatamente le strutture dinamico-ritmiche richieste dall’insegnante.
Come racconta Basciano, la musica, a partire da quella che il danzatore Ludwig Theodor Smith, conosciuto anche come Louis Forgeron, compone tra il 1894 e il 1910 per le lezioni di tecnica Bournonville, può «fornire […] un valido supporto alla memorizzazione della struttura e della dinamica dei movimenti». È quindi fondamentale che ad ogni esercizio sia assegnata la musica giusta, cosa che è una parte vitale del processo di insegnamento.
Anche Grazioso Cecchetti, riferendosi al padre Enrico, «sottolinea come lo spartito musicale sia “parte integrante del metodo stesso”, dal momento che ogni brano “si adatta perfettamente per ritmo, durata e accentazione alle esigenze specifiche dell’esercizio che accompagna”».
Solo ad Agrippina Vaganova – conclude Basciano – «si deve» però «l’elaborazione di un meticoloso sistema di scansione ritmico-dinamica». Le improvvisazioni musicali di S. S. Brodskaja, che corredano la lezione esemplificativa inserita nella terza edizione del manuale di Vaganova, «denotano la capacità della musica di descrivere fedelmente la traiettoria, i passaggi fondamentali e la dinamica dei singoli elementi dell’esercizio, dando il giusto ritmo alle fasi di ciascun movimento. […] La musica pertanto «non si limita ad accompagnare semplicemente il movimento ma è dal movimento che essa nasce e si sviluppa».
Per saperne di più:
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Infatti, si afferma che la musicalità (un corpo musicale) è un’abilità vitale per un danzatore e si acquisisce attraverso una corretta esecuzione ritmico-dinamica dei movimenti e dei passi soprattutto nei primi corsi accademici. Affinché la musica possa nascere dal movimento non sarà più sufficiente sceglierne una preesistente, quand’anche essa sia funzionale all’esercizio, ma sarà necessaria la presenza del pianista che, traducendo in musica le scansioni ritmico-dinamiche elaborate dal docente di danza secondo il sistema di Vaganova, potrà costruire la musica sul movimento tramite l’improvvisazione. Questo non significa che in assoluto non si debbano usare nella lezione di danza musiche preesistenti, pratica testimoniata almeno fin dalla prima metà dell’Ottocento: l’improvvisazione è però a nostro avviso più funzionale per questo aspetto.
Inoltre, il sistema improvvisativo per la composizione della musica per gli esercizi di danza comporta notevoli vantaggi pedagogici nella gestione della classe da parte del pianista rispetto all’uso di musica preesistente:
1. il pianista e l’insegnante non perderanno tempo durante la lezione a trovare la musica giusta dallo spartito;
2. il pianista non dovrà pensare alla memorizzazione visiva dello spartito, evitando di distrarsi; potrà in questo modo occuparsi con attenzione (mente-sguardo) di ciò che l’insegnante compone, sviluppando così una interazione armonica e una collaborazione tra lui, l’insegnante e l’intera classe;
3. il pianista potrà seguire la classe insieme all’insegnante senza guardare lo spartito e collaborare così alla crescita motivazionale, allo sviluppo dell’energia in classe (climax); non sarà un semplice soggetto asettico: ecco perché si definisce maestro collaboratore.
Dal canto loro le musiche preesistenti potranno essere molto utili in funzione dell’educazione musicale degli allievi, di cui – secondo quanto scriveva Zarko Prebil nella prefazione al volume "Musica e danza" di Antonio Sorgi – sono responsabili i pianisti accompagnatori. In questo modo l’educazione musicale non consisterà solo in un’educazione all’ascolto, ma si configurerà come una vera e propria formazione culturale. Tali musiche già esistenti, se proposte e ripetute in più lezioni in un certo periodo di tempo, si imprimeranno nella memoria degli alunni, costituendo un repertorio che potrà accompagnarli tutta la vita. Il pianista tra un esercizio e l’altro potrà brevemente dire agli allievi quello che sta suonando e successivamente, dopo aver suonato e presentato il brano per un certo numero di volte in più lezioni, potrà chiedere loro di individuare il brano che ha eseguito. Questa richiesta del pianista li costringerà ad “aguzzare le orecchie” per riconoscere la musica di repertorio da lui proposta: essa, lungi dal distrarli – come sosteneva il Maestro Tarasov – a nostro avviso contribuirà in maniera determinante a formare negli allievi quella che sopra abbiamo definito musicalità, perché essi avranno un motivo in più per ascoltare con attenzione la musica, che a volte rischia di diventare un sottofondo. Con questo non si intende certo affermare che la musica improvvisata non sia interessante, ma che le musiche già esistenti a nostro avviso stimolano in maniera forse più spiccata la curiosità musicale dell’allievo, che può impegnarsi a riconoscerle.
