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Dialogando con Flavia Pappacena, ricercatrice della danza

Dialogando con Flavia Pappacena, ricercatrice della danza

Consigli utili per i giovani dalla professoressa che vanta una ricca esperienza professionale e sulla ricerca teorica e accademica in ambito coreutico.

 

Ricercatrice, scrittrice, docente: questa è Flavia Pappacena, oggi fra le firme più autorevoli che scrivono di danza. La sua corposa bibliografia comprende, infatti, saggi, monografie, articoli e curatele che spaziano dalla storia della danza alla ricostruzione di balletti, fino ai manuali di tecnica. Dalla metà degli anni Settanta ha ricoperto le cattedre di Teoria della Danza ed Estetica della Danza all’Università Sapienza e all’Accademia Nazionale di Danza di Roma. Expression l’ha intervistata per saperne di più sulla sua ricca esperienza professionale e sulla ricerca teorica e accademica in ambito coreutico.

Professoressa Pappacena, come si è avvicinata alla danza e quali incontri sono stati significativi nel suo percorso formativo?

«Ho conosciuto la danza nel 1959, a dieci anni, in occasione dell’esame di ammissione all’Accademia Nazionale di Danza. Mia madre ci teneva molto perché la scuola si distingueva sia per la serietà della preparazione offerta, sia per la grande fama di cui godeva sin dagli anni Quaranta Jia Ruskaja. Nei dodici anni di frequenza dell’Accademia, ho studiato con la maestra Giuliana Penzi e con numerosi artisti di fama internazionale, fra cui Birger Bartholin, Gilbert Canova, Juan Corelli, Ol’ga Lepešinskaja, David Lichine, Witaly Osins, Clotilde Sacharoff, Boris Trailine, Nina Vyroubova, Jean Cébron, Bianca Gallizia, Aurel Milloss e Marcia Plevin. Nei primi anni Sessanta ho avuto anche la fortuna di veder crescere la pre-Orchestica, lo stile di danza libera creato da Jia Ruskaja, e di partecipare a tutti gli spettacoli che l’Accademia ha dato a partire dal 1963. Nel 1971-72, come membro del Gruppo stabile, ho fatto spettacoli in tournée. Non posso dimenticare “Sinfonia” di Pauline Koner al Teatro settecentesco della Reggia di Caserta in occasione della rassegna “Settembre al Borgo”!».

Come è nato il suo interesse per l’aspetto teorico della danza e quando ha deciso di dedicarvisi completamente?

«Tra le materie teoriche che sin dal quarto corso noi allieve eravamo tenute a frequentare, c’era anche la Teoria della danza, che era insegnata dalla stessa Ruskaja. All’epoca consisteva nello studio di un sistema di notazione (“Scrittura della danza”, introdotto da un metodo di analisi del movimento. Sebbene fosse piuttosto complicato, ne ero affascinata e lo apprendevo con grande facilità, partecipando attivamente ai laboratori. È stato così che, appena diplomata al corso di perfezionamento, mi è stata assegnata la cattedra rimasta vacante nel 1970 per la morte di Jia Ruskaja».

Quali sono i principali ambiti di ricerca a cui si è dedicata?

«Mi sono laureata in Lettere (Storia dell’arte medioevale) il 2 luglio 1974 e una settimana dopo ho sostenuto l’esame di diploma del corso di perfezionamento insegnanti dell’Accademia. Dopo neanche tre mesi, ho iniziato a insegnare Teoria della danza al Perfezionamento, al corso di Avviamento e al VII e all’VIII anno del corso normale (di formazione di danzatori). Dapprima ho seguito le orme della Ruskaja, ma molto presto il mio istinto e le esperienze maturate all’università mi hanno spinto a guardarmi attorno e a cercare di sviluppare la materia ampliandone gli orizzonti per finalizzarla al nuovo mondo del lavoro. I ricordi di Enrico Cecchetti, trasmessi da Attilia Radice, Bianca Gallizia e Giuliana Penzi, mi hanno indotta ad approfondire le tecniche e gli stili storici del balletto. Al contempo, il sistema di notazione della Ruskaja mi ha portato a esplorare le esperienze di analisi del movimento del Settecento, dell’Ottocento e del Novecento. In quegli anni, l’esigenza di aprire gli studenti a esperienze diverse e di ampliare l’offerta formativa dell’Accademia mi ha indotto a occuparmi anche di analisi coreografica e di storia del balletto. È stato così che mi sono avvicinata alla danza italiana del Settecento su cui sto tuttora lavorando».

Quanto e come è cambiata la ricerca teorica e universitaria in ambito coreutico dagli inizi della sua attività fino a oggi? 

«Il corso di laurea Dams è stato istituito all’università circa quarant’anni fa e la ricerca sulla danza in Accademia ha avuto avvio più o meno nello stesso periodo. Da allora si sono creati diversi filoni di ricerca finalizzati ad approfondimenti e a originali letture critiche. Sono nati dottorati di ricerca in vari settori e sono state create riviste specializzate sostenute da importanti iniziative come convegni scientifici e incontri tematici». 

Che ruolo ha l’Italia sul piano europeo e internazionale in questo settore? 

«La ricerca in danza in Italia è piuttosto giovane, ma in questi ultimi anni ha fatto passi da gigante grazie allo straordinario patrimonio di fonti e documenti messo a disposizione dalle biblioteche italiane, ma anche grazie all’intelligenza e alla dedizione dei nostri studiosi. Oggi possiamo per certo affermare che la ricerca italiana non solo è al passo con i tempi, ma in alcuni ambiti specifici è più avanzata rispetto a quella di altri paesi europei e americani. Mi riferisco soprattutto alla ricerca sulla danza italiana del Settecento e dell’Ottocento, che recentemente è riuscita a entrare anche nei libri di Storia della danza, fino a ieri dedicati esclusivamente alla danza francese». 

Vuole consigliare ai giovani qualche testo, a suo parere indispensabile per la loro conoscenza teorica della danza, e un possibile percorso di studi per chi voglia intraprendere la professione di studioso e ricercatore in danza? 

«Partirei innanzitutto dai testi base pubblicati dalla casa editrice Gremese che da oltre trent’anni si occupa di produrre manuali e testi a carattere documentale su tutti gli stili di danza. Ad esempio, suggerirei “La danza classica tra arte e scienza”, di cui è in uscita la seconda edizione. Si tratta di un manuale base per il liceo coreutico, che offre tutti i principi della danza classica, stimolando un approccio creativo. Ritengo indispensabili anche i tre volumi di “Storia della danza in Occidente” firmati da Ornella Di Tondo, Alessandro Pontremoli e dalla sottoscritta, per l’ampiezza dello sguardo e l’originalità dei contenuti che sono messi in costante relazione con i coevi movimenti culturali. Il catalogo Gremese offre una larga gamma di testi, ma anche nell’offerta della LIM (Libreria Musicale Italiana), delle case editrici Aracne e Dino Audino, si possono individuare titoli molto interessanti. Per gli studi, il consiglio è seguire un corso di laurea magistrale mirato, ma avendo alle spalle un percorso di studi di danza. Un dottorato offrirebbe effettivamente gli strumenti metodologici e le conoscenze per individuare un proprio filone di ricerca».

Come membro delle commissioni MIUR – Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca per le riforme degli ordinamenti scolastici, lei ha contribuito all’istituzione dei licei musicali e coreutici e ai nuovi ordinamenti per conservatori e accademie (le cosiddette istituzioni AFAM): quali sono le caratteristiche di questi percorsi formativi, rispetto anche agli altri paesi europei?

«Oggi l’Italia può vantare un primato nel campo degli studi coreutici. È l’unico paese in cui un Istituto di formazione di docenti (l’Accademia Nazionale di Danza) prevede un percorso formativo sostanziato con numerose materie teoriche, ed è anche l’unico paese che ha un liceo a indirizzo coreutico della durata di cinque anni che conduce a un diploma di scuola secondaria pari a quello di qualsiasi altro liceo. In particolare, i licei coreutici, proprio perché inseriti nella istruzione pubblica, prevedono un percorso composito in cui l’acquisizione di abilità pratiche si coniuga con conoscenze culturali generali e con l’apprendimento di metodi analitici e critici, in modo da offrire agli studenti una preparazione teorico-pratica complessiva e integrata nel quadro generale dei saperi».

Nel 2017, per la Giornata Mondiale della Danza (29 aprile), lei era fra gli esponenti del mondo della danza ricevuti per la prima volta in Vaticano da Papa Francesco. Che ricordo ha di quella esperienza?

«Un ricordo indelebile. La delegazione della danza italiana ricevuta dal Santo Padre è stata vissuta da tutti i presenti e da quanti hanno seguito l’evento come la ‘consacrazione della danza’». 

 

 

© Expression Dance Magazine - Maggio 2018

Letto 5239 volte Last modified on Mercoledì, 30 Maggio 2018 13:06

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