La presenza del pianista comporta – come nota giustamente Sorgi – la «collaborazione» nella lezione «tra due figure che operano nel settore artistico», un insegnante di danza e un musicista, «in cui si parlano due lingue diverse». Tale collaborazione consiste in una determinata prassi osmotica tra le due figure, pedagogica e didattica (metodologia didattica): l’insegnante, con la sua voce, il canto, suoni onomatopeici, le sue conoscenze metodologiche della musica, crea l’esercizio; il pianista di conseguenza compone e rispecchia fedelmente le qualità (dinamiche, ritmiche, melodiche e timbriche) del dettato-movimento composto dall’insegnante, contribuendo a definire il carattere dell’esercizio, anche con proprie variazioni che scaturiscono dalla propria creatività.
Affinché l’interazione tra le due figure sia proficua, è necessario che l’insegnante possa comunicare con il maestro accompagnatore «attraverso un linguaggio musicale appropriato e non […] approssimativo»: “quell’accennare” o “declamare” l’esatto carattere e le giuste dinamiche dell’esercizio cui facevamo riferimento poc’anzi «può essere riportato graficamente attraverso […] la notazione musicale». È pertanto indispensabile che l’insegnante di danza conosca e sappia padroneggiare i fondamenti della musica: i principali elementi di una linea melodica, il battere e il levare, gli andamenti musicali, i tempi musicali, i ritmi iniziali e finali di un brano musicale, i segni dinamici e di espressione, le danze e le forme musicali inserite nella lezione. In questo modo l’insegnante sarà in grado di «elaborare un corretto dettato ritmico»: ciò «consentirà […] di formulare un esercizio o una legazione, non soltanto dal punto di vista metodologico, ma anche sotto il profilo musicale. Così facendo», conclude Sorgi, «riuscirà ad ottenere una fusione completa tra musica e danza, obiettivo essenziale per raggiungere positivi risultati in campo didattico». Sorgi pone qui l’attenzione sull’importanza di una corretta messa in musica degli esercizi, della quale occorre aver cura anche quando si usa una base registrata. Infine una buona dimestichezza con i fondamenti della musica sarà molto utile al docente di danza per fornire indicazioni precise al pianista, che in questo modo sarà sicuro che quello che suona sia corrispondente a quanto l’insegnante ha pensato.
Sappiamo bene che non è facile avvalersi della collaborazione del pianista in maniera continuativa perché rappresenta un costo: invitiamo comunque a considerare la possibilità di farlo a cadenza regolare, anche se saltuariamente, in maniera tale da offrire ai propri allievi l’opportunità di lavorare al meglio anche dal punto di vista musicale.
Note sugli autori:
Francesco Ragni Laureato in Maestro Collaboratore per la Danza presso il Conservatorio di musica "A. Casella" dell'Aquila e l'Accademia Nazionale di Danza di Roma. Docente di Tecniche di accompagnamento alla danza e teoria e pratica musicale per la danza presso il Liceo Coreutico "Piero della Francesca" di Arezzo.
Massimiliano Scardacchi Insegnante diplomato all’Accademia Nazionale di Danza di Roma e alla Scuola del Teatro alla Scala di Milano
Bibliografia:
"Lezioni di danza in musica. Teoria e pratica dell’accompagnamento al pianoforte", Marina Gendel e Flavia Pappacena, a cura di Valerio Basciano - Massimiliano Piretti Editore,2013.
"Le basi della danza classica", A. Alberti e Flavia Pappacena - Gremese Editore, 2007.
"Musica e danza", Antonio Sorgi (con prefazione di Zarko Prebil) - ed. Youcanprint, 2012, e riedito da NeP Edizioni, 2017.
© Expression Dance Magazine - Agosto 2018